Giappone: un piccolo sogno che diventa realtà tra lo-fi e Monster Energy

Un sogno che avevo da tempo sta cominciando a prendere forma. Ad agosto partirò per il Giappone, una terra che mi affascina ormai da sei anni. Dopo aver acquistato un biglietto andata-ritorno, mi sono fermato a pensare ai traguardi che ho raggiunto in questi due anni da quando mi sono trasferito a Milano. Ho superato il colloquio per diventare giornalista-pubblicista, una serie di piccoli aumenti al lavoro, il conseguimento della mia certificazione per il corso da sceneggiatore (quasi finito) e il viaggio verso il mio primo match a boxe (cosa su cui sto ancora lavorando). Non amo molto parlare della mia vita ma fare un piccolo recap di queste soddisfazioni, per quanto modeste siano, mi danno coraggio per tornare a riscrivere su questo blog che ho abbandonato ad agosto.

Il viaggio in Giappone rappresenta forse il primo, vero regalo che mi concedo. Ho ritrovato la lista delle mie “esperienze da fare almeno una volta nella vita” che ho scritto 6 anni fa. Una di queste era: sorseggiare una Monster Energy mentre ascolto musica lo-fi (un rituale che ho seguito spesso nei miei solitari anni all’Università) in un parco di Tokyo.

Mi piacerebbe ascoltare qualcosa del genere (lo stesso tipo di musica che è nella mia playlist Spotify)

Ovviamente non mi limiterò a visitare solo Tokyo. Ho in programma un bel viaggio che spazia dalla capitale a Okinawa fino a passare per Kyoto e Osaka. Forse un po’ mainstream, me ne rendo conto, ma per la prima volta nel Sol Levante direi che possa andare.

Adesso che penso a tutto quello che vorrei, ancora, ottenere realizzo una cosa: mi è sempre mancata un po’ di disciplina. È meraviglioso tuffarsi nei progetti quando si è agli inizi, che sia la scrittura, la palestra o altro, ma non è per tutti continuare anche (soprattutto) se non si ottengono i risultati sperati.

Non ho una grande ambizione nella vita se non fare delle mie passioni un lavoro e guadagnare abbastanza per potermi permettere qualche esperienza come il Giappone. Anzi… ormai è da qualche tempo che accarezzo l’idea di poter diventare un nomade digitale: avere la libertà di poter lavorare dappertutto solo grazie ad un pc portatile.

Credo che uno dei motivi per cui molti hanno in testa di diventare ricchi non sia tanto per i soldi in sé ma per assecondare un desiderio innato di libertà. Essere liberi di essere dove si vuole, di spendere il proprio tempo nel fare ciò che realmente si sogna: tutto questo però non è alla portata di tutti. Serve un prezzo da pagare per raggiungere quei livelli di libertà economica che non tutti sono disposti a pagare e che, per quanto sia triste ammetterlo, non tutti possono farlo nonostante gli sforzi (chissà… forse rientro tra questi). La vita non è di certo un anime. L’impegno non è garanzia di successo. Tuttavia, una grande motivazione mista a duro lavoro offre almeno la speranza di poter cambiare vita e questo potrebbe veramente non avere prezzo.

Andrew Tate: an antidote to mediocrity?

It’s getting hardto find someone who doesn’t know about Andrew Tate. After seeing a Youtube Short of his, my feed was filled up with his content. He is undoubtedly an interesting character: three times ISKA kickboxing world champion, one time Enfusion Live champion and current commentator of Real Xtreme Fighting, the biggest MMA promoter in Romania. After a successful career as a kickboxer, Andrew Tate has risen to prominence as an influencer.

As a multimillionaire, Tate preaches a life in which man is his own master: economically free, with a muscolar physique and an attitude based on personal growth, far from the slimy matrix (society) that leads only to mediocrity. A charismatic figure who has welcomed as many fans as haters in the vast world of the internet. Many currently criticize his misogynistic outlook on life, his promotion of violence and his Darwinian point of view… which makes me question whether these critics have seen even a single complete video or podcast in which Tate expresses his moral code.

Andrew Tate: how communication changes everything

Everything I found in Andrew Tate, except a distinct genius for the world of marketing, was a source of inspiration. We are talking about a man who built himself together with his brother Tristan and who has always worked hard to excel in his fields of profession. This is an individual who promotes personal growth in the broadest sense of the term with an emphasis on physical exercise and disseminating a higher financial literacy.

What is there to hate in such a person? Well, it is easy to say: on December 29 Tate was arrested by the Romanian police, with his brother Tristan, on charges of kidnapping and exploitation of prostitution; before all this, a sarcastic exchange of tweets with the activist Greta Thunberg had received international prominence.

The case had a strong media component. People were divided: there were, of course, those who believed that Tate was the victim of a conspiracy and those who instead declared themselves happy with his fate. I don’t want to take a stand but there seems to be no evidence to guarantee any of this. It reminds me a bit of the story of Mike Tyson and Desiree Washington. I also don’t want to join the ranks of those who assume this is all a Matrix conspiracy.

However, what I wonder, is why is the media trying to destroy this guy? His interview with the BBC has become emblematic in which it seems that the journalist does not seem to have done an accurate research job, accusing Andrew Tate on unfounded grounds and on very vague comments on misogyny. I may be entering territory far beyond my reach, but overall I think Andrew Tate is an example to follow.

Of course, as in many cases, blind devotion can lead to personal destruction just like judging without knowing first (kind of like when it was fashionable to hate Trump). Of course this is just my humble opinion. In a world where depression, sense of bewilderment and unemployment have reached worrying levels (especially for men), Andrew Tate who preaches self-discipline, stoicism, financial education and a little competitiveness may represent a wonderful antidote.

You have no enemies: come un anime ha cambiato la vita di milioni di persone

Accontentarsi e abituarsi al dolore è una forma di felicità? Ci stavo pensando in una delle mie passeggiate notturne al parco. Ultimamente va di moda questo trend sui social chiamato “You have no enemies” ispirato dalla trasformazione di Thorfinn di Vinland Saga: un uomo ossessionato dalla vendetta che decide di abbandonare il suo odio e abbracciare una filosofia di vita pacifista in cui, per l’appunto, nessuno è suo nemico.

Ma è davvero applicabile alla realtà? È davvero possibile scegliere questa strada in un mondo in cui, in alcuni casi, il più forte non si fa scrupoli a mangiare il più debole? Com’è possibile non covare odio e risentimento se si è stati vittima di soprusi anche a distanza di anni? Non si può tornare indietro nel tempo.

Questo è un fatto assodato. Ed è facile per molti parlare di lasciarsi tutto alle spalle quando non hanno mai subito reali ingiustizie. Dopo aver letto Vinland Saga credo che il messaggio di pacifismo sia stato sottointeso da molti. Thorfinn è stato un guerriero assetato di sangue. Sa come combattere. Sa come far male per via del suo passato. Semplicemente, ad un certo punto della storia, sceglie di non farlo e predicare l’amore. Ma sa come difendersi.

Il suo trauma è parte integrante della sua trasformazione.
Il pacifismo predicato da Vinland Saga non è mera passività ma agire quando è strettamente necessario. Solo chi sa combattere può scegliere la pace sapendo di essere capace di violenza. Chi è semplicemente innocuo è invece alla mercé del più forte. Come dice Jordan Peterson, l’uomo deve essere capace di violenza e brutalità: deve essere un mostro capace di controllarsi. Ma è difficile. È difficile eccellere in qualcosa che viene contro natura.


Ormai ho iniziato il mio percorso nella boxe da più di due anni. Cosa mi ha insegnato ricevere diretti in faccia per tutto questo tempo? Cosa mi ha insegnato poter effettuare una combinazione gancio sinistro al corpo, gancio destra alla mascella? Sono forse una persona migliore sia dentro che fuori dal ring? Mi piace pensare di esserlo. Dopo tutto, nulla dona confidenza come saper combattere. Non sono di certo Tyson, ma il semplice fatto di salire su un ring con persone che mi guardano mentre un altro cerca di staccarmi la testa mi riempie di paura e di orgoglio.

Dopo questa esperienza il mondo reale fa meno paura: quando riesci a capire che siamo sacchi di carne che perdono sangue allo stesso modo e che abbiamo tutti il potere di fare del male tanto quanto di subirlo, il mondo appare un po’ meno grigio e più luminoso. Stessa cosa quando si guadagna più soldi o quando si ottiene un fisico migliore.

Tante piccole porte ci si aprono e la nostra crescita fisica, economica e spirituale ci permettere di essere un tantino più forti per aiutare noi stessi e le persone intorno a noi. Non possiamo tornare indietro. L’orologio biologico sta scadendo per tutti ogni secondo che passa. L’anno scorso avevo 24 anni. Ora 25. Il prossimo anno, se la mia dipendenza da Monster Energy non viene a reclamare la mia vita anzitempo, ne avrò 26.

Fino a quando sono in tempo, fino a quando ho fiato in corpo, voglio sforzarmi di essere un po’ più forte del giorno precedente. Non potrò mai scordare quel che ho passato. Fa parte di me. Ma, in un certo senso, sono grato anche delle cose negative che mi sono successe: hanno contribuito a donarmi una storia interessante e unica che appartiene solo a me. Sono grato di questa vita ma, più di ogni cosa, sono grato della mia vita.

Ooku – Le stanze proibite non si regola: un dramma storico che ripropone il Giappone

Sono stanco. La mia mascella fa “click” ogni volta che la apro per un gancio destro che ho preso più di un mese fa. Sta per scoccare la mezzanotte. Domani non lavoro. Guardo accanto a me, proprio sopra al mio comodino, il romanzo che sto leggendo in questi giorni “Anche gli androidi sognano di pecore elettriche?”, fonte d’ispirazione per Blade Runner. Non ho voglia di leggere. Ogni membro del mio corpo fa male ma non riesco a dormire. In questi casi poche cose funzionano meglio di Netflix. Di solito ci metto sempre un po’ a decidere cosa vedere ma oggi non è il caso di indugiare in una scelta troppo ponderata e clicco sulla prima serie consigliata: “Ooku – Le stanze proibite” tratto dal manga di Fumi Yoshinaga.

Non leggo neanche la descrizione per intero. Distrattamente mi pare di aver scorto le parole “Periodo Edo” e c’è l’immagine di una imperatrice. Mi sembra abbastanza per giudicarlo come figo. Dopo quaranta minuti dalla visione capisco due cose: la prima è che si tratta di una storia meravigliosa e senza filtri che esplora una visione alternativa del Giappone; la seconda è che questo primo episodio dura più di un’ora. Ecco cosa mi becco a non leggere le descrizioni. Ho passato una notte insonne ma ne è davvero valsa la pena.

La premessa della serie è tanto disturbante quanto affascinante: una misteriosa malattia che colpisce solo i giovani adulti maschi decima in pochi anni la popolazione del Giappone. Le donne assumono le mansioni che spettavano agli uomini, prendendosi cura dei campi da arare e dell’allevamento del bestiame. Flashforward ad un paio d’anni e le donne prendono posizione di comando nell’alta società e nello shogunato. Ora lo Shogun è, difatti, una donna, la quale ha il lusso di avere 1000 uomini bellissimi all’interno della sua corte tutti per lei nelle stanze proibite, anche chiamate Ooku. La storia inizia con Mizuno Yunoshin, un giovane di bell’aspetto con il sogno di servire all’interno delle raffinate stanze dell’Ooku in maniera tale da guadagnare un buono stipendio per aiutare la sua famiglia.

Una volta giunto lì, tuttavia, si rende conto di quanto il posto sia un inferno in Terra. Dopo essersi scontrato con gli altri uomini dell’Ooku, già dalla prima sera alcune persone cercano di violentarlo durante la notte. Fortuna vuole che Mizuno non sia una preda così facile e riesce a scacciare gli avventori senza troppe difficoltà. Intrighi di corte, inganni e violenza pervadono le camere proibite ma grazie ad una mente fina e alla capacità di farsi voler bene, Mizuno riesce a scalare il vertice della gerarchia sociale dell’Ooku guadagnandosi l’ammirazione dei più deboli e l’astio dei più potenti.

Allo stesso tempo, dopo che la settima shogun muore, una donna chiamata Yoshimune prende il suo posto. Mizuno viene scelto dalla stessa shogun come suo primo concubino. Il suo compito? Essere il primo uomo dello shogun e deflorarla. Tuttavia, questo ha un suo prezzo. Essere la prima esperienza sessuale dello shogun è un grande onore ma una vecchia legge afferma che il primo concubino dovrà perdere la vita il giorno successivo per averla fatta sanguinare.

Da dove deriva l’idea dell’Ooku? Perché si permettono così tante barbarie? Yoshimune decide di interrogare lo storico del palazzo, il quale la indirizza alla lettura delle “Cronache dei giorni della morte” (un nome che non promette di certo per il meglio). I quaderni tenuti nel passato hanno le risposte che Yoshimune desidera. E da qui parte realmente la serie e il resoconto fedele dello shogunato che deve far fronte alla malattia che decima gli uomini e l’ascesa al potere delle donne. Un primo episodio meraviglioso che è riuscito a trasportarmi in un mondo spietato e orribile ma senza l’assenza di speranza, delicatezza e romanticismo.

Un’opera che forse mostra davvero la crudeltà e la debolezza di entrambi i sessi senza lasciare giudizi ma solo concentrandosi su una storia ben raccontata (ci voleva dopo aver visto Barbie). Un anime fortemente consigliato e di cui vedrò ogni puntata appena finito di scrivere queste righe. A cominciare da… ora.

Bumble Business: social skill e imprenditoria in un’app di incontri

Come molti anche io utilizzo dating app. Sono metodi meravigliosi per conoscere nuove persone comodamente dal proprio divano di casa tra un episodio e l’altro di una serie tv su Netflix. Chi vuole perdere più tempo in discoteca e pagare una cifra da capogiro per un drink annacquato quando è possibile fare swipe a destra, incrociare le dita e sperare in meglio? Ho avuto delle belle soddisfazioni in questo anno e mezzo di utilizzo (eheheheheh). Ma non sono qui per parlare di questo.

Ciò che voglio raccontare è la mia esperienza con Bumble Business. Per chi non la conoscesse, Bumble è un po’ come Tinder: la sola differenza è che è la donna a fare la prima mossa e puoi risponderle solo se è lei la prima a inviare un messaggio (come se le ragazze non avessero già abbastanza potere nelle dating app…).

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Tuttavia Bumble offre due interessanti funzioni eccetto la più classica orientata al mondo del dating: Bumble Friends (come si evince dal nome serve per trovare amici) e Bumble Business (per creare un network di persone, trovare lavoro, proporre un business, avviare start-up… cose così insomma). Ebbene, oggi ho conosciuto di persona il mio primo match su Business. Ci siamo incontrati per prendere un caffè all’ombra del grattacielo Unicredit di Milano. Ecco come è andata.

Si tratta di un personaggio interessante con grande esperienza nel mondo del real estate in Europa e in Asia e ora si trova a Milano con l’idea di vendere una linea di prodotti skin-care. Abbiamo parlato molto del mindset necessario per creare un business, dell’importanza della lettura, copywriting, dropshipping, internet e di come, essenzialmente, ci sia un’opportunità in tutto a patto di avere una mentalità sufficientemente aperta.

Sono tutti argomenti esplorati fino allo sfinimento da vari video su YouTube, avete ragione, ma ciò su cui voglio concentrami è che è stato bello avere qualcuno con cui parlare di imprenditoria e che ha della vera esperienza in più di un settore. È stato bello parlare delle idee di Robert Kiyosaki (qui il link a Padre Ricco Padre Povero) con qualcuno che lo ha effettivamente letto. E queste non sono cose da poco.

Ultimamente mi sento statico nella vita e uno degli aspetti in cui mi sono ripromesso di migliorare, oltre che nelle social skill, è quello di avere una seconda entrata e guadagnare di più. L’educazione finanziaria e il proprio patrimonio dovrebbe, a mio avviso, essere migliorato con costanza insieme alla salute fisica, la cultura e gli hobby. Diciamo la verità­: più soldi equivalgono a più esperienze e meno problemi. Forse oggi la mia vita non è cambiata grazie a questo incontro, ma ho cominciato a vedere diverse cose sotto una luce differente e, di sicuro, sono motivato: questo di per sé è già una piccola vittoria.

Si dice che noi siamo la somma delle cinque persone con cui passiamo più tempo e, forse, c’è un fondo di verità in tutto questo. È importante condividere il proprio tempo con persone con valori simili ai nostri.

Romanzo Criminale, il libro di Giancarlo De Cataldo

Per chi mi segue da un po’ di tempo avrà capito che il genere crime è tra i miei preferiti in assoluto. La figura del criminale è romanticizzata da molti attraverso i media e si può quasi dire che appaia come eroica. Quanti di noi hanno sognato anche solo una volta di essere dei gangster dopo aver visto Goodfellas o The Wolf of Wall Street? Qual è la ragione per cui a volte sogniamo di essere come loro? Non serve pensare troppo. Sono uomini pieni di soldi e donne che si prendono ciò che vogliono senza farsi troppi problemi: molto spesso l’opposto dello spettatore che li guarda. Credo sia normale voler essere di più come loro… soprattutto nella loro versione dipinta dai media.

Leggendo Romanzo Criminale per la prima volta mi sono ricordato di come anch’io, da bambino, romanticizzavo queste figure: persone senza talenti o meriti ma che potevano definirsi i nuovi Re di Roma a poco meno di trent’anni. Peccato che questa storia, come tutte le favole a sfondo criminale, non ha una lunga durata. Peccato che non ci sia neanche un lieto fine… ma non preoccupatevi. Non è uno spoiler: solo il naturale ordine delle cose.

Ma procediamo con ordine: Libanese, Dandi, Bufalo e Freddo sono pesci piccoli nel vasto mare della criminalità organizzata romana, accumunati dal sogno di prendersi la Città Eterna. Un luogo che non ha mai voluto padroni e che mai ne vorrà. Qui la criminalità è decentralizzata e limitata alla supremazia di quartiere. Manca una vera e propria banda che faccia capo al commercio di droga e gioco d’azzardo. Ed è da questo sogno che nasce la Banda della Magliana e le origini di Mafia Capitale.

Si tratta di un progetto ambizioso che pone le sue fondamenta con il rapimento del barone Rosellini, un colpo eseguito con maestria e che genera alla Banda un generoso profitto. Ma ecco la pensata geniale direttamente dalla mente del Libanese: non bisogna dividere il malloppo per ciascun membro del Gruppo ma investire il totale nel commercio di droga per ampliarsi. Il resto? Stecca para per tutti.

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Una cosa così a Roma non si era mai vista. Ed è proprio da qui che incomincia l’origine della Banda. Alle loro costole, il giovane commissario Scialoja insieme al sostituto procuratore Fernando Borgia.

Un romanzo scritto con uno stile fluido e semplice che racconta una delle storie, e delle fantasie, che hanno plasmato l’Italia come la conosciamo adesso. Ovviamente molti eventi sono stati cambiati e romanzati, così come i nomi dei protagonisti, per ottenere una trama più avvincente. La caratterizzazione dei personaggi è di una umanità sconcertante tanto che, spesso, si dimentica che si sta parlando di assassini. Alcuni passaggi, come il Libanese e il Freddo che si concedono una carbonara al ristorante o la Banda che decide all’unisono come spendere i soldi del colpo, sono scritti in maniera tale da rendere queste persone quasi vive e, in un certo senso, amici del lettore. Un romanzo sicuramente consigliato e che ha gettato le fondamenta per una delle serie tv italiane più belle nel panorama internazionale.

Denti da squalo: stand by me ricordi di un’estate incontra Non essere cattivo

Sono affascinato, come molti, dalle storie che pongono la criminalità al centro. Quando andavo alle medie, una delle serie tv che creava più discussione tra i vari gruppi che componevano la gerarchia sociale delle classi era senza dubbio Romanzo Criminale, trasposizione televisiva della storia della Banda della Magliana, un gruppo di criminali realmente esistito con il sogno di conquistare Roma.

Alcuni di noi, se non quasi tutti, guardavano con ammirazione le loro gesta: d’altronde quel tipo di vita risulta particolarmente affascinante per un bambino. Il fenomeno di eroicizzare figure criminali in Italia ha raggiunto forse il suo apice con Gomorra: al liceo era d’obbligo guardarlo. Ma la lista continua con Breaking Bad, The Wolf of Wall Street, I Soprano, Quei bravi ragazzi. C’è qualcosa in queste storie che parla ad ognuno di noi a un livello personale e credo che tutti, almeno una volta, nelle più oscure fantasie, ci siamo immaginati più simili a questi personaggi tanto brutali quanto carismatici che compongono la vasta narrativa crime.

Denti da squalo: tra criminalità e formazione

Denti da squalo parla di come questa vita da criminale composta di paura, rispetto e gloria venga percepita dal punto di vista di un bambino che si riflette in noi spettatori. Tutto comincia quando Walter, 13 anni, perde suo padre Antonio in un incidente al depuratore. Rimasto solo insieme alla madre, questa sarà la sua prima estate senza la figura paterna. In una delle sue traversate in bicicletta lungo il litorale romano, Walter si introduce furtivamente in una villa all’apparenza abbandonata con un’enorme piscina. Come ogni bambino di tredici anni che si rispetti, Walter non ci pensa due volte a tuffarsi dentro… per poi trovarsi uno squalo all’interno. Walter farà la conoscenza di Carlo, custode temporaneo della villa appartenente al temuto boss criminale Corsaro.

Ed è così che nasce un’improbabile amicizia tra i due. Carlo introdurrà Walter alla piccola vita criminale locale nella gang con a capo Tecno. Tra le prime rapine, estorsioni e momenti di dialogo e riflessioni a bordo piscina in compagnia dello squalo, Walter sembra ricalcare le ombre del padre. Ma questa vita non è facile. Come rivela lo stesso Corsaro: “Non è per tutti essere uno squalo”. Walter si rende conto presto di come l’adrenalina della criminalità possa sfociare in poco tempo ad una privazione dei propri obblighi morali e della libertà stessa.

Al contrario di altri film di questo genere, Denti da squalo è un racconto di formazione che a tratti funge da meravigliosa fiaba urbana in cui la criminalità è solo un pretesto per esprimere al meglio l’inquietudine e la difficoltà del passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

I riferimenti cinematografici sono molteplici: da Stand By Me a Dog Man fino ad arrivare a Non essere cattivo. Nonostante nel finale si perda un po’, forse per colpa di un minutaggio troppo esiguo, l’opera prima di Davide Gentile si rivela un film originale con una grande intuizione cinematografica. La caratterizzazione dei personaggi è fortemente ispirata e le location del litorale romano sono una cornice perfetta per inquadrare una storia di speranza mista a malinconia.

Isabelle Wenzel: tra arte, lavoro e sigma male grindset al BiM di Bicocca a Milano

Era da molto tempo che non visitavo una mostra artistica. L’ultima volta sarà stata tre anni fa, all’epoca della pandemia, quando presi un aereo per Marsiglia con una vaga idea di unirmi al corpo militare della Legione Straniera. Una fantasia che aveva fondamenta molto traballanti sin dall’inizio ma che tuttavia mi ha permesso di viaggiare un po’. Dopo quella parentesi fallimentare, decisi di prendere un treno per Parigi, città che non avevo mai conosciuto appieno. Girovagando per Champs-Élysées, mi fermai in una piccola struttura che ospitava i lavori di un artista emergente.

L’intero locale era ricoperto di poesie e disegni che spaziavano dallo stile fumettistico a vere imitazioni dei capolavori del Louvre e, in sottofondo, aleggiavano le note di una di quelle vecchie canzoni francesi che penseresti esistano solo nei film. L’atmosfera era onirica e, ora che ci penso, rappresenta uno dei ricordi più nitidi che ho. Avevo appena finito l’Università, abbandonato il Regno Unito e credevo non ci fosse limite a quel che potevo fare, esattamente come quell’artista emergente che aveva aperto la galleria. Peccato ci fossi solo io a visitarla. Secondo me meritava…

La mostra di Isabelle Wenzel

La mia ultima mostra artistica, invece, risale a pochi giorni fa con l’anteprima dell’evento di Isabelle Wenzel tenutosi a BiM – dove Bicocca incontra Milano, in Viale dell’Innovazione 3, una struttura di rigenerazione urbana che ha dato ufficialmente il via ad una moltitudine di eventi artistici, culturali e sociali.

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BiM visto dall’alto

Il tema della mostra era incentrato sulla vita d’ufficio sotto il punto di vista di un artista, tradotto in fogli A4 che volano per aria, telefoni appesi al muro, posizioni scomode assunte dal corpo costretto a rimanere seduto per ore e ore di fronte ad un computer.

Isabelle Wenzel, artista poliedrica che al tempo stesso può vantare dei titoli di fotografa e acrobata, ha affermato che la sua idea era quello di immedesimarsi in uno schema di lavoro 9-5 , la frustrazione che ne può scaturire, ma anche il senso di tranquillità che una routine di ufficio può regalare dal punto di vista di un guadagno fisso.

Coniugare il mondo dell’artista con quello dell’impiegato può sembrare all’apparenza azzardato considerando la distanza tra le due professioni. Tuttavia, potrebbe aver più senso di quel che si potrebbe pensare: solo dalla frustrazione di un lavoro non pienamente apprezzato si può generare la forza creativa (o distruttrice) per esprimere sé stessi al meglio. Mi viene in mente il narratore senza nome di Fight Club, anche lui un impiegato, che dà sfogo alla sua passività tramite gli haiku che distribuisce in ufficio o tramite l’organizzazione socio-anarchica che il suo alter-ego, Tyler Durden, fonda.

Per non parlare di American Psycho, con un Patrick Bateman all’apparenza ben inserito nella società e nell’idilliaca vita da yuppie di Wall Street ma che sfoga il suo dubbio esistenziale e senso di inferiorità uccidendo e torturando persone di un’estrazione sociale inferiore alla sua.

O dell’insofferenza di David Martinez per la scuola, preludio al mondo del lavoro, descritta nel primo episodio di Cyberpunk: Edgerunner e che sfocia nel suo odio per le corporazioni e il suo ingresso nella vita criminale.

Gli esempi sono molti. Soffocare la libertà personale e la voglia di esprimersi in nome del progresso e dell’efficienza può portare lentamente ad una lenta distruzione della personalità per più di una persona. Almeno questo è il messaggio che ho recepito. Se questo è il caso, risulterebbe davvero difficile trovare un equilibrio. L’iniziativa dell’artista è tanto affascinante quanto provocatoria e merita senza dubbio una visita.

La mostra è visitabile gratuitamente fino al 15 settembre e sarà esposta alla C41 Gallery, uno spazio di sperimentazione artistico curato dalla casa di produzione creativa C41.

Ma le novità non finiscono qui. Fulcro del programma temporaneo di eventi gratuiti promosso da BiM sarà il BiM Garden, uno spazio verde a cielo aperto progettato da Paola Navone – Otto Studio e dal paesaggista Antonio Perazzi, con ampi tavoli sociali multifunzionali. Qui, BiM presenta la rassegna estiva di cinema all’aperto “La linea milanese”, curata da Cineteca Milano: un omaggio all’originalità dei grandi capolavori del cinema milanese che traccia una linea lunga 40 anni tra Dario Fo e Maurizio Nichetti, De Sica e Zavattini, Tognazzi e Bianciardi.

Sognando Night City in un appartamento nella periferia di Milano: 5 città cyberpunk che vorrei visitare

Ultimamente sono in fissa con un certo sotto-genere della fantascienza dopo aver visto Cyberpunk: Edgerunners (qui per saperne di più). Non mi dispiacerebbe vivere in una città ultra-futuristica e osservare dalla finestra del mio appartamento al 66° piano le luci al neon che si accendono e si spengono in una città grigia e immensa. Per questo ho ricercato su Google alcune tra le città più cyberpunk del mondo e ne è venuta fuori una lista niente male. Non c’è niente di meglio che sognare sorseggiando una Monster Energy con un po’ di lo-fi a volume basso in sottofondo per poter ascoltare il ticchettio della pioggia che si infrange sul vetro. Ecco perciò dove mi immagino quest’estate:

Al numero uno abbiamo Chongqing in Cina. Un’immagine vale più di mille parole. Questa città incarna lo spirito cyberpunk: traffico tridimensionale, luci fredde e al tempo stesso sensuali, grattacieli che si perdono nelle nuvole più alte del cielo.

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Al secondo posto Hong Kong. Tutto quello che so di questa città è grazie a Shenmue II. Forse è la città-simbolo che definisce il cyberpunk. La sua estetica ha ispirato Blade Runner e numerosi altri capolavori del genere come Ghost in The Shell.

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Al terzo posto Tokyo. Una città che mi è cara per più di un aspetto considerando la mia grande passione per i manga. Fonte d’ispirazione per Akira, città futuristica per antonomasia e modello per Night City di Cyberpunk 2077: Tokyo è uno dei posti più visitati e amati al mondo.

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Al quarto posto New York City. Non il massimo della fantasia ma è innegabile la bellezza della sua architettura e il design post-moderno che delinea una delle skyline più immortalate al mondo.

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Questo è tutto. Ovviamente ci sono diverse altre città che hanno catturato la mia attenzione ma, per il momento, preferisco mantenere un profilo più mainstream. Già visitare queste quattro location non sarebbe affatto male.

Ed è così che un’altra serata volge al termine. Domani tornerò alla mia routine e a confrontarmi di nuovo con la realtà. Tuttavia, anche solo per un momento, mi ritrovo a vivere nella mia mente un’avventura sci-fi con me stesso come protagonista. La lattina di Monster è ancora mezza piena (o mezza vuota a seconda della propria inclinazione psicologica) ed è ragionevolmente presto. Noto però che ha smesso di piovere. Brutto segno.

Cyberpunk: Edgerunner, sognando la Luna in un appartamento nella periferia di Night City

Ultimamente mi sento come se il tempo mi stesse scivolando per le mani. I giorni passano e si trasformano velocemente in mesi e poi in anni. Non riesco a smettere di pensare che un giorno, con una sicurezza matematica del 100%, non sarò più qui. Sono molto più attaccato alla vita di quanto pensassi. Eppure, per quanto io riconosca il valore (seppur effimero) della mia esistenza, ho ancora la sensazione di non riuscire a vivere appieno.

Come molti sono prigioniero di una routine che, per quanto sana e costruttiva, lascia poco spazio all’avventura e ai sogni. Come recita Fight Club “Questa è la tua vita e sta finendo un minuto alla volta”. Forse ho preso troppi pugni nello sparring, ma questa frase acquisisce sempre più senso man mano che continuo a vivere. La nostra vita è molto fragile e può finire da un momento all’altro. Forse è il caso di farci qualcosa nel frattempo oppure, almeno, godersela per quanto possibile. Perlomeno questo è il messaggio che mi pare di aver colto da Cyberpunk: Edgerunners, la serie anime targata Netflix ispirata al videogioco della casa di produzione CD Project RED.

You are going to carry that weight…

Cyberpunk: Edgerunners ricorda a tratti Devilman Crybaby

Come si potrebbe evincere dal nome, la serie ricade sul filone narrativo cyberpunk, il quale, come chiarisce Wikipedia, tratta di scienze avanzate, come l’information technology e la cibernetica, accoppiate con un certo grado di ribellione o cambiamento radicale nell’ordine sociale.

L’anno è il 2077. Il protagonista della serie è David, un ragazzo di strada che vive nella periferia di Night City insieme alla madre Gloria. David è una mente brillante e tra i primi della classe all’Arasaka Academy, la scuola più prestigiosa della città. La madre fa due lavori per mantenere la retta e cercare di dare al figlio un futuro dignitoso che lei non ha potuto avere per se stessa.

Un incidente stradale fa subito traballare questo equilibrio precario: Gloria rimane gravemente ferita e il suo ceto sociale non è abbastanza elevato per permetterle cure mediche di prim’ordine. Con la sua morte, David rimane solo a Night City. Tormentato dai suoi compagni di classe per essere povero e con un forte senso di colpa per non essere riuscito a proteggere la madre, David decide di lasciare l’Arasaka Academy e modificare il proprio corpo con un impianto Sandevistan di tipo militare che gli permetterà di essere più forte fisicamente ma che tuttavia gli causerà danni psicofisici che graveranno sempre di più sulla sua mente.

In poco tempo si introdurrà nella criminalità di Night City alla ricerca di un posto che possa chiamare casa. David fa la conoscenza di Lucy, una ladra di professione che bazzica nel temuto gruppo di Maine, il cyberpunk criminale. Ed è così che ha inizio la nuova vita di David alla scoperta di sé stesso e dei suoi sogni. Night City è una giungla urbana e ogni giorno può essere l’ultimo.

La vita umana vale in proporzione al denaro che viene guadagnato: una lezione che il protagonista ha imparato a caro prezzo con la morte della madre. Una storia di formazione che trova spazio anche per temi importanti come l’amore, riflessioni sul senso della vita e la natura umana che spinge ognuno di noi a trovare un posto in cui ci si sentiamo accettati. In dieci episodi questa serie offre molto più di quanto altri anime non riescano a delineare in 8 stagioni: una storia autoconclusiva con personaggi umani e perfetti nelle loro imperfezioni.

Il finale è un qualcosa di straziante che, però, è maledettamente in linea con la premessa iniziale della serie: “Non ci sono lieto fine a Night City”. Tuttavia, almeno per i più ottimisti, è presente un briciolo di speranza per il futuro a cui, con un po’ di forza di volontà, ci si può aggrappare. Per quanto possa essere scontato dirlo, la vita è davvero imprevedibile e breve: tanto vale godersi il viaggio anche nelle sue sfumature più negative. Una serie altamente consigliata per chiunque.

Menzione speciale per la colonna sonora firmata da Akira Yamaoka, storico compositore di Silent Hill.