Da Shinji Ikari a Guts: una riflessione

La mia ultima visione di Evangelion risale a quasi tre anni fa. Non ricordo alla perfezione i dettagli, la storia e i riferimenti esoterici e biblici. La cosa che mi è rimasta più impressa, oltre alla mia amata waifu Rei Ayanami, è stato il protagonista Shinji Ikari: un eterno indeciso, introverso, schivo e con un principio di asocialità. Shinji rappresenta l’otaku medio giapponese che sfugge dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia. Come biasimarlo? Shinji è un quattordicenne abbandonato dal padre poiché considerato “inutile”. La morte della madre non ha di certo aiutato nella costruzione del suo carattere. Essere moralmente obbligato a pilotare quello che è all’apparenza un robot e avere il destino dell’umanità sulle spalle sarebbe troppo per tutti.

Non starò qui a parlare dell’affascinante quanto complessa trama di Evangelion, della splendida caratterizzazione psicologica dei personaggi, delle metafore e delle splendide animazioni. Ci vorrebbe un blog a tema o una serie di dieci video su youtube da un’ora ciascuno. Parlerò solo di due dei personaggi fittizi che amo di più in assoluto: Shinji Ikari e Guts. Non potevo scegliere due persone più differenti.

Ho sempre avuto molto in comune con Shinji sin da quando ero un bambino. Ho evitato, ed evito tutt’ora, di intrattenere relazioni sociali oltre lo stretto necessario. La folla mi mette a disagio. Vado al cinema da solo. Vado in palestra da solo. Scrivo da solo.  Ho sempre pensato a ciò come un motivo di grade orgoglio. Mi piace la solitudine e preferisco starmene per conto mio. Non la vivo male come cosa. Ho un paio di amici e una ragazza. Sto a posto da quel punto di vista. O almeno così credevo.

Un paio di eventi mi hanno costretto a riconsiderare tutto ciò. Spinto dall’idea del successo, del guadagno, ho scelto di iscrivermi a un corso per imparare i concetti di compra-vendita e diventare un broker. L’immagine che avevo in mente (Leonardo Di Caprio su uno yacht che lancia soldi ai federali come in The Wolf of Wall Street) non era molto calzante con la realtà che mi si presentava davanti: un ufficio pieno di persone che cerca di convincere sconosciuti al telefono per comprare i propri pacchetti azionari.

Più di un problema

 Le lezioni erano utili e motivanti. L’ufficio, al contrario, era soffocante. Non ero abituato a stare a contatto con troppe persone. Il solo atto di scegliere le persone dalle pagine gialle per rifilargli un discorso imparato a memoria mi dava dolore fisico. Small talk con i colleghi? Fantascienza. Da lì ho cominciato a sospettare di avere qualche problema. Un problema che mi trascino sin dall’infanzia e che non ho mai avuto modo di risolvere: il contatto umano. Questo è accaduto un anno fa. Ora ho un lavoro in una branca che mi piace e che, soprattutto, si svolge in smart working da remoto. Posso mascherarlo quanto voglio ma, un giorno, tornerà a perseguitarmi. Sono grato di aver lasciato quel posto. Ma sono anche grato dalle conclusioni che ne ho tratto.

E questo ci porta a Guts. Il guerriero nero (una figura chiave in queste pagine) è probabilmente l’antitesi di Shinji. Anche lui marchiato da traumi infantili, ben peggiori di quelli Shinji, ha trovato nella resilienza e nella forza di carattere il modo per sopravvivere, affrontando ogni sfida che gli si pari davanti. Non importa quanto essa possa sembrare impossibile (e alcune lo sono veramente): Guts applica i principi della leadership tanto cara agli imprenditori e sceglie di andare contro la corrente del destino per raggiungere il suo lieto fine. Guts è forse una delle figure a cui mi sono ispirato di più in questi anni per la crescita personale. Ma andare in palestra e conciliarla con il proprio lavoro non è abbastanza per svilupparsi come individuo.

Non è neanche lontanamente abbastanza.

Come Shinji, anche io decido di privarmi delle interazioni sociali per paura di farmi del male. Se ti privi di tutto, in fin dei conti, non ti succede nulla: non c’è dolore ma neanche crescita. Ma questo è un approccio completamente sbagliato che non porta a nulla se non ad avere rimpianti. E ciò non si riflette solo sui rapporti sociali ma anche sui propri obiettivi. Fortunatamente ho ritrovato una mia routine e sono di nuovo al lavoro. Non intendo il mio lavoro principale ma quello che mi porterà alla vita che voglio veramente.  Tutto sommato, sono fiducioso. Sono sulla strada giusta e il tempo è dalla mia parte. Sono ancora in tempo per diventare Nathan Drake.

Aggretsuko, un incubo kawaii

Scegli di svegliarti alle 7 del mattino. Scegli di vestirti bene. Scegli di andare a lavoro. Scegli di prendere il treno. Scegli di lavorare con persone che non ti piacciono. Scegli di essere una piccola ape operaia. Scegli di immortalare i momenti più significativi della giornata su Instagram e scegli di tornare a casa a dormire per poi continuare questo ciclo fino alla morte. Non è l’intro di Fight Club né un’introduzione a Trainspotting. Sto parlando di Aggretsuko: un anime con una simpatica e timida panda rossa come protagonista che lavora come impiegata in un ufficio contabile.

Retsuko ha 25 anni e ha finalmente trovato un lavoro stabile nella contabilità ed è pronta per essere un membro rispettabile della società. Inizialmente contenta del suo impiego, mese dopo mese, comincia pian piano a detestare il proprio lavoro. Le ore interminabili, i pettegolezzi in ufficio e la misoginia del suo capoufficio Tom (il fatto che sia rappresentato come un maiale non lascia troppo spazio all’immaginazione) rendendo la vita di Retsuko un inferno quotidiano che è costretta a ripetere ogni giorno con l’eccezione del fine-settimana.

Aggretsuko non si regola

Questo spin-off isekai anime kawaii di Fantozzi ha il preciso compito di descrivere la vita media di un impiegato giapponese. Non so quanto questo possa rispecchiare la verità dato che non sono mai stato in Giappone, ma osservando l’indice di suicidi ciò porterebbe a farmi pensare che, forse, un fondo di verità c’è. In effetti, sono molte le persone anche in Italia che potrebbero rispecchiarsi in una routine senza significato come quella descritta all’inizio del post. Tuttavia, la vita di Retsuko non è formata solo da passività e lavoro da ufficio.

Per sfogarsi delle piccole umiliazioni quotidiane, Retsuko è solita passare le notti al karaoke dove canta a squarciagola canzoni metal in cui sfoga la rabbia per la sua esistenza. Accidenti. E io che volevo semplicemente guardare un anime non troppo impegnativo… mio malgrado, sono stato trascinato in questo incubo esistenziale dai toni e dai colori kawaii. Ma Aggretsuko non è solo un potente riflesso dell’individuo medio nel ventunesimo secolo. Retsuko troverà dei validi alleati che la aiuteranno a sviluppare il suo carattere e la sua personalità. Avrà a che fare con amori, passioni e amicizie che la porteranno ad allontanarsi sempre di più dalla sua visione pessimistica della vita.

Nonostante i disegni che strizzano l’occhio al design di Hello Kitty e l’assenza di un linguaggio scurrile, Aggretsuko si rivela una sorpresa sotto ogni punto di vista raggiungendo a volte le vette di pessimismo filosofico di Bojack Horseman, offrendo una critica velata alla società senza tuttavia diventarne prigioniera. Un personaggio creato apposta per rappresentare noi stessi. So bene cosa significa arrivare a pensare: “C’è dell’altro?”. Non passo i giorni al karaoke ma guardo le serie tv e ascolto podcast di Joe Rogan. Non è forse la stessa cosa? Un anime raccomandato letteralmente per tutti, con la premessa che solo in pochi potranno apprezzarlo a pieno.

Dopo aver visto le prime tre stagioni di Aggretsuko posso finalmente tornare alle mie attività da Sigma: finire la terza stagione di The Boys, che non senza sorpresa , non mi ha preso come la terza stagione di Aggretsuko.

Vinland Saga, perdono o odio?

È davvero possibile cambiare come persona? Può un essere animato da puro odio e vendetta diventare un pacifista? Vinland Saga è stata una piacevole sorpresa. Dopo la quinta visione di The Northman avevo sete di storie di vendetta. Uno dei primi risultati su Google è stato Vinland Saga, un manga ambientato nell’era dei vichinghi. La trama era tanto semplice quanto quella di The Northman. A uccide B e C cerca vendetta per B con il chiaro intento di uccidere A. Non è un caso se la maggior parte delle storie che hanno per protagonisti i vichinghi hanno come tema il regolamento dei conti. Una delle divinità più importanti è rappresentata da Víðarr che incarna il concetto stesso di vendetta.

“Fra cespugli cresce, ed erba alta,

la terra di Viðarr, e fra boscaglie;

là si farà il fanciullo, a dorso di cavallo, abile,

per vendicare il Padre.”

(Dal Canzoniere Eddico)

Il dio Víðarr prenderà parte al Ragnarǫk, la fine del mondo, e il suo compito sarà quello di vendicare il padre Odino. Non esiste nulla come la vendetta per salvare il proprio onore e il proprio ego. Ma la vendetta non è solo un qualcosa di interamente negativo. Fare del male a coloro che hanno fatto del male alla fin dei conti non è altro che giustizia. Temere una rappresaglia per aver commesso un’ingiustizia ha altresì la funzione di stroncare un crimine prima che esso possa nascere.

Se non si pagasse per i reati commessi, quanti di noi si macchierebbero delle colpe più gravi? Sospetto in molti. E se si parla di pagare per un torto subito, il concetto di “perdono” non sarebbe forse un affronto per le vittime? Come potrebbe essere possibile perdonare qualcuno che ha recato una grave offesa a un proprio caro? Un furto, una violenza, un’umiliazione, un omicidio? Si potrebbe controbattere che il vecchio e caro concetto di “occhio per occhio” possa portare solo più disperazione e odio, il quale porterebbe a una nuova rappresaglia, in un ciclo di vendetta senza fine. Si deve essere davvero delle persone incredibilmente forti (o incredibilmente deboli) per lasciare le proprie fantasie di vendetta e concentrarsi sul futuro.

Questo è l’enigma di Thorfinn, il quale ha visto il padre morire per mano di un mercenario senza alcun motivo apparente. Da bambino sorridente e amabile, Thorfinn lascia che la rabbia e l’odio prendano il sopravvento e medita vendetta. È solo un bambino di sei anni ma comincia il suo allenamento. Askeladd, l’assassino di suo padre, vedendo del potenziale in lui, gli fa una proposta: unirsi al suo esercito, dimostrare il proprio valore in battaglia, e guadagnarsi il diritto di affrontarlo in un duello per vendicare suo padre. Perché Thorfinn non intende tagliare la gola ad Askeladd nel sonno. Non sarebbe onorevole: deve vendicare suo padre vincendo onestamente in un duello. Ed è così che il giovane Thorfinn inizia il suo apprendistato sotto il comando dell’assassino del padre.

“Il più forte vive e il più debole muore” diventa il suo nuovo mantra e agisce di conseguenza, unendosi ai Danesi e razziando le città della Gran Bretagna. Fino a quando, per una circostanza fortuita, il suo desiderio di vendetta gli viene rubato. Ciò lo fa diventare un guscio vuoto. Senza vendetta, Thorfinn non è nulla. Qui inizia il suo cammino verso la guarigione, ma non è mai interamente possibile sfuggire dal passato (un tema molto caro anche all’ultimo God of War che non a caso tratta della mitologia norrena). Forse è impossibile essere dei non violenti in un mondo del genere. Un manga assolutamente consigliato che si avvicina all’ambiguità morale di Berserk e Vagabond.

Thorfinn di Vinland Saga, Mushashi di Vagabond e Guts di Berserk intorno a un fuoco parlando delle proprie cicatrici. Grazie a chiunque abbia creato questo video (The MMV Maker).

Guts vs Griffith, Devilman vs Satan, battaglie perse e scendere a compromessi

Uno dei motivi principali per cui adoro Guts come personaggio è il fatto che rappresenti l’incarnazione della persevaranza e della forza di volontà umana contro un destino crudele e ingiusto.

Guts si scontra letteralmente contro una divinità maligna e indifferente al genere umano. Sta combattendo contro la casualità soffrendo ogni singolo giorno per avere il diritto di respirare. Ho riflettuto a lungo se la battaglia di Guts abbia senso o meno. Può un essere umano nuotare realmente contro corrente e prevalere nei confronti di un essere superiore? Si può combattere contro il freddo giudizio della casualità? Si può davvero vincere in una situazione disperata e senza via d’uscita?

Il fatto è che la battaglia di Guts (almeno per me) è già persa in partenza. Non può vincere: è solo un uomo contro il volere di esseri divini che sorvegliano il flusso del mondo.

La sua battaglia personale è nobile o stupida? Combattere e porsi un obiettivo al di là delle proprie capacità ha senso o solo uno spreco di tempo? Il personaggio dello ‘struggler’ che fatica ad avanzare e combatte una battaglia che non può essere vinta è fonte di ispirazione o una tragedia?

Difficile dare una risposta.

Stesso discorso vale per Devilman e il suo scontro contro Satana. L’umano Akira Fudo (nonostante abbia i poteri di Amon) non ha alcuna speranza di vincere contro Satana, l’angelo caduto. Semplicemente non è possibile. Eppure, Devilman combatte lo stesso per vendicare i torti subiti nonostante abbia avuto l’opportunità di unirsi a Satana.

Una parte di me crede che sia inutile combattere una battaglia persa. Il sogno (per quanto bello possa essere) spesso non combacia con la realtà e non ci si può fare nulla al riguardo. Non importa che gli anime dicano il contrario. Ci sono cose che non si possono fare. Provarci mi renderebbe una persona caparbia o folle?

Devilma contro Satana

A mio parere mi renderebbe entrambe le cose. I miei eroi personali della finzione (e della realtà) sono coloro che si sono misurati in sfide più grandi di loro e hanno vinto… o perso. Anche se hanno perso, però, hanno avuto il coraggio di accettare una sfida che avrebbe potuto cambiare loro la vita. Non è forse meglio tentare e fallire con la consapevolezza di aver puntato al cielo che non tentare e basta? Non è forse meglio puntare tutto su un progetto senza accettare un singolo compromesso?

Devilman: una guerra persa in partenza

In teoria suona bene… ma in pratica? Viviamo in un mondo reale in cui bisogna trovare un modo per sopravvivere. Il compromesso è d’obbligo persino per le persone che hanno avuto la fortuna (o, per meglio dire, l’abilità) di rendere la propria visione una realtà. Ed è per questo che accettare compromessi mantenendo la propria visione e il proprio sogno come punto focale non è una dichiarazione di sconfitta ma semplicemente un momento di passaggio. Per rendere possibile l’impossibile, a volte, è necessario venire meno ai propri principi. Tuttavia, è di vitale importanza non farsi sviare dalla propria ‘battaglia impossibile da vincere’ (qualsiasi sogno) per accettare una via più sicura e più battuta rappresentata dal compromesso accettato in precedenza….

Molto difficile farsi capire senza un esempio pratico.

Diciamo che ho avuto un offerta di lavoro completamente diversa da ciò che vorrei fare in futuro. Non è un lavoro part-time ma una carriera vera e propria cui dovrei sacrificare molto tempo ma che mi ricompenserebbe un bel po’. Non so se accettare o meno.

Accettando, forse, avrei una vita più semplice e con meno pensieri… ma forse mi consumerebbe a tal punto da farmi distogliere l’attenzione dal mio obiettivo di uccidere il mio Griffith (ovviamente una metafora per il mio sogno impossibile).

Non accettando, forse, avrei più tempo per focalizzarmi sulla realizzazione del mio sogno scegliendo un lavoro part-time con molte meno ore e con un quinto del guadagno (e il triplo dello stress).

Decisioni…

il fatto che tra dieci anni il peso delle mie decisioni plasmerà completamente la mia vita (sospetto anche molto prima) non mi fa dormire la notte. Griffith mi direbbe di fare qualsiasi cosa per il mio sogno e accettare la miglior offerta senza venir meno alla mia visione. Avrò davvero la forza per farlo o mi farò inghiottire dalla casualità, dalla Mano di Dio e dal falò dei sogni come la grande maggioranza delle persone che incontro?

Guts direbbe di fare ciò che voglio e vivere con le conseguenze delle mie azioni.

Sarà una lunga notte…

Devilman Crybaby rewatch (episodi 1-5)

Devilman Crybaby è stata l’opera che mi ha veramente appassionato al mondo degli anime e dei manga. Una delle creazioni più originali e tragiche che io abbia mai avuto il piacere di sperimentare. Ho visto l’intera serie più di una volta e letto il manga ben più di una volta. A ogni visione e rilettura speravo che le sorti dei protagonisti cambiassero e che, forse, quel ciclo insensato di odio e di violenza cambiasse. Questa, però, non era l’intenzione del geniale creatore Go Nagai.

Ho visto recentemente i primi cinque episodi della serie arrivando a metà dell’opera. Il quinto episodio (Devilman contro Silen per intenderci) è uno dei miei preferiti: la scena di sesso mista a scontro fisico è uno dei momenti più elevati della serie.

Il conflitto mentale dell’umanità di Akira Fudo e la violenza mista a desiderio scaturita dall’unione con il demone Amon producono uno degli scontri più belli della storia degli anime. Ma procediamo con ordine:

Il primo episodio si apre con un piccolo monologo di Ryo: ‘L’amore non esiste….lgià, l’amore non esiste e perciò non esiste neanche la tristezza. O almeno così credevo.’

Ci vengono mostrate due mani intente nel creare qualcosa, plasmando una forma nell’oscurità dello schermo. La voce di Ryo svanisce. Le mani creano luce. Passiamo subito all’infanzia di Akira e Ryo.

Ryo continua il suo monologo spiegando la differenza tra lui e Akira. Ryo è malvisto dalla comunità e non prova pietà o empatia verso gli esseri viventi. Akira è l’esatto opposto: è un bambino dall’empatia così grande che piange ogni volta che qualcuno è triste.

C’è un salto temporale di dieci anni. Ryo corre a tutta velocità sulle autostrade giapponesi.

‘Akira, ho bisogno di te!’ urla a se stesso.

Ancora non sappiamo il motivo.

Sin da subito ci vengono presentati queste due persone che sono agli opposti. Akira era un bambino sensibile e pacifico e tale è rimasto nell’adolescenza. Ryo è un professore in un college americano a 16 anni… ricordiamoci che questo è un anime.

Ryo non ha paura di infrangere la legge e non esita un secondo a reagire se provocato. Ryo si precipita da Akira per richiedere il suo aiuto. I demoni (i veri abitanti del pianeta Terra) si sono risvegliati e hanno intenzione di riprendersi il loro pianeta. Si stanno mischiando nella societa umana ed è impossibile distinguerli. Ryo chiede ad Akira di partecipare con lui al Sabbath, la messa nera in cui i demoni si riuniscono, per poter documentare la loro esistenza e aiutare il genere umano a proteggersi dalla minaccia.

Il sabbath si scopre che è una discoteca in cui sesso, violenza e droghe circolano a fiumi.

In fin dei conti questa è la vera essenza degli umani e non solo dei demoni. I demoni sono attirati dal sangue perciò Ryo comincia a squartare persone indiscriminatamente nella pista da ballo. Il sangue richiama i demoni nascosti nelle forme umane, i quali fanno una strage nel Sabbath uccidendo tutti.

Akira però ha la fortuna di unirsi a un demone. Il suo cuore puro e la sua umanità gli permettono di non essere preda del demone Amon perciò non rinuncia al possesso della sua mente e del suo spirito.

Akira diventa Devilman: un cuore umano dentro un corpo da demone.

Ho riflettuto spesso sulla figura di Akira e il fatto che abbia assimilato i poteri di un demone conservando la sua umanità senza diventare un mostro. Per sopravvivere in questo mondo è indispensabile essere forti e capaci. Per sopravvivere è indispensabile essere dei mostri quando serve… conservando ovviamente un codice morale che ci vieti di essere delle bestie. Akira Fudo era un ragazzo gentile e sensibile (il che è un bene) ma era completamente impreparato ad avere una vita di successo e a farsi valere contro i bulli del quartiere e i pettegolezzi che circolavano nella sua scuola (il che è un male).

Akira ha avuto il coraggio di entrare nel Sabbath dove avrebbe potuto rischiare la vita ma ne è uscito vivo più forte e più saggio.

Non sarà mai più sensibile come prima dato che ha dovuto perdere parte della sua innocenza rendendosi conto di quanto il mondo sia brutale e di quanto i demoni siano pericolosi, ma è riuscito a conservare gran parte della sua identità basata sull’empatia e l’amore per il prossimo.

Essere dei mostri è indispensabile per sopravvivere ma conservare la propria umanità nel processo è altrettanto importante. A volte gli umani sono ancora più disgustosi dei demoni poichè si lasciano sopraffare dalle proprie paure e dalle proprie debolezze mentre i demoni sono creature pure dato che pensano solo ad uccidere e nutrirsi. Per essere davvero forti è indispensabile avere entrambe le componenti che distinguono un demone (forza, ambizione, fame e voglia di vincere) e quelle che dovrebbero distinguere un umano (sensibilità, gentilezza ed empatia)… in sostanza, diventare un Devilman. Indossare colori neri per portare la luce (come Akira) e non il contrario come la sua controparte (Ryo).

Training arc III- Il mio allenamento e quello di Guts

Era da tempo che non scrivevo qualcosa del genere. Stavo rileggendo Berserk per la nona volta e mi sono soffermato sul capitolo in cui Guts comincia ad allenarsi dopo aver lasciato la banda dei Falchi. Guts ha abbandonato Griffith per seguire il suo sogno e sentirsi alla pari del suo comandante. Dopo aver intrapreso la via della solitudine, Guts comincia ad allenarsi senza sosta per inseguire un sogno che lo possa mettere nello stesso piano esistenziale di Griffith. In più, il ricordo di Zodd l’immortale lo perseguita ancora. Si è battuto contro una divinità e, per la prima volta, si rende conto che se vuole sopravvivere deve rinunciare a parte della sua umanità nel processo. La sopravvivenza del corpo e dello spirito necessita della morte (anche metaforica) dei suoi avversari. Le divinità non sono benevole nè malevole ma seguono il corso della casualità. Per nuotare contro la corrente del caso bisogna essere ridicolarmente forti.

Guts ne sa qualcosa. Sin da bambino ha dovuto impugnare la spada (due volte più grossa di lui) per sopravvivere. Guts è nato dal cadavere di sua madre; si potrebbe dire che lui sia il figlio della Morte stessa. La vita è sofferenza e cambiare la propria vita porta ancora più sofferenza. Per questo Guts deve spingersi ai suoi limiti per andare contro il volere degli dei, sopravvivere e raggiungere la pace.

Il viaggio di Guts è profondamente umano ed è un qualcosa che la grande maggioranza delle persone deve affrontare. Anche io mi sto imbarcando in un viaggio nell’oscurità dal quale non potrei fare ritorno… o, per farla meno tragica, il me stesso del passato non potrebbe più fare ritorno. La sopravvivenza e il prevalere nei confronti della vita richiedono una grande abilità e, il mio compito, è quello di acquisire suddette abilità.

Questa è la routine che seguo da ormai quattro giorni.

  • Sveglia alle 08:00
  • Corsa più allenamento a corpo libero (tra poco ritornerò in palestra)
  • Colazione
  • Scrivere tra le 500 e le 1000 pagine del mio romanzo
  • Lavoro (paragonabile alla stanza dello spirito e del tempo di DragonBall… un minuto lì equivale a un’ora nella vita reale)
  • Pranzo
  • Lettura
  • Blog
  • Invio candidature
  • Lavoro
  • Viaggio per tornare a casa
  • Aggiornamento del mio diario
  • Dormire

Probabilmente Guts riderebbe della mia routine ma per il momento è ciò che riesco a fare.

Devo dire la verità: credevo che seguire religiosamente una routine avrebbe aiutato il mio umore considerato che sto facendo ognuna di queste cose per migliorare la qualità della mia vita ma sento solo un senso di vuoto e stanchezza. Mi chiedo se anche Guts si sia sentito così.

La risposta è nel manga ed è ‘si’.

Guts non sa neanche la direzione in cui va la sua vita ma va avanti e lo fa senza porsi troppe domande. Ha un obiettivo da raggiungere e non si farà mai scoraggiare neanche dall’essenza stessa del male. Immagino che per il momento anche io abbia l’unica opzione di andare avanti. Posso solo fare ciò che ritengo sia giusto, perseguire il mio obiettivo impreciso e avere la speranza (o la stupidità) di credere che potrò anche io nuotare contro la corrente della casualità.

Record of Ragnarok, gerarchia sociale e successo

È ormai da tempo che penso all’idea di gerarchia sociale e di quanto quest’ultima sia importante per il benessere fisico e spirituale. Cos’è la gerarchia sociale? Occupare un determinato posto in un gruppo sociale o in una semplice interazione. Mi spiego meglio: di solito chi è ricco o ha un buon lavoro è estremamente popolare e occupa una scala di rilievo nella gerarchia sociale. Questo è fondamentale per diversi motivi:

  • Chi è ben visto e chi occupa una posizione di potere ha una qualità della vita estremamente superiore in termini di casa, ricchezza, scelta del partner e sopravvivenza dei propri geni.
  • Chi è benestante ha una aspettativa di vita migliore e più lunga. Come dice il detto: ‘Quando l’aristocrazia prende un raffreddore, la classe operaia muore.’
  • Occupare una posizione migliore nella società porta a un’educazione migliore (licei privati, università, tutor) , la quale porta a occasioni lavorative migliori, le quali portano a una vita migliore.

La vita di un impiegato di una azienda minore, di un senza tetto e di una rockstar di fama internazionale sono completamente diverse. Percepire gli altri in base al loro ‘status’ fa parte della natura umana e non ha nulla a che fare con forme di governo o società.

Il buon Jordan Peterson (di cui ho parlato spesso in precedenza) accomuna l’essere umano con l’aragosta. Nonostante questi esseri possano sembrano cosi diversi l’uno dall’altro… hanno diversi punti in comune. Entrambi lottano per la sopravvivenza e la loro società è divisa in vincitori e vinti.

Quando due aragoste si combattono per il territorio, l’aragosta vincente occupa il posto desiderato. Ha una fissa dimora e ha accesso alle signore aragoste.

L’aragosta vincente ha una scarica di endorfina e serotonina che le fa credere di occupare un posto di rilievo nella ‘società’ delle aragoste.

L’aragosta perdente, al contrario, non produce endorfina e serotonina (indispensabili per il benessere fisico e psicologico): non ha un posto dove vivere, è stata dominata e deve convivere con l’umiliazione della sconfitta. L’aragosta perdente è dominata non solo nel corpo ma anche nella mente: ciò la porterà a perdere anche la prossima volta.

Questo è uno dei drammi della specie animale. Chi più ottiene più otterrà. Chi più perde più perderà. Le aragoste vincenti oseranno sempre di più ed espanderanno il loro territorio. Hanno già vinto in passato e ciò fa loro credere che vinceranno in futuro. Le aragoste perdenti occuperanno il fondo della gerarchia sociale considerato che hanno perso in passato e probabilmente perderanno in futuro: si faranno più piccole, meno aggressive e più propense a scappare e a non avere una dimora fissa.

L’essere umano è simile. Chi più vince, chi più osa, più vincerà. Chi più perde, più perderà. Questo è uno dei motivi per cui, per esempio, chi è stato vittima di bullismo al liceo lo sarà anche nella vita adulta mentre i bulli avranno la confidenza necessaria per combattere nella vita di tutti i giorni e vincere.

Ma… la buona notizia è che gli esseri umani non sono aragoste. La situazione si può benissimo ribaltare. Da un punto A si può benissimo arrivare a un punto B e non importa quante sconfitte si hanno all’attivo. E chi prende posizione, chi sceglie di reagire avrà sempre di più. Questo mi porta a Record of Ragnarok.

Di cosa parla in breve: gli dei di tutte le religioni (Zeus, Shiva, Ares, Thor…) hanno deciso di estinguere la razza umana. Una valchiria si oppone alla decisione degli dei e proponi tredici scontri: gli umani più forti contro gli dei più forti. Chiunque vinca sette scontri per primo sarà dichiarato vincitore. Se gli umani vincono, l’umanità potrà vivere per altri 1000 anni. Se gli dei vincono, l’umanità verrà estinta per sempre. C’è solo un problema: gli dei sono troppo potenti. Gli umani non possono nulla contro di loro. Il creato non può distruggere il creatore. Giusto? Giusto?

Forse. Il fatto è che gli umani non vogliono morire e il loro senso di sopravvivenza li porterà a battersi contro lo stesso concetto di Dio. Uno degli scontri che ho adorato di più è stato il terzo: Kojiro Sasaki contro Poseidone.

SPOILER PESANTI

OK.

Kojiro Sasaki (realmente esistito tra l’altro) è conosciuto da tutti per essere stato ucciso da Musashi Miyamoto, il più grande spadaccino della storia.

Che speranza ha Kojiro di uccidere Poseidone, uno degli dei più forti della mitologia greca? Quasi nessuna. Kojiro ha perso per quasi tutta la sua vita. Ha passato decine di anni ad allenarsi e a battersi con persone più forti di lui e ne è sempre uscito perdente. Ha passato notti insonni a elaborare tattiche e a maledirsi per non essere bravo abbastanza ma non ha mai abbandonato la ‘via della spada’ (o via della solitudine come la chiamerebbe Miyamoto). Non ha mai smesso di allenarsi neanche da morto. Ogni suo singolo fallimento lo ha portato nella sua battaglia senza speranza contro Poseidone. Gli umani che hanno combattuto prima di lui (Adamo e Feng Xian) sono morti. Se non ce l’hanno fatto loro lui non dovrebbe avere nessuna possibilità. Eppure… Kojiro ha vinto. La voglia di vincere e il suo desiderio di rivalsa per una vita passata a perdere lo hanno portato a uccidere un dio come Poseidone. Prima vittoria per l’umanità.

Il desiderio di vittoria è dentro ogni essere umano. I traumi del passato sono orribili e non sempre capita ciò che si merita. L’importante è andare avanti un passo alla volta. Con costanza, lentezza, caparbietà e intelligenza è possibile fare di tutto… anche uccidere un dio.

Il falò dei sogni II- La missione di Guts ha senso? (Berserk post Eclissi)

Stavo rileggendo il volume 14 di Berserk per l’ennesima volta. Guts e Caska sono sopravvissuti all’Eclissi ed entrambi sono stati segnati dal marchio del sacrificio che li renderà preda dei demoni e degli incubus notturni. Ormai i due fanno parte di entrambi i mondi: quello terrestre e quello divino. Non saranno mai più gli stessi. Caska ha perso la sua sanità mentale e non può più parlare o pensare con razionalità. Guts è alimentato dall’odio e dalla rabbia verso Griffith e il suo passato; quelle stesse emozioni lo portano a sopravvivere e a cercare vendetta contro lo stesso concetto di Dio. Guts è potente ma è pur sempre un umano. Il suo obiettivo è far sanguinare la mano di Dio. Non si sarà scelto, forse, un nemico troppo forte?

C’è qualcosa di davvero triste e d’ispirazione nel suo viaggio verso la vendetta. Un uomo diverso sarebbe impazzito ma lui affronta a testa alta ogni sfida per uscirne ogni volta, se non vincente, vivo. Non può dimenticare ciò che gli è stato fatto e non può rimanere insieme a Caska cercando di costruire una vita completamente nuova. Il suo dolore e quello dei morti (simbolizzato dai demoni incubus) non lo fa dormire ed è costretto a menare fendenti dalla mattina alla sera solo per avere il diritto di respirare. Nel suo percorso verso la vendetta, Guts sta perdendo poco a poco la sua umanità… il che ha senso: per uccidere l’essenza stessa del male e nuotare contro la corrente della casualità, Guts deve diventare ciò che più odia.

Ho riflettuto a lungo se la missione di Guts abbia senso o meno. Griffith, in fin dei conti, è rimasto fedele al suo sogno e alla sua visione quando ha scelto di sacrificare la squadra dei falchi. Ogni membro della squadra era consapevole di essere uno strumento di Griffith. Erano suoi soldati, compagni e amici. Tuttavia, molti di loro sono morti nel corso delle battaglie nel nome di Griffith. Erano consapevoli a cosa sarebbero andati incontro. Lo stesso Guts assume un atteggiamento fortemente stoico nel corso delle battaglie della Golden Age.

Griffith o Guts? Una chiave di lettura di Berserk

‘Se moriremo… allora moriremo. I campi di battaglia sono così.’

La squadra dei falchi è consapevole di rischiare la vita per il sogno di Griffith. Erano materiale da sacrificio ben prima dell’Eclissi. Che differenza c’è tra morire per Griffith in un campo di battaglia o come sacrificio per la Mano di Dio? I soldati non sapevano di essere già in pericolo per il solo fatto di essere sottoposti di Griffith?

Ha un senso per Guts cercare vendetta quando lui stesso abbandonò la squadra dei Falchi per inseguire il suo sogno ed essere il pari di Griffith? Ha senso per Guts cercare vendetta quando ha abbandonato Caska e Rickert per la sua missione senza speranza?

Forse la missione di Guts non solo è senza speranza ma anche senza senso.

Mi è difficile rispondere a queste domande. Da un punto di vista razionale sono propenso a simpatizzare per Griffith. Da un punto di vista emotivo sono propenso a simpatizzare per Guts.

Griffith è un chiaro esempio di una persona ambiziosa che farebbe di tutto per raggiungere il suo obiettivo e che conosce se stessa. Guts non ha una profonda conoscenza di se stesso: da quando è bambino è costretto a vivere per la via della spada. Forse il sogno e l’essenza di Guts è solo quello di combattere per sopravvivere. La squadra dei falchi è stato il suo primo vero contatto umano positivo. La sua privazione è stato un duro colpo alla sua psiche. La vendetta sembra sia l’unica strada per riacquistare la sanità mentale ma così facendo sta già incrinando i rapporti con Caska.

Qualsiasi sia la risposta, credo che Guts sia un esempio da seguire. Rappresenta la resilienza umana esattamente come Griffith rappresenta l’ambizione. Molto spesso, questi elementi, sono carenti in ciascuno di noi. Il suo viaggio può essere paragonato alla vita di ciascuno di noi.

Non so se Berserk verrà mai completato (spero di no) ma non posso fare a meno di sentirmi fortunato ad essere nato nella stessa epoca in cui è stato pubblicato Berserk. A volte mi sento come Guts. A volte mi sento come Griffith. Nonostante sia difficile capire chi sia nel giusto o chi sia nel torto… questi uomini sono entrambi eccezionali.

Non sarebbe un cattiva idea aspirare ad essere una via di mezzo tra questi due che hanno il coraggio di nuotare contro la corrente del destino e della casualità.

Tournament of power- Ioscrittore, Pugilato e Musashi Miyamoto

Gira voce che Musashi Miyamoto sia stato l’unico ronin (samurai senza padrone) in tutta la storia del Giappone a non essere mai stato sconfitto. Un uomo la cui storia si confonde con la leggenda: si sa davvero poco di Musashi. Venne addestrato nell’arte della spada sin da giovanissimo. Era un solitario che disprezzava l’igiene personale, il genere femminile e la debolezza. A 13 anni sconfisse un maestro samurai attaccandolo a sorpresa con la sua spada di legno. Da lì il nome di Miyamoto continuò a crescere. Trascorse gli anni dell’adolescenza con un cartello di legno appeso al suo collo: ‘chiunque voglia sfidarmi sarà il benvenuto’, recitava.

A 16 anni prestò il suo servizio al clan Mitsunari nella famosa battaglia di Sekigahara. Il clan Mitsunari venne sconfitto e Miyamoto riuscì miracolosamente a sopravvivere. Da quella battaglia, Miyamoto decise di perseguire la via della spada e diventare lo spadaccino più forte della storia. Ancora non è chiaro se Miyamoto vinse ogni singolo duello (un fatto davvero improbabile) ma una cosa è certa: morì in età avanzata (probabilmente intorno ai 61 anni) stroncato da un tumore allo stomaco. Considerando che la vita media di un guerriero del Giappone nell’età feudale si aggirava verso i trent’anni.

people watching two men in fighting arena
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Un vecchio che sopravvive in un lavoro in cui si muore giovani potrebbe sapere una cosa o due sulla vita. Miyamoto scrisse della sua esperienza di vita nella sua opera più conosciuta, ‘Il libro dei cinque anelli’. Il libro è suddiviso in cinque parti: il libro della terra, il libro dell’acqua, il libro del fuoco, il libro dell’aria e il libro del vuoto. Ogni sezione indica il corretto comportamento che un aspirante guerriero deve adottare per trionfare sui suoi nemici: le tecniche di scherma, la supremazia fisica e mentale e la psicologia fanno tutti parti della ‘via della solitudine’ (la via che ogni guerriero deve percorre poiché solo nella solitudine si può trovare la via per la vittoria).

Questi sono i nove dogmi che elenca:

1: Non coltivare cattivi pensieri

2: Esercitati con impegno

3: Studia tutte le arti

4: Conosci anche gli altri mestieri

5: Distingui l’utile dall’inutile

6: Riconosci il vero dal falso

7: Percepisci ciò che non vedi con gli occhi

8: Non essere trascurato

9: Non abbandonarti in attività inutili

Musashi pensava che la via del successo fosse percorribile da tutti, ma che, allo stesso tempo, non tutti fossero capici di percorrerla. Spiego questa orribile frase: tutti potrebbero (in teoria) avere la capacità per raggiungere la grandezza ma sono davvero poche le persone che si impegnano con tutta la loro volontà e sacrificano la propria vita all’insegna del loro sogno.

Se un uomo non sacrifica i piaceri del presente e non dedica ogni minuto della propria vita al proprio futuro, ha poi ragione a lamentarsi se non raggiunge la vetta? Riuscirà ad essere abbastanza maturo e intelligente per dire, ‘è colpa mia e solo mia se ho fallito?’

Musashi ha colto nel segno. Solo con una grande fermezza mentale e un desiderio bruciante si può raggiungere la via del successo in qualsiasi campo.

Il pugile Mayweather non è mai stato sconfitto (si potrebbe definire il Musashi dei nostri tempi). Ma qual è stato il prezzo? Una routine disumana che ben pochi pugili possono riuscire a fare:

Tre round di shadowboxing. (ricordo che ogni round dura tre minuti)

Quattro round ai pads.

Due round focalizzati ai colpi al corpo.

Quattro round (12 minuti) al sacco.

E così via. Per quaranta round. Un totale di centoventi minuti. Senza contare il minutaggio di riposo, la corsa, lo sparring e la dieta ferrea. Come dice lui stesso: ‘Studio ogni avversario che combatterò. Se il mio avversario corre otto chilometri ogni mattina, io corro dieci chilometri. Se lui corre dieci chilometri, io corro 12 chilometri.’

Mayweather è il migliore per una ragione: antepone il suo allenamento, la sua carriera e il suo sogno a qualsiasi cosa. Il pugile, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

Prendiamo un uomo molto diverso ma dallo stesso successo.

Stephen King ha un ritmo di scrittura di duemila parole al giorno, trascorrendo quattro ore sulla macchina da scrivere e le altre ore a leggere romanzi di narrativa. Tutto questo mentre lavorava come insegnate di inglese e lavorava come addetto alle pulizie a una lavanderia di Bangor, nel Maine. Lo scrittore, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

E questo ci porta alla parte finale di questo articolo. Ho partecipato al torneo di Ioscrittore quest’anno. Per chi non lo sapesse, Ioscrittore è un ‘torneo’ di scrittura in cui mandi le prime venti pagine del tuo manoscritto al sito e dieci persone a caso (partecipanti anche loro del torneo) lo valutano. Tu fai la stessa cosa e leggi dieci opere di altri aspiranti scrittori. Dai un voto da 1 a 10 sui vari aspetti del romanzo che hai letto (un voto per i personaggi, trama, storia e grammatica) e scrivi un giudizio complessivo. Se le pagine del tuo romanzo raggiungono una certa media puoi passare alla fase successiva.

Ieri hanno annunciato i nomi dei vincitori della prima fase e io non ero tra quelli. Lo sapevo ancora prima di inviare le pagine che non avrei vinto. Il mio romanzo è in inglese. Per partecipare al concorso ho dovuto tradurre 40 pagine dall’inglese all’italiano in meno di sei ore (come sempre mi ero ridotto all’ultimo). Alla fine della quinta ora non avevo neanche la forza di rileggerlo per quanto duramente avevo lavorato per mandare quelle pagine al concorso. Quando le inviai sapevo di aver fatto un lavoro frettoloso e pieno di errori. Tuttavia, poco prima di sapere i risultati, una parte di me sperava di aver vinto. Anzi, ne ero sicuro… per quanto stupida fosse quella sicurezza.

Il fatto è che se non sono riuscito a nel mio intento devo maledire solo me stesso. Non i giudici troppo cattivi (suppongo siano stati anche troppo buoni), non il fatto che avessi poco tempo (avevo più di un mese per prepararmi), non il fatto che nessuno mi apprezza (forse sono davvero troppo scarso).

strong man with naked torso and tattooed body showing katana
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In ogni caso la colpa è mia: per il fatto di essere troppo pigro nel rileggere quello che scrivo, per non metterci dedizione, per non lavorare ogni istante della mia vita per realizzare il mio sogno. Forse non sono neanche degno di chiamare la mia ambizione ‘sogno’.

Ma c’è sempre tempo per dedicarsi alla via del guerriero. Il tempo è dalla mia. Anche se non dovessi avere il talento necessario, ho speranza e resilienza. E per il momento è tutto ciò di cui ho bisogno.

Jordan Peterson, emozioni negative e riflessioni sul falò dei sogni

Non bazzico molto internet e i social network per due motivi: ci tengo alla mia salute mentale e, in fin dei conti, non c’è mai niente di interessante. Ultimamente, però, sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla grande quantità di fan di Berserk che omaggiano l’opera e l’autore con aneddoti, storie, art design, disegni e AMV (anime music video). La grandissima maggioranza di quei commenti cominciava -o finiva- con le stesse identiche parole:

‘Grazie di tutto Kentaro Miura’.

Alcuni riflettevano su come il manga avesse influenzato positivamente le loro vite e come li avesse aiutati ad andare avanti nonostante vivessero un periodo molto difficile. Un commento di un anonimo narrava di come l’opera di Miura lo avesse distolto dall’idea del suicidio. La lista potrebbe andare avanti all’infinito ma non farebbe altro che confermare e riconfermare l’idea che la narrazione e la finzione possano difatti cambiare completamente la vita di un uomo. Chiunque abbia letto Berserk si è identificato in Guts, un guerriero simbolo della resilienza e della caparbietà umana che non rinuncia al diritto di vivere nonostante le tragedie della sua vita. Chiunque si è identificato con Griffith, con la sua ambizione e la sua volontà di trasformare il suo sogno in realtà.

Berserk è più utile e catartico del novanta percento dei libri di aiuto personale. Stai affrontando un momento difficile della tua vita? Anche Guts lo sta affrontando ma non cerca scuse o vie di fuga. Lui è uno ‘Struggler’ (una parola inglese meravigliosa che tradotta è una via di mezzo tra ‘combattente’ e ‘sofferente’) e continuerà a esserlo fino a quando anche lui avrà il lieto fine che si merita. Non importa quante sconfitte e quante umiliazioni subirà: lui combatterà con coraggio fino alla fine, danzerà nel caos della casualità e ne uscirà vincitore.

Sono orgoglioso della razza umana e di come molti amino Berserk: un inno alla vita e al sacrificio che non consce eguali nella storia della letteratura. Ma cosa c’entra Jordan Peterson? Cosa potrà mai centrare una delle menti più fini della nostra epoca con una opera senza eguali come Berserk? A mio modesto parere? Molto.

Per chi non lo sapesse, Jordan Peterson è uno psicologo e accademico caratterizzato da un acceso interesse per la psicologia della religione, della storia degli umani e del potenziale di questi ultimi. Da poche settimane ho cominciato il suo libro 12 rules for life che, come si evince dal titolo, propone 12 regole per migliorare la propria esperienza e qualità di vita. All’inizio di questo articolo sono stato un filino severo verso i libri di aiuto personale, ma questo titolo è l’eccezione che conferma la regola. Prendiamo i primi due dogmi del dottor Peterson:

  1. Stand up straight with your shoulders back (sta dritto con il petto in fuori e le spalle indietro)
  2. Treat yourself like someone you are responsible for helping (sii responsabile per te stesso e trattati come se tu fossi qualcuno che volessi aiutarti)

Oltre ad espandere e spiegare ciascuna regola con evidenti dati scientifici, aneddoti e citazioni bibliche (credetemi… hanno molto senso) Peterson spiega pazientemente, anche grazie all’uso della letteratura, perché questo possa condurre a una vita migliore.

La prima regola parte con un paragone molto strano: gli esseri umani sono molto simili alle aragoste per quanto strano possa sembrare. Le aragoste combattono tra di loro in spietate lotte territoriali per guadagnarsi un posto dove vivere in quello che potrebbe essere definito come un duello vero e proprio. Questi duelli all’ultimo sangue, ovviamente, prendono luogo anche per altre motivi, come, ad esempio, una semplice dimostrazione di potere, attrarre un partner sessuale o semplicemente per prevalere su un nemico.

Vincere, significa acquisire prestigio sociale e un posto preciso nella scala gerarchica il che significa avere più accesso a cibo, un alloggio dove vivere ed essenzialmente una vita più ricca e soddisfacente. Perdere, d’altro canto, significa essere sottomessi, essere cacciati, perdere status sociale (che è una cosa importante anche tra le aragoste apparentemente) e vivere una vita dalla qualità molto inferiore. Ecco cosa accade al livello fisico: il vincitore rilascia più endorfina, dopamina e serotonina (neurotrasmettitori associati al buon umore) che attrae più potere, confidenza, autostima e una probabilità di vittoria maggiore se mai dovesse combattere in futuro. La sua postura è imponente e grandiosa nonostante possa persino avere delle dimensioni piccole non adatte a un guerriero.

Il perdente non viene beneficiato da queste importanti reazioni chimiche e aumenta il suo livello di stress, ansia, depressione (malattia dovuta in parte alla mancanza di serotonina) poiché ha perso e la sua confidenza è ai minimi storici. Molto probabilmente, perderà anche le prossime battaglie in cui sarà partecipe perché nella sua mente il suo status di ‘perdente’ è ormai consolidato. La sua postura è curva, con le spalle cadenti (postura che dovrebbe in teoria proteggere dai predatori comunicando non verbalmente ‘sono un perdente, lasciatemi in pace).

La stessa cosa può essere percepita negli esseri umani. A nessuno di noi piace perdere e la vita non è esattamente un parco divertimenti. Ma perdere ogni singola volta potrebbe avere delle cause fatali sulla nostra salute, sul nostro lavoro e sulle nostre ambizioni. Qualche sconfitta di troppo potrebbe benissimo toglierci dalla strada per il successo e imbarcarci con un biglietto di sola andata per la depressione. Credo che Griffith ne sappia qualcosa quando il buon Guts se ne andò dalla squadra dei Falchi.

Post nut clarity, bro?

Abbiate una buona posizione eretta mentre parlate con qualcuno. Non importa quanto inadeguati e stupidi vi sentiate. Non comportatevi come una aragosta perdente e camminate nel caos a testa alta dopo la sconfitta come fa Guts.

La seconda regola va di pari passo con la prima. Vogliate il meglio per voi stessi e comportatevi come se voi foste i vostri stessi genitori. Non lasciate che il caos vi faccia disperare a tal punto da assumere dei comportamenti negativi e distruttivi. Siate forti fisicamente e mentalmente. Fate ciò che è meglio per voi e dominate il caos prima che quest’ultimo domini voi esattamente come Guts combatte contro la stessa idea di casualità e divinità trovando un senso in un mondo che raramente ne ha. Uccidete Dio anche se dovesse trovarsi sul vostro cammino e vivete una vita devota al vostro sogno. Lasciate che le emozioni negative costruiscano un futuro migliore e non diventate schiavi di esse.

Oppure fate l’esatto opposto.

Oppure io stesso potrei fare l’esatto opposto. Ma in entrambi i casi dovrò vivere con le conseguenze delle mie azioni. Quella è la parte più difficile, non trovate?

In ogni caso… grazie di tuttto Kentaro Miura. Ancora una volta.