The Boys: uomini contro dei

Le storie con i supereroi come protagonisti non mi hanno mai convinto.  Non perché io voglia fare il radical chic e affermare che i cinecomics siano spazzatura (anche se non sarebbe del tutto errato), ma per il concetto alla base della parola “supereroe”. Come si potrebbe definire? Un eroe dalla capacità sovrannaturali che mette a frutto suddetti poteri per rende la società un posto migliore. Mi sembra calzante, ma un qualcosa del genere non potrebbe esistere. Non con un essere umano, perlomeno.

In una struttura gerarchica altamente complessa come la nostra basata sulla iper-competitività in cui ogni persona sfrutta ogni suo minimo vantaggio per emergere, cosa accadrebbe se ci fossero alcuni individui dotati di poteri così grandi da elevarli al grado di divinità? Cosa impedirebbe a un uomo capace di distruggere una città con uno schiocco di dita di utilizzare i suoi poteri per un bene comune? Perché un uomo potente, un Dio, dovrebbe anche solo importare ciò che pensa un essere che non ha le sue stesse capacità?

Perché un leone dovrebbe curarsi di una gazzella? Pensandoci bene non ci sono motivi logici. Il più forte uccide il più debole. Le persone più capaci progrediscono, lasciando alle spalle l’80% della popolazione insieme ai loro fallimenti. Molte persone sarebbero dei manipolatori sociopatici… se solo avessero le armi per farlo. È un qualcosa a cui pensavo spesso: le persone che si definiscono buone e pacifiste in realtà lo sono perché non hanno scelta: non possono permettersi di essere aggressive perché in un vero conflitto ne uscirebbero perdenti. Qual è dunque il modo migliore per evitare di perdere? Abbassare la testa e sperare che il peggio passi. Per essere dei veri pacifisti bisogna sapere come combattere ma scegliere di non farlo. Sono davvero poche le persone così in questo mondo.

Uno dei temi che adoro di più di The Boys è proprio questo. Se si ha accesso a un potere smisurato anche l’uomo più comune può diventare ciò che in realtà è sempre stato ma che non ha mai avuto occasione di essere: un sociopatico infantile e guerrigliero pronto a far del male a chiunque osi mancargli di rispetto. Nel mondo di The Boys, i supereroi (o per meglio dire i Supes) sono reali, osannati e venerati da tutto il mondo. Ognuno di loro ha i propri film, il proprio merchandise e la propria fanbase da cui percepiscono una percentuale delle vendite. Sono i Sette, i paladini della giustizia senza macchia che difendono i più deboli. Ma questo ovviamente solo negli occhi dei media. La realtà è ben diversa, come sta per scoprire Hughie.

I ragazzi dell’unità The Boys dopo una discussione costruttiva con i Sette

Hughie Cambell ha una vita mediocre: lavora come commesso in un negozio di elettronica e vive ancora con il padre. In questo grigiore c’è però Robin, la ragazza di cui è perdutamente innamorato. Un giorno, camminando con lei insieme per strada, accade l’impensabile: il supereroe A-Train, l’uomo più veloce del mondo, corre letteralmente attraverso Robin, sviscerando e uccidendola all’impatto (succede questo quando correndo si frantuma la barriera del suono). A-Train, apparentemente, era troppo di fretta e non ha fatto in tempo a vedere Robin. Ciò lascia Hughie catatonico. La sua vita era finita di fronte a lui senza che potesse fare nulla per impedirlo. A-Train decide di concedere a Hughie un risarcimento di 40.000 dollari per insabbiare la vicenda una volta per tutte ma in lui scorre il desiderio di vendicarsi. Hughie viene così reclutato dal vigilante Anti-Supe Billy Butcher, tanto cattivo quanto inglese.

L’ambiguità morale di The Boys

Billy Butcher spiega a Hughie che incidenti simili a quelli di Robin per opera dei Supes sono all’ordine del giorno e, ogni volta, la passano liscia senza ripercussioni. Butcher è un uomo senza superpoteri che ha un obiettivo ben preciso in testa: farla pagare ai Supes e dimostrare loro che non sono al di sopra dei normali esseri umani.

Un’impresa non da poco considerando che Homelander, il Supe a capo dei Sette, ha il potere di scatenare una Terza Guerra Mondiale se solo volesse. Ed è così che Hughie entra a far parte dei “The Boys”, l’unità investigativa contro i supereroi. La serie tv è meravigliosa, sporca, reale e rivoltante. L’intreccio narrativo riesce a far capovolgere la solita lotta degli eroi contro i malvagi in qualcosa di più simile an uomo comune animato dal senso di giustizia contro una divinità capricciosa e malvagia. Il confine tra bene e male oscilla e non è mai marcato ma sempre indefinito. L’unità investigativa “The Boys” dovrà venire meno alla propria moralità più di una volta nella loro assurda quanto romantica impresa di far fuori i Supes. D’altronde, come diceva Nietzsche: “Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro.”

Una serie televisiva come non ne facevano da molto tempo. Assolutamente consigliata.

Il principe nell’alta torre – Una riflessione su The Northman

Il cinema è diventato un santuario per me. Ci vado dalle cinque alle sette volte alla settimana e rigorosamente di sera intorno alle 21:00. C’è qualcosa di estremamente confortevole nello sprofondare nella poltrona del cinema, guardare 10 minuti di pubblicità ogni volta (tanto che a volte mimo con le labbra le parole dei vari spot) e perdersi nel mondo creato da qualcuno tanto insoddisfatto dalla realtà quanto me. Forse l’abbonamento da 20 euro che comprende un’entrata al cinema al giorno per un mese ha fatto di certo la sua parte. Alcune volte vado in sala anche quando non c’è nulla che mi interessi solo per non sprecare un giorno dell’abbonamento.

A volte, questa strategia, mi ha fatto scoprire dei bellissimi gioielli come Nostalgia di Mario Mortone, che probabilmente non avrei mai visto se avessi dovuto pagare un biglietto intero. Altre volte, me ne sono pentito amaramente come nel caso di Memoria: uno dei più grandi sprechi di cellulosa che esistano. È un po’ come giocare ad azzardo: a volte vinci e a volte perdi. E a volte fai jackpot, il colpo della vita. Questo è ciò che mi è capitato guardando The Northman per cinque volte in sala, alzando da solo l’indice di incasso totale in Italia del 50%.

The Northman: odio e ancora odio

La trama di The Northman è quanto di più semplice possa esistere. Nell’anno 895, il re Aurvandill Corvo di Guerra torna al suo regno dopo una sanguinosa battaglia che lo ha visto vincitore. Aurvandill si ricongiunge con il figlio Amleth e la regina Gudrún, sua moglie. Il re si rende conto di essere prossimo alla morte e decide di preparare Amleth al suo destino come futuro re. Un giorno, Fjölnir, fratello di Aurvandill, tende un’imboscata al re e a suo figlio: il suo obiettivo è la corona ed è disposto a uccidere persino suo fratello per prenderne possesso. Aurvandill muore per mano di Fjölnir ma Amleth riesce miracolosamente a fuggire. Dopo aver ucciso il fratello, Fjölnir si insedia nel regno prendendo con la forza la regina Gudrún come moglie.

Per sfuggire al trauma che lo ha perseguitato riesce a ripetere solo il mantra: “Ti vendicherò, padre. Ti salverò, madre. Ti ucciderò, Fjölnir.”

Gli anni passano. Amleth privato del suo regno si è unito a una banda di saccheggiatori e guerrieri Berserkr e passa il suo tempo a depredare villaggi e venderne gli schiavi ai principali mercati dell’Occidente e dell’Oriente. L’odio e la sete di vendetta per ciò che ha subito tormentano i suoi sogni fino a quando non gli si presenta l’occasione di tenere fede al giuramento.

La crociata di Amleth diventa così la crociata dello spettatore che diventa testimone di un mondo brutale e violente e che non può fare a meno di immedesimarsi con Amleth. Il concetto di vendetta (giustizia) è profondamente radicato nel cuore dell’essere umano. Chiunque, almeno una volta nella vita, ha sognato di potersi vendicare nei confronti di un torto subito (o presunto tale). Questo genere di storie è viscerale. Non a caso, The Northman è ispirato dalla stessa storia che ispirò Shakespeare nella scrittura di Amleto (non a caso, il protagonista si chiama Amleth). Il racconto in questione venne ispirato da Saxo Grammaticus, uno storico danese vissuto nel XIII secolo.

Ma le storie che ruotano intorno alla vendetta di un torto subito si possono ritrovare agli arbori della civilizzazione. In conclusione, la vendetta e la violenza fanno parte del nostro retaggio ancestrale. Ed è uno dei motivi per cui un film così brutale, semplice e primitivo riesce a far breccia nell’immaginario collettivo di (quasi) ogni persona che abbia avuto il piacere di vederlo nelle sale. Il finale, inteso come un meraviglioso lieto fine in cui l’eroe si guadagna il suo posto nel Valhalla, è una dei momenti più commoventi e catartici della storia del cinema e di tutti i media. Non si parla della ricerca del perdono, di cercare uno scopo nella vita dopo l’affronto subito o andare avanti.

Si parla di vendetta come giustificazione divina per mantenere il proprio onore. Un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario. Lontano dalla giustificazione morale di Old Boy, The Last of Us II o, per rimanere nel tema dei vichinghi, The Vinland Saga, The Northman è forse uno dei pochi film quest’anno che non ha avuto paura di piegarsi all’opinione del pubblico.

The Wolf of Wall Street, Jordan Belfort e l’arte della persuasione

Stavo ascoltando questo meraviglioso remix che fa parte della mia routine di corsa ormai da un mese, quando il signor Jordan Belfort in persona ha interrotto il video con un annuncio tanto interessante quanto importante. Per chi non lo sapesse, Jordan Belfort è l’uomo che ha ispirato il film ‘The Wolf of Wall Street’: la sua leggendaria società di brokeraggio, Stratton Oakmont, ha creato parte della storia di Wall Street e si è imposta un ruolo nell’immaginario collettivo di chiunque si intenda di cinema.

In ogni caso, Jordan interrompe l’annuncio (nello stesso modo in cui vengono interrotti i video di youtube da persone che ti promettono metodi di guadagno discutibili, avete presente?): il buon Jordan pubblicizza il suo metodo personale per vendere ‘ghiaccio agli eschimesi’ come lui stesso dice. Ho guardato l’intero annuncio e ho emesso il mio indirizzo email per avere l’opportunità di vedere trentasei minuti buoni di contenuto esclusivo gratuito. Ero davvero incuriosito. Insieme a Donald Trump, Jordan Belfort è una delle figure che suscita più interesse in me. Chiunque abbia visto The Wolf of Wall Street e non ha desiderato essere come lui probabilmente mente o, se non mente, perlomeno non dice la verità.

Ecco cosa mi ha detto il buon Jordan in meno di un’ora:

Il vero Jordan Belfort a destra. Jordan Belfort interpretato da Leonardo DiCaprio a sinistra.

Jordan Belfort spiega che una vendita è simile a una linea retta. Si parte dal punto A (starting point) quando si cerca di vendere qualcosa o completare una trattativa. Si finisce al punto B (the promised land) quando si ottiene una risposta positiva. Piuttosto semplice, vero? Tuttavia ci sono mille ostacoli in questa piccola linea retta: curve che ti allontanano sempre di più dal punto B e che fanno perdere le tue probabilità di concludere un affare. Questo accade quando non si riesce a rispondere alle domande de clienti, quando non si è confidenti, quando il tono della voce ti tradisce. In questo caso si perde completamente il controllo e la fiducia del tuo potenziale cliente crolla. Sei stato dominato. Puoi avere anche il prodotto migliore del mondo ma se non sai venderlo… beh, è come non avere nulla da vendere (forse ancora peggio). Jordan spiega che la transizione con il cliente inizia appena si apre bocca. Già dalla presentazione, il venditore deve essere orientato verso il punto B. Non sei qui per farti un amico ma per vendere. Ogni tua azione dovrebbe essere motivata dall’obiettivo finale.

Jordan individua tre componenti principali accomunati da una precisa caratteristica in comune per concludere un affare: la sicurezza di sé e di ciò che si vende.

  1. Certezza assoluta nelle qualità del prodotto che si cerca di vendere.

2. Devi essere sicuro di te stesso, delle tue parole, della tua conoscenza verso il prodotto e verso le esigenze del cliente.

3. Devi essere certo della compagnia per cui lavori e di ciò che vende.

Se riesci a far trasparire una sicurezza cristallina verso un potenziale cliente in ognuno di questi punti… sei a posto.

Con questo si conclude la mini lezione gratuita di Jordan Belfort. Il suo pacchetto completo di formazione costa intorno ai trecento dollari. Ad essere onesto, sarei molto curioso a investire una cifra del genere per addentrarmi nella mente di una personalità di successo come Jordan. Le recensioni online sono (quasi) tutte generalmente positive e credo che Jordan sia cambiato da quando ha scontato la sua pena in prigione dopo i fatti narrati nel film. Per chi non lo avesse visto, consiglio caldamente la visione del film ‘The Wolf of Wall Street‘: è una storia fortemente motivazionale che ha il potere di ispirarvi a vivere una vita migliore. A volte mi immagino a percorrere la strada di Jordan e a vivere una vita completa come lui ha avuto l’onore (e la capacità) di ottenere. Una vita come la sua è il mio punto B, la mia promised land.

Non ho idea di come ci riuscirò ma lo farò.

American Psycho, manuale di crescita personale (film)

Non centra nulla. È ciò che ascolto mentre scrivo.

Oggi ho rivisto il film di American Psycho per la quarta volta nel corso della mia vita. Ogni volta è come se fosse la prima volta. Un film magistrale tratto da un romanzo che definisce la letteratura moderna insieme a Fight Club e Trainspotting. Patrick Bateman ha tutto nella vita: un lavoro ben retribuito a Wall Street, un attico nella zona più lussuosa di New York (ma che non si affaccia su Central Park… fottuto Van Allen e le sue prenotazioni al Dorsia), un fisico scolpito da allenamenti quotidiani nelle palestre più esclusive di New York.

Eppure Patrick è preda di una grande insoddisfazione personale. Odia il suo lavoro, odia le apparenze, odia i continui confronti con i suoi colleghi eppure sono questi ultimi su cui si basa la sua vita.

Prenota il locale migliore per la sera. Prendi il vestito migliore. Fatti di steroidi. Fatti una lampada due volte a settimana. Sii un membro produttivo, rispettabile della società. Per Patrick, però, non è abbastanza. Vuole essere il migliore sotto qualsiasi aspetto.

‘Se odi tanto il tuo lavoro perché non te ne vai?’ mi chiede Evelyn.

‘Perché voglio integrarmi…’

Ed è proprio il bisogno sfrenato di essere superiore e di essere accettato che porta Patrick alla follia. Tra un allenamento e l’altro, infatti, Patrick Bateman uccide e tortura diverse prostitute, senzatetto e amiche della sua Università. La sua facciata da ‘ragazzo della porta accanto’ si fa sempre più sottile rivelando una persona essenzialmente fragile e preda dell’opinione degli altri.

Il suo continuo mentire sulla sua presunta amicizia con Donald Trump ne è un chiaro esempio così come la sua frustrazione per non riuscire ad effettuare una prenotazione al locale più esclusivo di Manhattan, il Dorsia.

American Psycho parla delle ossessioni di un uomo che, semplicemente, non si sente abbastanza e della sua conseguente frustrazione su se stesso e su gli altri: Patrick è una vittima passiva di una società consumistica di cui diventa sempre più difficile far parte. Non riesce a vivere senza continuare ad ottenere di più per compiacere persone che disprezza. Non vuole essere lasciato in disparte. La soluzione? Scatenare il suo malessere con se stesso verso gli altri. Fantasie e azioni di violenza si mescolano alla sua routine fatta di palestra, bevute con gli ‘amici’, cocaina e concerti. Forse questo è l’unico modo in cui Patrick possa trovare sollievo nella sua missione per integrarsi.

Tuttavia Patrick è una persona di successo ma non riesce a vederlo. La sua visione è oscura e distorta dal perenne confronto con gli altri in questioni davvero banali da cui ne esce quasi sempre perdente. Ad esempio, il confronto dei format dei biglietti da visita in ufficio.

rectangular white table with rolling chairs inside room
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Eccetto la salute mentale, gli impulsi omicidi e la completa sociopatia di Patrick credo che ci sia qualcosa o due da imparare da lui; prima tra tutte, la voglia di vincere.

E, a mio parere personale, credo sia questo il messaggio di American Psycho: non criticare aspramente la società consumistica e yuppie ma di aspirare alla grandezza e alla ricchezza con una mentalità equilibrata e logica, senza lasciare che il giudizio degli altri (positivo o negativo che sia) ti trasformi in un mostro. Credo che questo messaggio non sia tanto rilevante quanto oggi. È difficile trovare un uomo di successo ma ancora più difficile è trovare un uomo equilibrato… ed è questo che porta realmente al vero successo.

Il principe nell’alta torre, Jordan Peterson II, Caino e Abele- Old boy (2003)

Il cinema vicino a me dava Old boy ieri sera e non ho perso l’occasione di vederlo per la quinta volta quest’anno. Spero di non essere stato il solo a identificarmi come Taesu in questi periodi di quarantena senza fine.

La trama da sola rende Old Boy uno di quei film che ti piace ancora prima di averlo visto: Taesu viene imprigionato per 15 anni in una stanza senza saperne il motivo. Sua moglie viene assassinata e i sospetti ricadono su di lui. Anche se riuscisse a scappare dalla sua prigione, Taesu non avrebbe alcun posto dove andare.

15 anni chiuso in una stanza senza alcuna possibilità di capire il perché di tutto ciò: non ci sono persone con cui interagire, non ci sono valvole di sfogo e non può nemmeno suicidarsi dato che ogni sua mossa nella stanza in cui è prigioniero è monitorata dai suoi carcerieri. La stanza è composta da: un letto, una scrivania, un televisore, una porta blindata (da cui Taesu riceve i pasti) e una finta finestra con il disegno di un mulino a vento in mezzo alla campagna tra le tende in modo da dare un’ illusione di un mondo esterno.

Nella mente di Taesu si forma un solo pensiero: capire il perché si trovi in quella situazione e soddisfare la sua sete di vendetta. Passa tutto il tempo a scrivere, a guardare la televisione e ad allenarsi facendo shadow boxing in dieci metri quadrati di cella e usando il muro come sacco da boxe, il che è alquanto pericoloso per la struttura della mano (ne so qualcosa).

Taesu tenta il suicidio più di una volta, ma i suoi carcerieri lo curano sempre poco prima che sia troppo tardi. Davvero un incubo senza fine per il protagonista.

15 anni spesi in agonia e rabbia vengono finiscono tutto d’un tratto. Taesu viene rilasciato e si sveglia sopra il tetto di un palazzo di trentacinque piani. Il suo incubo è finito. E adesso? Cosa può fare un uomo che ha bruciato quindici anni della propria vita e completamente fuori dal mondo? La vendetta è l’unica cosa che sembra motivare Taesu. Piuttosto facile simpatizzare per lui, giusto?

Uno dei motivi per cui credo sia così facile immedesimarsi in una storia di vendetta è il semplice fatto che fantasticare su quest’ultima fa parte della natura umana. Ognuno di noi ha subito un affronto e ognuno di noi (eccetto forse Madre Teresa) ha perlomeno sognato di ripagare colui che ci ha fatto del male con la stessa moneta. Lo stesso meccanismo di vendetta (o giustizia, o difesa personale) è stato alla base della creazione delle leggi scritte (come ne ho parlato qui). La crociata di Taesu, del ‘ragazzo vecchio’ che è stato derubato di gran parte della sua vita, è diventata anche la mia crociata. Qualcuno deve pagare. Ma cosa succede quando si ottiene la propria vendetta? I quindici anni torneranno? Taesu sarà una persona più giovane? La risposta è nella scienza: la vendetta fa bene. Chiunque ottenga la sua rivincita ottiene nuovamente l’autostima che gli è stata rubata. Ma qual è il prezzo della vendetta? Cosa si è disposti a fare pur di raggiungerla? E se ottenere la vendetta fosse impossibile? E se per ottenerla ti macchiassi di crimini orribili che finirebbero seriamente la tua vita? E se il tizio che ti ha fatto del male avesse avuto più di un buon motivo per fare ciò che ti ha fatto? Il confine è labile da definire e lo stesso concetto di giustizia è fallace. Il film Old boy esplora proprio questo tema e lo fa in maniera magistrale: senza degnare lo spettatore di una risposta precisa.

Per quanto mi riguarda credo di essermi fatto un idea. Ancora una volta invoco il nome del dottor Jordan Peterson e la sua settima fenomenale regola del suo ancora più fenomenale libro ’12 rules for life’.

‘Pursue what is meaningful and not what is expedient’ (Concentrati su ciò che ha importanza non sulle cose di poca importanza; o anche: concentrati su ciò che ti porterà dei risultati e non su ciò che ti porta piacere).

Il dottor Peterson porta l’esempio di Caino e Abele, una storia biblica che conosciamo tutti. Dio richiede un sacrificio (Griffithhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!) periodico in suo onore. Abele, il più laborioso e il maggiore dei due fratelli, compiace Dio con i suoi grandiosi sacrifici e Dio fa di lui il suo preferito; i sacrifici di Caino, d’altro canto, non vengono accettati da Dio e ciò suscita la rabbia e l’invidia del fratello minore nei confronti di Abele. Invece analizzare se stesso, di capire perché i suoi sacrifici non sono degni di Dio, Abele viene consumato dalla rabbia e uccide suo fratello, la cui unica colpa è stata quella di essere una persona di ‘successo’ agli occhi di Dio.

Che storia tragica e profondamente umana. Molti di noi sono così (nonostante non vogliamo ammetterlo). Taesu è così. Magari non arriviamo a uccidere una persona, ma ogni volta che falliamo e ogni volta che non rispettiamo alcuni standard o che qualcuno ci fa del male, invece di pensare che è colpa nostra, pensiamo subito che è colpa di qualcun altro. Non abbiamo abbastanza successo? Incolpiamo qualcun altro che ce lo ha dicendo che il nostro paese è alla deriva (non sapete quante volte ho sentito scrittori di bassa lega parlare male di Fabio Volo perché ha avuto l’audacia di ‘vendere’ i suoi libri…).

Pensate se tutta quell’energia basata sull’odio venisse concentrata nel creare qualcosa di costruttivo. Pensate quanto il singolo individuo e il genere umano in generale ne gioverebbero. Cosa accadrebbe se gli Incel smettessero di essere divorati dall’odio e lo usassero come benzina per migliorarsi la vita? Cosa accadrebbe se ognuno di noi pensasse più a se stesso e meno agli altri? Cosa accadrebbe se Taesu rinunciasse alla sua vendetta e decidesse di trascorrere una vita tranquilla e pacifica orientata a migliorare se stesso e usare la sua fonte inesauribile di rabbia per fare qualcosa di concreto? (fatto che ha già dimostrato usando emozioni negative per imparare il pugilato da autodidatta, perdere peso e studiare durante il suo imprigionamento). Ciò richiede una forza enorme che potrebbe essere quasi definita divina.

Un grande film che racchiude un grande messaggio. Non sprecate la vostra vita nell’odio. Non importa quali torti e quali brutte carte vi ha riservato la vita. Non diventate mostri che vivono nell’odio, nel cinismo e nella rabbia ma usate le esperienza negative per forgiarvi e vivere una vita degna di tale nome.

Leggete, fate attività fisica, dedicatevi a molti hobby, lavorate duramente. E questo che porta alla felicità e non la miseria degli altri.

Oppure non fatelo, come direbbe Jordan Peterson. La scelta è vostra.

Spero che ognuno che legga queste righe possa ottenere un successo enorme; il fatto è che la mia speranza non conta nulla. Bisogna guadagnarselo e andare avanti nonostante le sconfitte e i torti che si subiscono e ce ne saranno molte…credetemi. Ci saranno tante sconfitte quante vittorie. Non siate i peggior nemici di voi stessi. La vendetta regalerà solo una gioia temporanea; il successo sarà per sempre.

Guardatevi Old Boy.