Il principe nell’alta torre III – Il Conte di Montecristo e Mike Tyson

La biografia di Mike Tyson è un piccolo capolavoro della letteratura, nonché uno dei miei libri preferiti. Un uomo che si eleva al grado di Dio dopo che la vita gli ha riservato più di un colpo basso, per poi cadere in una spirale di autodistruzione causata dell’ego e, infine, risorgere dalle proprie ceneri divenendo uno dei filosofi più influenti del ventunesimo secolo: il viaggio di Iron Mike è davvero imperdibile.

Cosa ascolto quando scrivo parte III

Ogni episodio e aneddoto della sua biografia possano essere tranquillamente incisi in pietra con caratteri dorati per essere lasciati in eredità alle generazioni future, ma una storia rimane la mia preferita. Un po’ di contesto: all’età di 27 anni, Mike Tyson viene arrestato per il presunto stupro dalla reginetta di bellezza Miss Black Rhode Island Desiree Washington.

Nonostante la scarsità delle prove, Tyson è costretto a scontare una pena di dieci anni ma che viene ,fortunatamente, ridotta a tre anni per buona condotta. Durante il suo soggiorno in carcere, Mike ha avuto modo di esplorare il mondo della letteratura. Tra gli scrittori menzionati da lui stesso vi sono: Hemingway, Fitzgerald, Tolstoj, Macchiavelli e Voltaire.

Il Conte di Montecristo: prigione, vendetta e crescita personale

La sua lettura preferita rimane però uno dei romanzi più famosi dello scrittore Alexandre Dumas: il Conte di Montecristo. La trama in due parole: un uomo viene incarcerato ingiustamente. I suoi nemici prosperano mentre l’uomo in questione, Edmond Dantès, rimane inerme a veder passare gli anni della sua vita dietro le sbarre. Edmond non perde tempo e decide di imparare la storia, la letteratura e le scienze dal suo dotto compagno di cella che lo renderà un uomo forte, brillante e capace di ottenere la propria meritata vendetta contro il trattamento subito.

Non è difficile capire perché questo sia il romanzo preferito di Tyson. Posso immaginarmelo: un gigante di cento chili che legge le sventure di Dantès con la schiena appoggiata al cancello della sua cella. In maniera simile a Dantès, Mike Tyson decide di migliorarsi e affrontare la prigione con un forte spirito di stoicismo senza imprecare contro gli dei per il destino avverso ma per rendersi un uomo migliore. Se Dantès non avesse mai messo piede in quella cella, forse la sua vita avrebbe avuto un corso più felice ma è proprio grazie a quell’esperienza che ha avuto modo di viaggiare per il mondo e diventare il famigerato conte dell’isola di Montecristo. Da qualcosa di orribile c’è sempre la possibilità di far crescere qualcosa di buono.

Negatività e pressione

Il desiderio di vendetta è profondamente umano. La rivincita è un tema fondamentale, nonché genesi della giustizia: chi la ottiene è in grado di proseguire nella propria vita; chi non la ottiene è ancorato al passato con un senso di frustrazione tanto grande quanto il suo ego ferito. Ma c’è una terza via: usare tutto quell’odio e rancore per costruire qualcosa che non si interamente negativo. Il passato non può essere cancellato ma il futuro può essere costruito.

Non ha senso perdere la propria vita per un evento negativo. Ma per quanto riguarda chi ha fatto del male per primo? È forse giusto perdonarlo? È forse giusto che prosegua la sua vita normalmente mentre ha distrutto quella di altri? Non è una risposta semplice. A volte si è impossibilitati ad avere giustizia per circostanze al di fuori del nostro controllo. La realtà del mondo è spesso deludente. Ma ciò potrebbe essere un ottimo modo per diventare una persona migliore, il che, già per esso, è un atto di dolce vendetta.

Nelle parole di Edmond Dantès, il Conte di Montecristo: “Servono le sventure per scavare certe miniere misteriose nascoste nell’intelligenza umana; serve la pressione per far esplodere la polvere.”

Nelle parole di Mike Tyson: “God lets everything happen for a reason. It’s all a learning process, and you have to go from one level to another.”

Little death (short story fragment)

It’s 2 am and all I can think about is killing myself.  It is the most reasonable conclusion to end all of my problems. It’s dark and I can’t see a single thing. I visualize every object inside of my bedroom. A desk, a chair, a closet, a pile of dirty clothes that looks like a Christmas tree.

 Christmas.

I vividly remember my Christmas day two years ago. I was alone in a house in the middle of nowhere. I bought vanilla ice-cream, chicken breast and one kilo of rice. I watched something on tv sipping a can of beer like a fine dry gin. Seems like yesterday. I had a good time. For some reason I cannot remember last year Christmas. Memory is a funny thing.

It’s too dark. I open my eyes and I close them. No difference. It doesn’t even seem I am living. I am in another dimension, floating inside a pool of negative emotions. I am almost sure I am not in the real world. It’s similar to the distorted vision of the hotel in Murakami’s novel or in Silent Hill II. There are no noises outside the window. My body is silent. It seems I forgot how to breathe.

Is there a solution for this?

Of course there is. I could stop drinking Monster. I could start by having a positive attitude. I could open up a little bit. Or I could die, living in this ethereal world made of darkness and silence. It’s not that bad. Nothing good will ever happen but, at the same time, nothing bad will happen. The risk is too big. At least for me.

This is the time I feel alive the most.

A place in the heart of darkness made only for me. No job, no talking, no duties… but also no happiness, no catharsis and no life. Mere relief. Maybe this is the reason why I don’t sleep at night. This is where I belong. I don’t want to wake up and join nonfictional life.

I want to stay in this distorted hotel of mine. Every time  I am forced to leave it I experience a little death. I decide to get up from the bed. It’s like I have chains all over my wrists but somehow I manage to get up. I dress and I leave my room. Ii put my headphones on. ‘Little Dark Age’ is the first song on my playlist and I press ‘play’ without hesitation. It’s 3 am and it’s raining outside.

I am going out for a walk.

Notte insonne I

Osservo la lunghezza della crepa sul soffitto che taglia in due parti uguali la stanza in diagonale. Il contorno della crepa è gialla. Sospetto sia a causa dell’umidità. Dall’interno della crepa fuoriesce un ragno piccolo dalle zampe esili ma immensamente lunghe. Cerco di soffiare verso il ragno ma è troppo lontano.

Non si muove neanche. Si limita a restare fermo. Forse anche lui mi osserva. O forse si sta ambientando nella nuova dimensione della camera. Deve essere un’esperienza terrificante trovarsi sopra il soffitto di una camera così grande. Abituato alla superfice stretta, buia e accogliente dell’interno dell’intonaco, il ragno deve sentirsi spaesato e impaurito. Forse non immaginava che il mondo la fuori fosse così vasto. Il respiro appannato e ritmico del mio compagno di stanza  mi ricorda che è notte e dovrei dormire. Lo so perché il mio compagno di stanza non chiude mai la bocca quando è sveglio. Allungo la mano verso il comodino e afferro il telefono.

Sono le due e un quarto del mattino.

 Cosa dovrei fare? Andare in cucina? Leggere? Masturbarmi? L’indecisione mi deprime e non ho la forza neanche per ascoltare il respiro del mio compagno di camera. Il solo percepire che è vivo è una grande fonte di disturbo per me. Mi limito a restare fermo, lo sguardo fisso sul ragno. Che strana creatura. Ha un corpo piccolo, insignificante simile a un punto disegnato con la matita su un foglio A4. Le gambe sono ridicolamente lunghe. Dalla mia prospettiva sembrano chilometriche. Lontane anni luce dal corpo.

Come fa un essere del genere a muoversi? Forse vorrebbe tornare all’interno della crepa ma non ha idea di come riuscirci. È in uno stallo. Non può andare avanti e non può tornare indietro. Guardo l’orologio.

Le due e mezza.

È ora di scegliere, amico. Cosa vuoi fare? Non puoi rimanere lì fermo, non pensi? Sei un ragno o no? Comportati come tale. Scegli. Ti avventuri nell’ignoto o torni da dove sei venuto? In qualche modo puoi rientrare nella crepa. Da come sei uscito così puoi rientrare. Oppure preferisci esplorare questo mondo Lovecraftiano popolato da giganti che non hanno la forza di alzarsi?

Le tre.

Il coinquilino/compagno di stanza comincia a russare. Ciò mi ricorda che domani devo andare a lavoro. Non ho idea come le due cose siano connesse ma così è. Il ragno cammina (forse ‘fluttua’ sarebbe un verbo migliore?)  lungo il soffitto, allontanandosi dalla crepa.

Buon per te, amico. Vivi la tua vita.

Dopo un po’, forse dopo cinque minuti o cinque mesi, si ferma completamente. Torna indietro verso la crepa.

Le quattro. I primi raggi del sole cominciano a farsi strada attraverso le verande.

Amico mio, torna dentro la crepa. Non vuoi affrontare questo giorno. Torna nell’oscurità. Lo farei se ne avessi la possibilità. Portami con te se puoi.

Le quattro e mezza. Comincio a sbadigliare. Ho sonno. Finalmente. Guardo il ragno per l’ultima volta e mi rigiro su me stesso. Chiudo gli occhi. È solo un incubo.

Le cinque. Il suono di una cascata. La sveglia suona.

‘Buongiorno!’ quasi grida il mio coinquilino.

Non riesco a capire se sono sveglio o meno. Tutto sembra la copia di una copia di una copia. Oggi è ieri. Ieri è oggi. Oggi è domani.

Guardo sul soffitto. Il ragno è sparito probabilmente all’interno della crepa.

Qualcosa che vorrei dire anche per me.

Un altro giro (racconto breve)

La superficie della mia scrivania alle 23:00 si presenta con una bottiglia d’acqua da mezzo litro, una lattina di pepsi, un quaderno, un laptop con un documento di word aperto sul desktop e musica di Youtube da una finestra seminascosta su Chrome.

Di solito a quest’ora ho sonno ma impongo al mio corpo e alla mia mente di restare sveglio. Se dormissi adesso mi ritroverei al mattino seguente confuso e disorientato come se qualcuno avesse voltato la pagina di un romanzo o se avesse tagliato una scena di un film per andare a quella successiva.

La notte è quel piccolo ritaglio di tempo che appartiene solo a me. Non riesco a ragionare con lucidità e tutto assume un contorno onirico. Scrivo ma le parole che compaiono su Word non sono veramente mie. Sono un misto della musica che ascolto (in questo momento una colonna sonora), stanchezza, forse speranza e forse odio.

Vado avanti così fino a quando mi è possibile; di solito fino alle tre del mattino o fino a quando la sveglia non suona. Ogni secondo della giornata che passo nel mondo reale (al lavoro, al di fuori, al contatto con tutte le altre persone che non siano me) penso alla notte.

Penso al gusto della pepsi che si scioglie sulla lingua, la musica nelle cuffie, il freddo sguardo del documento bianco su Word e, forse cosa più importante, il fatto che io sia troppo stordito per apprezzare tutto questo.  A volte mi capita di addormentarmi ma succede solo per pochi secondi. Poi mi risveglio. Faccio molti sogni e la concezione del tempo si perde completamente.

A volte faccio un sogno molto lungo. Quando mi risveglio mi preoccupo subito che io abbia dormito troppo ed è già mattina. L’orologio in basso a destra dello schermo mi tranquillizza.

‘È solo l’una, Struggler. Continua il tuo viaggio. L’alba è ancora lontana.’

Non so bene chi sia a parlare ma le parole mi confortano. Mancano cinque ore alla sveglia. Sei ore all’alba. Nel mio mondo, di notte, cinque ore equivalgono a dodici ore. Sorrido.

Posso restare ancora.

Il mondo reale può aspettare.

Guts’ theme (racconto breve)

C’è una palestra all’aperto vicino al posto dove lavoro.

Non che due sbarre di metallo arrugginito, un sacco da boxe di gomma piuma sventrato e una panca per gli addominali possano essere definiti come una ‘palestra’ ma sono grato di essere a due passi da tutto ciò. È un angolino nascosto nel cuore del parco pubblico di S. e nessuno, se non gli abitanti del quartiere, sa della presenza della ‘palestra’. Il sole è alto e la farmacia in fondo la strada informa i passanti che ci sono ventotto gradi.

È l’una e il mio turno inizia all’una e mezza. Mi tolgo la camicia e resto in jeans stretti. Il sudore mi cola sulla fronte per il solo sforzo di respirare. Mi appendo alla barra e comincio a fare dieci trazioni. Il cuore comincia a battermi forte. Non perché faccio fatica a portate la mia testa sopra la sbarra ma perché la mia mente è rivolta al turno di lavoro che mi aspetta tra poco.  Invece di fermarmi e riposare, faccio altre cinque trazioni per schiarirmi la mente. Ora sono abbastanza stanco per poter pensare lucidamente.

Ogni ora prima di lavorare mi prendono i crampi allo stomaco. Immagino sia un meccanismo di autodifesa del mio sistema immunitario. Da bambino mi succedeva la stessa cosa prima di andare a scuola. Crampi allo stomaco e nausea per tutto il giorno. Non è cambiato assolutamente nulla da quando avevo 12 anni. Ora sono passati dieci anni e ho ancora la nausea.

Attacco di nuovo con le trazioni. Ne faccio dieci e poi ne faccio due con una sola mano. Lo sforzo è così grande che per un singolo istante la mente si schiarisce e sorrido al nulla. Un mese fa non sapevo farne neanche una di trazione a mano singola. Questo mi da la convinzione (o l’illusione) che con il tempo anche la mia vita possa cambiare. Un passo alla volta, giusto?

Cammino fino al sacco e tiro un jab molto pigramente. Il sudore vola sull’erba secca. Il sacco si sposta a malapena. La gomma piuma che penzola dal sacco vibra impercettibilmente. Questa è ormai la mia routine da un mese. Dirigermi al lavoro due ore prima del mio turno e passare mezz’ora nella ‘palestra’, un luogo che appartiene solo a me, distaccato dalla realtà. Qui posso essere ciò che voglio. Qui non sono prigioniero della realtà. Ci sono solo io.

A volte mi viene da pensare che cosa accadrebbe se restassi in quel parco per sempre. Confinato nella stretta superficie della ‘palestra’. So già la risposta. Non accadrebbe nulla di importante.  Il mio telefono squillerebbe un paio di volte (immagino due o tre chiamate dall’ufficio). Poi arriverebbero i messaggi. Poi le vibrazioni nella tasca dei miei jeans.

Poi il nulla.

Arriverebbe la sera e i grilli comincerebbero a cantare indisturbati dalla mia lunga ombra proiettata sulle sbarre di ferro. Probabilmente nessuno si accorgerebbe più della mia assenza. Forse qualcuno ne sarebbe persino rallegrato. Il mio corpo diventerebbe parte integrante di quella ‘palestra’ e osserverei anche io le persone che vagano nel parco cercando di dimenticare il passato e scappare dal presente modellare la propria schiena con qualche trazione di troppo.

Questo pensiero mi fa sorridere. Guardo l’orologio. È quasi ora. Mi incammino verso il posto di lavoro a torso nudo senza degnare di uno sguardo la camicia. Devo cambiarla in ogni caso.

Sognando con Silent Hill II

Ho già parlato della mia speciale relazione con la musica mentre sono solo e studio qui.

All’università ascoltavo lo-fi in una biblioteca che sembrava uscita da un romanzo di Charles Dickens dalle 22:00 alle 05:00 del mattino. Non avevo bisogno di stare in quella biblioteca per così tanto tempo e di certo non studiavo per sette ore di seguito. Stavo lì perché adoravo stare da solo a guardare la piccola città di Bangor assopita e illuminata da lampioni che riflettevano le ombre dei rami degli alberi spogli sulle strade. 

Mi riferisco a questa biblioteca. Quando ci sei solo, di notte, seduto al lato della finestra,fa tutt’altro effetto.

Studiavo per due ore e mezza o tre e poi ascoltavo musica dal mio laptop guardandomi intorno e passeggiando nei lunghi corridoi della biblioteca. A volte aggiornavo il mio diario. A volte leggevo Murakami o Lovecraft. A volte scrivevo. Tutto con il sottofondo musicale coperta in parte dalla pioggia sempiterna (ma chi mi credo? Shakespeare?non so neanche che vuol dire) del Galles.

Eccetto il lo-fi ascoltavo le colonne sonore dei miei film e videogiochi preferiti: ‘L’ultimo samurai’, ‘ Requiem for a dream’, ‘Shadow of the Colossus’ (che ricordi…), Eternal Darkness: Sanity Requiem (che trip…) e, infine, Silent Hill II. All’epoca non ci avevo ancora giocato (l’ho recuperato un annetto fa) ma la colonna sonora risuonava direttamente nella mia anima. Osservavo la pioggia scendere lentamente dalla finestra a mosaico accanto a me con la compagnia di una Monster Energy ghiacciata e pagata il doppio in un distributore automatico. Erano bei tempi. Sognavo in grande ed ero fortemente ottimista. Adesso lo sono ancora di più e spero di continuare su questa strada.

È passato un anno e mezzo da allora ma alcune abitudini non sono cambiate. Ora sono a Milano, in un ostello e sono nella sala comune a scrivere queste righe. Non c’è nessuno. Solo la musica di Silent Hill II, una bottiglia mezza piena di Tè freddo al limone (chiunque preferisca quello alla pesca ha dei problemi), un laptop con il tasto della freccia ‘su’ rotto, un quaderno e una penna… sognando un futuro radioso e un passato meno deprimente: purtroppo non posso fare nulla per quest’ultimo ma posso fare molto per il futuro.

Menzione speciale per la mia compilation preferita di lo-fi.

American Psycho, manuale di crescita personale (film)

Non centra nulla. È ciò che ascolto mentre scrivo.

Oggi ho rivisto il film di American Psycho per la quarta volta nel corso della mia vita. Ogni volta è come se fosse la prima volta. Un film magistrale tratto da un romanzo che definisce la letteratura moderna insieme a Fight Club e Trainspotting. Patrick Bateman ha tutto nella vita: un lavoro ben retribuito a Wall Street, un attico nella zona più lussuosa di New York (ma che non si affaccia su Central Park… fottuto Van Allen e le sue prenotazioni al Dorsia), un fisico scolpito da allenamenti quotidiani nelle palestre più esclusive di New York.

Eppure Patrick è preda di una grande insoddisfazione personale. Odia il suo lavoro, odia le apparenze, odia i continui confronti con i suoi colleghi eppure sono questi ultimi su cui si basa la sua vita.

Prenota il locale migliore per la sera. Prendi il vestito migliore. Fatti di steroidi. Fatti una lampada due volte a settimana. Sii un membro produttivo, rispettabile della società. Per Patrick, però, non è abbastanza. Vuole essere il migliore sotto qualsiasi aspetto.

‘Se odi tanto il tuo lavoro perché non te ne vai?’ mi chiede Evelyn.

‘Perché voglio integrarmi…’

Ed è proprio il bisogno sfrenato di essere superiore e di essere accettato che porta Patrick alla follia. Tra un allenamento e l’altro, infatti, Patrick Bateman uccide e tortura diverse prostitute, senzatetto e amiche della sua Università. La sua facciata da ‘ragazzo della porta accanto’ si fa sempre più sottile rivelando una persona essenzialmente fragile e preda dell’opinione degli altri.

Il suo continuo mentire sulla sua presunta amicizia con Donald Trump ne è un chiaro esempio così come la sua frustrazione per non riuscire ad effettuare una prenotazione al locale più esclusivo di Manhattan, il Dorsia.

American Psycho parla delle ossessioni di un uomo che, semplicemente, non si sente abbastanza e della sua conseguente frustrazione su se stesso e su gli altri: Patrick è una vittima passiva di una società consumistica di cui diventa sempre più difficile far parte. Non riesce a vivere senza continuare ad ottenere di più per compiacere persone che disprezza. Non vuole essere lasciato in disparte. La soluzione? Scatenare il suo malessere con se stesso verso gli altri. Fantasie e azioni di violenza si mescolano alla sua routine fatta di palestra, bevute con gli ‘amici’, cocaina e concerti. Forse questo è l’unico modo in cui Patrick possa trovare sollievo nella sua missione per integrarsi.

Tuttavia Patrick è una persona di successo ma non riesce a vederlo. La sua visione è oscura e distorta dal perenne confronto con gli altri in questioni davvero banali da cui ne esce quasi sempre perdente. Ad esempio, il confronto dei format dei biglietti da visita in ufficio.

rectangular white table with rolling chairs inside room
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Eccetto la salute mentale, gli impulsi omicidi e la completa sociopatia di Patrick credo che ci sia qualcosa o due da imparare da lui; prima tra tutte, la voglia di vincere.

E, a mio parere personale, credo sia questo il messaggio di American Psycho: non criticare aspramente la società consumistica e yuppie ma di aspirare alla grandezza e alla ricchezza con una mentalità equilibrata e logica, senza lasciare che il giudizio degli altri (positivo o negativo che sia) ti trasformi in un mostro. Credo che questo messaggio non sia tanto rilevante quanto oggi. È difficile trovare un uomo di successo ma ancora più difficile è trovare un uomo equilibrato… ed è questo che porta realmente al vero successo.

Il mio lo-fi

Durante le vacanze di Natale la biblioteca della mia Università era aperta ventiquattr’ore su ventiquattro. In quel periodo invertivo il giorno con la notte e varcavo le porte della biblioteca intorno a mezzanotte. Le sale erano completamente vuote. In quel periodo dell’anno tutti se ne tornano a casa dai propri genitori. Chi è che rimarrebbe da solo in una cittadina del Galles dove piove sempre nel periodo di Natale? Solo io e un orfanello con una cicatrice sulla fronte a forma di saetta.

Lo-fi, Monster e tempi andati

C’è qualcosa di magico nello stare da soli in una biblioteca mentre fuori piove e la pioggia scende lentamente sulle vetrate a mosaico raffiguranti due leoni rampanti (il simbolo dell’università). Ci sei solo tu.

Tu, te e te stesso seduti in un tavolo immenso da quindici persone. Il rumore del tuo respiro e della pioggia accompagnano le parole che scrivi insieme alla ronda del custode notturno che si fa vedere ogni due ore e ti offre una porzione dello spuntino preparato dalla moglie (arrosto con patate). La ventola di areazione del tuo portatile fa il suo lavoro (quasi) silenziosamente.

Passano ore.

Ho finito il lavoro per cui avevo sentito il bisogno di entrare in biblioteca (un tema sul cinema francese di Godard o qualcosa del genere) ma non voglio andarmene. Non piove più. Non voglio andare a casa. Apro il computer, digito ‘youtube’ e tra i video consigliati c’è un’immagine accattivante di una ragazza con le cuffie che studia china sui libri. Il titolo è: ‘Lofi hip hop mix Beats to Relax Study to 2018’.

Ci clicco sopra senza pensarci troppo e guardo le ultime gocce di pioggia colare dal mosaico di fuori. Il tempo vola. Non faccio neanche caso alla musica che non riesco a capire se sia malinconica, rilassante, triste o un curioso mix tra le tre. Penso alla fortuna che ho avuto ad andarmene di casa e non tornare per tre anni di fila. Penso a quanto sia bello vivere in un posto che mi piaccia sul serio. Infine penso a quanto sia bello il semplice fatto di essere semplicemente in vita. Mi alzo dalla sedia, cammino per quindici minuti fino al distributore automatico e mi concedo una Monster gelata al modico prezzo di due sterline e dieci. Ritorno al mio posto, stringo la lattina ricoperta da una patina di ghiaccio con entrambe le mani fino a quando non perdo parzialmente la sensibilità nelle dita e bevo un sorso.

Probabilmente questo è uno dei ricordi più belli della mia vita.

Al minuto ’09:05′ del video Lo-fi vedo sorgere l’alba. La cittadina è completamente addormentata. I lampioni rischiarano la fitta nebbia che avvolge quel posto tanto simile a Silent Hill. Il signor custode mi saluta e io ricambio. Apro la finestra dall’altro lato della biblioteca e il profumo dell’erba tagliata bagnata dalla pioggia mi sveglia più della Monster.

Tutto questo è successo più di tre anni fa sullo sfondo musicale del genere Lo-fi. Ogni volta che la ascolto ripenso a quella notte e a quel periodo fatto di solitudine e riflessioni. Quanto mi manca.

Yare yare. Perché apprezzo veramente qualcosa solo quando non ce l’ho più?

Non che questo abbia importanza. Fino a quando avrò una lattina di Monster, un foglio bianco e musica riuscirò sempre a vedere un’alba magnifica.

Blocco dello scrittore

Esiste qualcosa di peggiore che osservare un foglio bianco di word per ore senza avere la minima idea di cosa scrivere? Mi è capitato due ore fa. Cercavo di continuare il mio romanzo (fermo ormai da un mese a 15000 parole) e l’unica cosa che sono riuscito a scrivere è stata una semplice frase che troveresti in un libro di grammatica delle elementari: ‘la macchina era lì’. Non è la prima volta che capita e, di certo, non sarà l’ultima. Non penso esista una definizione generale come una malattia chiamata ‘blocco dello scrittore’, ma credo sia la manifestazione delle nostre paure personali che si materializzano quando cerchiamo di fare il nostro lavoro.

Forse è la paura di non avere abbastanza talento per raccontare una storia. Forse è la paura di non riuscire ad esprimesi al proprio meglio. Forse è perché la trama è a un punto morto e solo un elaborato quanto banale deus ex machina può salvarla. In ogni caso, non essere produttivi (a meno che non sia per scelta) non è mai un buon segno.

Ho ideato una breve lista di ciò che mi aiuta ad annientare il mio ego e proseguire il mio lavoro senza perdere la sanità mentale quando combatto con il foglio bianco esattamente come Guts cerca di non perdere la sanità mentale indossando l’armatura Berserk.

Guts combatte nello stesso modo in cui scrivo: perde la propria ragione per poi essere salvato da una strega (nel mio caso un energy drink).

NUMERO UNO

Scrivere qualcosa che non sia connesso alla storia che vuoi raccontare. Forse il problema è che sei troppo innamorato del romanzo che stai scrivendo (bene), vuoi renderlo perfetto in ogni riga (bene) e credi fermamente che sia il tuo capolavoro (bene, bene, bene). Però, forse, proprio perché sei innamorato della tua storia hai paura di rovinarla con un avverbio di troppo o uno sviluppo di trama che non ha senso. Nonostante questi dubbi siano più che legittimi, la paura può fare tanti danni quanto la presunzione nella stesura di un romanzo. Potresti considerare l’idea di scrivere qualcosa di interamente sconnesso dal tuo progetto principale: una storia breve, una descrizione, un dialogo, una piccola sceneggiatura, un blog, una email. In tal modo non avrai troppe paure di rovinare un progetto secondario e, magari, avrai il coraggio di ritornare al lavoro sulla tua opera magna e superare il blocco.

NUMERO DUE

Ascoltare musica. Lo so. Molti sono divisi su questo argomento. Alcuni pensano che la musica aiuti la creatività. Altri pensano che distragga. Io sono a favore della seconda ipotesi ma è un parere del tutto personale. Murakami ha scritto gran parte dei suoi romanzi (se non tutti) sullo sfondo musicale di jazz, Beatles e musica soft rock (piuttosto intuibile dai riferimenti senza fine nei sui libri). Stephen King ascolta Metallica e Anthrax. Io preferisco le melodie senza parole tra cui le composizioni orchestrali di Hans Zimmer (la mia preferita è la soundtrack de L’ultimo Samurai) e le sigle di chiusura degli anime (tra tutte, ‘Shock’ di Attack on Titan). Le ascolto solo per macchiare d’inchiostro la pagina bianca e rompere il silenzio assordante della mia mediocrità.

NUMERO TRE

Leggi qualcosa se non riesci a buttare giù nulla. Ogni scrittore dovrebbe essere prima un lettore. Il desiderio di scrittura dovrebbe sorgere dal desiderio di contribuire al mondo della letteratura con una storia ispirata ad altre. Leggere ed imitare sono fondamentali per ampliare i propri strumenti di scrittura. Leggere classici (sono classici per un motivo) e la letteratura moderna potrebbe essere una buona idea. Proprio oggi stavo rileggendo American Psycho. Leggere un romanzo talmente bello come quello, a volte, mi deprime poiché so che la scrittura di Breat Easton Ellis è divina e inimitabile. Tuttavia, il desiderio di creare qualcosa di simile è più forte di una inutile insicurezza. In più, a mio parere, non è male mettersi in competizione con individui di grande talento: è una occasione di crescita e aumenta la resilienza.

NUMERO QUATTRO

Esercizio fisico. Utile per far salire il sangue al cervello. Murakami corre ogni giorno 10 chilometri prima di scrivere. Ti aiuta a pensare con più razionalità e calma. Qualsiasi cosa va bene: un’ora in palestra, una corsa, una passeggiata, shadowboxing mentre pensi al destino avverso che la Mano di Dio ti ha riservato in un mondo fatto di lacrime e sangue mentre cerchi la tua vendetta. Il sudore aiuta a preservare il quoziente intellettivo nel processo di invecchiamento, aumenta il testosterone e offre nuovi spunti di scrittura, superando il blocco.

NUMERO CINQUE

Premiati. Stai per sederti su una sedia e scrivere in completa solitudine per (si spera) più di un’ora. Molti abbandonano l’idea della scrittura dopo un quarto d’ora su word a scegliere il font. Se non sei tra quelli, sei già nella top 60% degli aspiranti scrittori. Datti una pacca sulla spalla prima di incominciare e fai qualcosa di carino nei tuoi confronti. Nella tua carriera troverai molti rifiuti, molte delusioni e molte critiche verso il tuo lavoro (se sei fortunato). Pensa al presente: per il momento, sei da solo, di fronte al computer con in mente la trama del romanzo che cambierà la definizione stessa della narrativa (per quel che ne sai). Prenditi un caffè, un tè, una barretta proteica con almeno 20 grammi di proteine (per me una Monster bianca fredda è l’ideale) e sii la tua personale cheerleader. Se non lo fai tu, difficilmente lo farà qualcun altro.

Supporto morale e fisico in lattina. Ideale contro il blocco dello scrittore.

NUMERO SEI

Stabilire un ritmo. Diventerà sempre più facile eliminare i momenti di blocco se si scrive ogni giorno. L’ideale sarebbe puntare a un certo numero di parole da scrivere giornalmente e attenersi al proprio programma di scrittura.

Tutto diventa più facile. Bisogna farlo ogni giorno. Quella è la parte difficile. Però diventa più facile.’ Bojack Horseman (mi pare).

La costanza aiuta in qualsiasi disciplina. La scrittura non è un’eccezione.

Spero questi consigli siano stati d’aiuto o perlomeno moderatamente interessanti da leggere.

Lunghi giorni e piacevoli notti, fellow Strugglers.

Musashi Miyamoto II: Correre alle quattro del mattino (breve riflessione)

Questo è il mio terzo posto post in cui menziono Musashi Miyamoto. Ho sviluppato una leggera ossessione su di lui ma credo di essere giustificato: un ronin (samurai senza padrone) che non ha mai subito una sconfitta e che è morto di vecchiaia è una figura che appartiene più alla leggenda che alla storia. Musashi, poco prima della sua morte, compose il ‘Dokkodo’ in cui elenca le 21 regole per seguire la ‘Via della Solitudine’ che porta al successo personale.

“Accettate tutto nel modo in cui esso è”.
“Non cercate il piacere in sé e per sé”.
“In nessun caso dipendete da una parziale sensazione”.
“Pensate leggermente di voi e profondamente del mondo”.
“Siatene staccati dal desiderio per tutta la durata della vostra vita”.
“Non rammaricatevi di ciò che avete fatto”.
“Non siate gelosi”.
“Non fatevi rattristare da una separazione”.
“Il risentimento ed il rimpianto non sono mai appropriati né per se stessi né per gli altri.”
“Non lasciatevi guidare da un sentimento di amore o di lussuria”.
“In tutte le cose non abbiate preferenze”.
“Siate indifferenti a dove vivete.”
“Non ricercate il gusto della buona cucina”.
“Non mantenete il possesso più di quanto sia necessario”.
“Non agite seguendo le credenze comuni”.
“Non collezionate armi né fate pratica con le armi al di là di ciò che è utile”.
“Non temete la morte”.
“Non cercate di possedere i beni o feudi in ragione della vostra vecchiaia”.
“Rispettate il Buddha e gli dei senza contare sul loro aiuto.”
“Si può abbandonare il proprio corpo, ma è necessario preservare l’onore”.
“Mai smarrire la Via”.

Una vita molto dura sacrificata per il sogno di diventare lo spadaccino migliore del Giappone. Una vita senza alcuna soddisfazione, se non per il proprio lavoro, vale davvero la pena di essere vissuta? Musashi non ha avuto alcuni legami personali (nonostante non sia chiaro, quasi tutte le fonti storiche dubitano sul fatto che avesse moglie, figli o amicizie) e ha vissuto seguendo le proprie regole, rendendo il suo sogno realtà affinando ogni giorno l’arte della spada e seguendo la via del guerriero in completa solitudine. Si può davvero chiamare vita? Nel mio modesto parere: si. Ogni persona di successo il cui nome viene inserito nei libri di storia ha votato la propria vita a un sogno e un’ambizione molto più grande di loro. Hanno rifiutato ogni singolo compromesso per arrivare ai vertici del loro sogno. Mi chiedevo perché in quasi tutte le routine dei personaggi che più hanno successo, la componente dello ‘svegliarsi presto’ sia così essenziale.

-Elon Musk: sveglia alle sette (del mattino, ovviamente).

-Donald Trump: sveglia alle cinque e mezza (dichiara di dormire tre o quattro ore per avere più tempo produttivo)

-David Goggings: sveglia alle tre.

-Haruki Murakami: sveglia alle quattro. Scrive per sei ore. Fa una corsa di dieci chilometri al giorno… What a madlad.

Sono sicuro che lo stesso Miyamoto si svegliasse all’alba a esercitarsi con la spada. Dalla mia prospettiva ci sono diversi motivi per svegliarsi così presto:

  • Ci sono meno distrazioni.
  • Puoi ritagliarti tempo per te.
  • C’è meno competizione e ti senti una bestia. Chi è il pazzo che si sveglia alle 4 per andare a correre? Chi è il folle che lavora al proprio romanzo prima di attaccare il suo turno a lavoro?
  • La giornata inizia meglio se ti concentri sui tuoi progetti e sul tuo benessere.

Ho provato per tre mesi a svegliarmi considerevolmente presto. I primi giorni andavano bene ma dopo una settimana ricadevo nella mia vecchia routine. È difficile togliersi un’abitudine. Appena pensi di aver vinto una tua dipendenza, il giorno dopo cadi a terra come chiunque si sia battuto con Tyson quando aveva vent’anni.

Per motivarmi penso al futuro. A come sarebbe bello cambiare, vincere e rendere il mio sogno realtà. Pensavo a tutto questo quando mi sono svegliato alle quattro del mattino e ho corso per 11 chilometri (un chilometro in più per sentirmi superiore a Murakami). Alla fine mi faceva male persino quando respiravo. Non sono estraneo al cardio ma era da un mese che non correvo. Ho visto l’alba sulla riva del mare. Ho pensato a Musashi Miyamoto che vinse il suo duello contro il grande maestro Sasaki Kojiro su una spiaggia in un’isola vicino a Kokura. Ho pensato a Murakami che corre prima che il suo ultimo lavoro venga pubblicato e venduto. Ho pensato a Elon Musk e SpaceX. Per poco sono stato in pace.

Anche io voglio intraprendere ‘la via della solitudine’. Anche io voglio vincere cominciando dalla mattina. Oggi è stata una buona giornata (per adesso). Spero sia la prima di una lunga serie.