Quattro ore alla settimana: tempo, sogni e libertà

Ricordo ancora quando sognavo di vivere come Christopher McCandless, il protagonista di Into The Wild. Una vita felice, spensierata e incentrata sull’idea del viaggio, liberato da qualsiasi legame e obbligo. Ho la fortuna di poter dire di aver vissuto come lui per un anno ma nulla di più. Poi ho dovuto confrontarmi con la realtà, trovarmi un lavoro e tutta quella roba. A volte penso a quanto sarebbe bello semplicemente buttare il telefono in un fiume (o magari in un cestino dei rifiuti per non inquinare), salire su un aereo senza una destinazione e semplicemente perdermi nel mondo seguendo la via della solitudine di Musashi Miyamoto. In questo bellissimo sogno ci sono due problemi: il mio lavoro e i soldi per un fantomatico viaggio (sto pensando al Giappone). Non sarebbe difficile prendere un paio di settimane di ferie e spendere metà del mio patrimonio. E poi? Tornerei alla mia routine quotidiana per riguadagnare quello che ho speso in vacanza, magari prenotare la prossima metà per l’anno a venire (sto pensando al Maine) e ripetere il tutto. Forse questa soluzione è meglio di niente. Ma davvero non c’è un’alternativa?

brown hawk flying freely
Ennesima foto gratuita copyright free che non spiega molto

In questi giorni ho studiato e letto molto per trovare una soluzione. Opinioni e analisi di mercato sulle criptovalute, posizionamento SEO e Google Adsense per il blog (lol), investimenti vari, affitto, sub-affitto, Air-bnb. Ho letto Padre Ricco Padre Povero e The Art of the deal. Sono libri che motivano molto ma che non offrono una reale soluzione ma è giusto così. Come potrebbero? Fare soldi e investire è arte. Sarebbe come pretendere di imparare a scrivere narrativa leggendo un libro di scrittura creativa: semplicemente non è possibile. In ogni caso, mi sono imbattuto in questo libro dal provocante titolo “Quattro ore alla settimana – Ricchi e felici lavorando 10 volte di meno” di Timothy Ferriss.

Ferriss è una personalità interessante. A soli 23 anni ha fondato un’azienda online di integratori alimentari di grande successo per poi venderla ad una società Private Equity londinese. Quelli sono stati gli anni in cui ha scritto il libro delle quattro ore che lo ha portato al successo. Da allora, ha deciso di dedicarsi all’attività di consigliere business angel. Ma Timothy Ferriss è molto più di questo. È un campione nazionale di kick-boxing e ha il guinness world record per il più alto numero consecutivo di rotazioni in un minuto nel ballo del tango. Un uomo decisamente d’eccezione.

Nel suo libro, Ferriss esplora temi come il downshifting, i virtual assistant, i cash flow, i business online e tanto altro. Ferriss spiega la legge di Pareto e di Parkinson secondo la quale bisogna limitare i compiti all’essenziale per abbreviare il tempo di lavoro e di abbreviare i tempi di lavoro per limitare i compiti all’essenziale. Ciò significa tagliare ogni azione superflua. L’80% dei risultati deriva infatti dal 20% delle cause. Non bisogna tanto giudicare la quantità quanto la qualità. Avere meno tempo a disposizione equivale anche ad avere più motivazione. Meno tempo significa più concentrazione per portare a termine il lavoro nel migliore dei modi nel minor tempo possibile. Quando ero all’Università mi mettevo all’opera solo due giorni prima della scadenza di un compito. Niente motiva come una deadline.

Ferriss si spinge oltre spiegando nel dettaglio come far avviare una propria attività, i consigli da seguire e come liberarsi dalla corsa dei topi. Tutti questi consigli li ho trovati sin troppo caotici. Ciò che ha permesso Ferriss di guadagnarsi la liberta finanziaria sono stati i ricavi della sua attività che, come lui stesso afferma, era nata un po’ per caso. Non tutti possono permettersi di seguire i suoi passi. Ciò che mi è piaciuto, però, è l’energia e la positività con cui ha raccontato la sua scalata al successo. Un libro altamente motivante che però non offre null’altro. Decisamente consigliato in offerta per e-book. Altrimenti opterei per Padre Ricco Padre Povero.

Da Shinji Ikari a Guts: una riflessione

La mia ultima visione di Evangelion risale a quasi tre anni fa. Non ricordo alla perfezione i dettagli, la storia e i riferimenti esoterici e biblici. La cosa che mi è rimasta più impressa, oltre alla mia amata waifu Rei Ayanami, è stato il protagonista Shinji Ikari: un eterno indeciso, introverso, schivo e con un principio di asocialità. Shinji rappresenta l’otaku medio giapponese che sfugge dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia. Come biasimarlo? Shinji è un quattordicenne abbandonato dal padre poiché considerato “inutile”. La morte della madre non ha di certo aiutato nella costruzione del suo carattere. Essere moralmente obbligato a pilotare quello che è all’apparenza un robot e avere il destino dell’umanità sulle spalle sarebbe troppo per tutti.

Non starò qui a parlare dell’affascinante quanto complessa trama di Evangelion, della splendida caratterizzazione psicologica dei personaggi, delle metafore e delle splendide animazioni. Ci vorrebbe un blog a tema o una serie di dieci video su youtube da un’ora ciascuno. Parlerò solo di due dei personaggi fittizi che amo di più in assoluto: Shinji Ikari e Guts. Non potevo scegliere due persone più differenti.

Ho sempre avuto molto in comune con Shinji sin da quando ero un bambino. Ho evitato, ed evito tutt’ora, di intrattenere relazioni sociali oltre lo stretto necessario. La folla mi mette a disagio. Vado al cinema da solo. Vado in palestra da solo. Scrivo da solo.  Ho sempre pensato a ciò come un motivo di grade orgoglio. Mi piace la solitudine e preferisco starmene per conto mio. Non la vivo male come cosa. Ho un paio di amici e una ragazza. Sto a posto da quel punto di vista. O almeno così credevo.

Un paio di eventi mi hanno costretto a riconsiderare tutto ciò. Spinto dall’idea del successo, del guadagno, ho scelto di iscrivermi a un corso per imparare i concetti di compra-vendita e diventare un broker. L’immagine che avevo in mente (Leonardo Di Caprio su uno yacht che lancia soldi ai federali come in The Wolf of Wall Street) non era molto calzante con la realtà che mi si presentava davanti: un ufficio pieno di persone che cerca di convincere sconosciuti al telefono per comprare i propri pacchetti azionari.

Più di un problema

 Le lezioni erano utili e motivanti. L’ufficio, al contrario, era soffocante. Non ero abituato a stare a contatto con troppe persone. Il solo atto di scegliere le persone dalle pagine gialle per rifilargli un discorso imparato a memoria mi dava dolore fisico. Small talk con i colleghi? Fantascienza. Da lì ho cominciato a sospettare di avere qualche problema. Un problema che mi trascino sin dall’infanzia e che non ho mai avuto modo di risolvere: il contatto umano. Questo è accaduto un anno fa. Ora ho un lavoro in una branca che mi piace e che, soprattutto, si svolge in smart working da remoto. Posso mascherarlo quanto voglio ma, un giorno, tornerà a perseguitarmi. Sono grato di aver lasciato quel posto. Ma sono anche grato dalle conclusioni che ne ho tratto.

E questo ci porta a Guts. Il guerriero nero (una figura chiave in queste pagine) è probabilmente l’antitesi di Shinji. Anche lui marchiato da traumi infantili, ben peggiori di quelli Shinji, ha trovato nella resilienza e nella forza di carattere il modo per sopravvivere, affrontando ogni sfida che gli si pari davanti. Non importa quanto essa possa sembrare impossibile (e alcune lo sono veramente): Guts applica i principi della leadership tanto cara agli imprenditori e sceglie di andare contro la corrente del destino per raggiungere il suo lieto fine. Guts è forse una delle figure a cui mi sono ispirato di più in questi anni per la crescita personale. Ma andare in palestra e conciliarla con il proprio lavoro non è abbastanza per svilupparsi come individuo.

Non è neanche lontanamente abbastanza.

Come Shinji, anche io decido di privarmi delle interazioni sociali per paura di farmi del male. Se ti privi di tutto, in fin dei conti, non ti succede nulla: non c’è dolore ma neanche crescita. Ma questo è un approccio completamente sbagliato che non porta a nulla se non ad avere rimpianti. E ciò non si riflette solo sui rapporti sociali ma anche sui propri obiettivi. Fortunatamente ho ritrovato una mia routine e sono di nuovo al lavoro. Non intendo il mio lavoro principale ma quello che mi porterà alla vita che voglio veramente.  Tutto sommato, sono fiducioso. Sono sulla strada giusta e il tempo è dalla mia parte. Sono ancora in tempo per diventare Nathan Drake.

Il prezzo dell’ambizione

Stavo guardando un paio di video motivazionali su Youtube per darmi una carica emotiva. Ce ne sono migliaia nell’immensità del web.

‘Discorso motivazionale di Arnold Schwarzenegger’, ‘Discorso motivazionale di Donald Trump’, ‘Motivazione da Conor McGregor’: c’è l’imbarazzo della scelta.

Poi mi sono imbattuto in questo video.

Il titolo già potrebbe parlare per se. ‘Lavora ogni ora in cui sei sveglio.

Per chi non lo sapesse questo è Elon Musk, l’uomo che sta creando il futuro. Creatore della Paypal, della Tesla, della SpaceX, bullo del bitcoin e delle criptovalute. La visione di quest’uomo sta lentamente (ma inesorabilmente) cambiando le sorti del nostro pianeta. Forse sta persino cambiando le sorti dell’universo. Una delle cose per cui è più famoso è la sua incredibile etica lavorativa. Elon Musk lavora infatti 120 ore a settimana, dorme nel suo ufficio ed è disponibile ogni singolo giorno.

Ogni ora della sua vita è dedicata al successo e al raggiungimento della sua visione e del futuro. Come molti, Elon Musk non ha avuto fortuna all’inizio. Ha abbandonato la sua Università per creare una sua compagnia (che poi sarebbe diventata Paypal). Ha fallito spesso e ha dovuto ogni volta reinventarsi.

E tutto questo per cosa?

Per seguire la sua visione.

Secondo Elon Musk molte persone hanno le capacità per portare a compimento i propri progetti (qualsiasi essi siano… si, mi riferisco anche a te) ma, quelle stesse persone, a un certo punto, si fermano e si lasciano inghiottire dal baratro della paura del fallimento e dell’insuccesso. I risultati non arrivano dall’oggi al domani.

La strada per il successo è lastricata di sacrifici, sangue, lacrime, rinunce e stress. Ma la ricompensa che vi (ci) attende in fondo al tunnel sarà la cosa più bella che proverete nella vostra vita.

Sono a Milano da una decina di giorni e vivo in un ostello. Ho incontrato un ragazzo sudamericano che lavora in un ristorante giapponese… sembra l’inizio di una barzelletta ma non lo è. Lavora 60 ore a settimana e, nel frattempo, studia all’Università e sta gettando le basi per la sua azienda online. Quando non lavora, dorme in un letto a castello in una stanza con altre sette persone. Questo ragazzo è uno degli individui più felici che io abbia incontrato. Ogni volta che lo vedo, oberato di lavoro, mi regala un sorriso e mi dice che la sua routine quotidiana di studio e lavoro lo aiuta non solo a realizzare il sogno ma anche a dare un senso alla propria vita. In un certo senso mi ricorda Elon Musk.

Ogni volta che mi vedo in giro vedo persone che si lamentano della propria esistenza. Non hanno un piano preciso. Lavorano senza un obiettivo e scialacquano i propri risparmi cercando di dimenticare la propria vita. Il solo pensiero del lavoro è un suicidio.

‘La vita è una’ potrebbero rispondere i più ‘Non ha senso spendere ogni minuto a lavorare. Io lavoro per vivere non vivo per lavorare.’

Eppure sono le stesse persone che spendono nove ore della propria esistenza in un lavoro che odiano e che non cercano una valida alternativa.

E poi cosa c’è di più bello che lavorare e soffrire per raggiungere la propria visione di successo?

Lavorare ogni singolo momento della propria giornata (dormendo quattro ore come il buon Elon) non è certamente per tutti e, forse, non è neanche l’approccio più sensato per raggiungere degli obiettivi concreti. Tuttavia bisogna provare e riprovare, cercando un metodo che funzioni a seconda della natura della persona in questione.

Amerei poter dire di lavorare 100 ore a settimana, investire in azioni, scrivere 2000 parole al giorno da aggiungere al mio romanzo, aggiornare il mio blog quotidianamente, andare in palestra e leggere due libri a settimana… ma mentirei. Faccio molte di queste cose ma con una mole di lavoro decisamente più leggera.

A volte mi chiedo se sono davvero motivato a raggiungere il successo. Sto ottenendo qualche risultato ma non quello che realmente voglio. Devo davvero darmi da fare. I need to improve my game… come direbbe Joe Rogan.

Apro una lattina di Monster e mi metto di nuovo a lavoro.

Sarà una lunga notte, non è vero Spreco d’Ossigeno? (citazione di alto livello).

Start again (Trump: the art of the deal)

Ieri ho viaggiato per la prima volta in pullman. La tratta era Roma-Milano e ci ho messo poco meno di dieci ore. Per chiunque voglia risparmiare e soprattutto per chi ha tempo da perdere consiglio caldamente una tratta in pullman. Il biglietto l’ho pagato ventinove euro e ho scelto la prima classe (non che abbia capito che differenza ci sia con la seconda.)

Ho prenotato un ostello per ventidue notti con l’idea in testa di fare qualcosa della mia vita. Forse la lettura di American Psycho, la biografia di Donald Trump e la serie tv dedicata a quest’ultimo mi hanno dato la spinta che avevo bisogno per ‘costruire’ qualcosa (qualsiasi cosa possa significare). Ho preso Trump: the art of the deal per farmi compagnia nell’interminabile viaggio sull’autobus.

Il libro inizia con una settimana tipo all’ufficio di Trump prima che diventasse presidente degli Stati Uniti.

La sua routine è composta essenzialmente da telefonate alle persone giuste, allo studio dell’economia e dei futuri affari e dalla creazione di network per creare nuovi legami e amicizie.

Donald Trump si sveglia ogni mattina alle 6 e passa una o due ore a leggere il giornale. Alle nove si reca nel suo ufficio. Non c’è giorno in cui Trump non faccia meno di 50 telefonate (che aumentano di numero fino ad arrivare a 100). In più è impegnato all’incirca in dodici riunioni nell’arco di una giornata. Alle sei e mezza del pomeriggio lascia l’ufficio per andare a casa ma continua a fare telefonate fino a mezzanotte.

Questo era prima della sua presidenza ma dopo aver ottenuto la sua immensa ricchezza.

Come lui stesso ammette, non lo fa perché ha bisogno di soldi ma perché è nella sua natura quella di aggiudicarsi il migliore affare. I soldi sono solo uno strumento con cui tenere il ‘punteggio’ ma al di là di essi c’è ben altro: l’adrenalina che si ha nel buttarsi in un progetto nuovo, la consapevolezza che nessun investimento è sicuro e la voglia di prevalere sui competitori.

Trump descrive la sua infanzia e di come sin da bambino ha avuto un carattere aggressivo e dominante. Al liceo, ad esempio, il piccolo Donald diede un pugno a un insegnate di musica poiché non credeva che sapesse nulla della sua materia. A Donald piaceva testare i limiti delle persone e a far valere le sue opinioni. Una grande influenza sul suo carattere competitivo e fortemente ambizioso è sicuramente suo padre, Fred Trump, un investitore immobiliare affermato e di successo con numerose proprietà a New York.

Donald offre molteplici consigli agli aspiranti imprenditori attingendo dalla storia dei suoi primi grandi affari (come la ricostruzione del Commodore Hotel e il grande affare sul Boardwalk di Atlantic City). La storia di Trump è come una meravigliosa favola che dipinge il vecchio concetto del sogno americano.

The art of the deal’ è una interessante chiave di lettura sul modo di pensare di Donald Trump, una delle personalità (per quanto discusse) più influenti e di successo di questo secolo e di quello scorso. Consigliato a chiunque abbia abbia bisogno di motivazione. Sicuramente io ne avevo bisogno.

Padre ricco padre povero (Robert Kiyosaki)

‘Padre ricco padre povero’ è stato il mio primo vero approccio all’educazione finanziaria. La premessa è tanto semplice quanto interessante. Il giovane Robert ha avuto la fortuna di avere due figure paterne. Il padre ricco, il padre del suo migliore amico e il padre povero, il suo vero padre.

Il primo era un capitalista convinto con diverse proprietà fiorenti nelle Hawaii. Ha abbandonato il percorso di studi in terza media per fondare una propria azienda.

Il secondo era un socialista che detestava ogni forma di denaro e faceva l’insegnante credendo nell’importanza dell’istruzione tradizionale.

Il padre ricco ma non istruito morì lasciando a suo figlio il suo impero. Il padre povero ma erudito lasciò alla sua famiglia più di un debito.

Robert Kiyosaki ha scelto di seguire le orme del padre ricco, imparando a creare una fonte di reddito passiva che lo avrebbe tolto dalla ‘corsa dei topi’ (lavora, paga le bollette e l’affitto, lavora ancora, vai in vacanza e ripeti fino alla morte).

Uno dei pregi fondamentali di questo libro è quello di spiegare concetti come il ‘cashflow’ e la creazione di un reddito attivo che crea denaro in maniera molto semplice… esattamente nello stesso modo in cui Robert fu istruito da bambino.

La prima lezione è che il ricco non sceglie di lavorare per il denaro perché è una battaglia persa in partenza. A molti viene dato il consiglio di completare un ciclo di studi, ottenere una laurea e trovare un buon lavoro. Questo, però, non è altro che falsa illusione secondo il padre ricco. Più si lavora, più si guadagna, più si paga in tasse, mutuo, rate e altre spese rendendo un buono stipendio molto meno buono di quello che si crede. Il problema è nella mentalità di base. Il povero (o il ceto medio) acquista beni passivi che non fruttano alcun avanzamento di denaro: spende tutta la paga che riceve e aspetta con trepidazione lo stipendio del mese prossimo. Il ricco investe nella sua colonna di attivi.

Mi spiego meglio.

Mentre il ceto medio spende i pochi risparmi che gli restano per comprarsi una bella macchina, dei bei vestiti, videogiochi o altro, il ricco spende in investimenti che creano guadagnano nella sua colonna degli attivi.

Cosa si intende per attivi? Investimenti in qualsiasi campo: dall’immobiliare alle cripto-valute (di cui ho una piccolissima esperienza), beni immobili, start-up, opere d’ingegno, canali youtube e affitti che creano un reddito passivo e che, quindi, aumentano denaro nel tuo portafoglio senza che tu faccia troppo. Il concetto sembra facile e lo è. Il difficile è capire quale attivo sia veramente un attivo, un falso passivo, una truffa o un cattivo affare.

Robert Kiyosaki afferma che uscire dalla ‘corsa dei topi’ è molto più semplice di quello che si pensi ma che non ci sono scorciatoie. Per capire cosa possa essere un investimento intelligente o no serve acuire quello che lui stesso definisce Q.I finanziario ed essere pronti a perdere pur di guadagnare.

Come il padre ricco gli insegnava, ‘il povero non rischia perché ha paura di perdere. Questo potrebbe garantirgli una certa stabilità economica ma non potrà mai arricchirsi. Il povero gioca per non perdere. Il ricco gioca per vincere.’

O come dice Robert, ‘Gli insuccessi motivano in vincenti e sconfiggono i perdenti.’

Adoro questa mentalità ma bisogna essere forti mentalmente e spiritualmente per non cadere nel baratro della mediocrità e della disperazione. Questa massima potrebbe applicarsi in ogni singolo aspetto della propria vita. Essere dei vincenti è prima di tutto un gioco mentale.

Un altro consiglio è l’istruzione finanziaria. È davvero importante investire nella propria conoscenza e nel proprio benessere. Divorate libri di argomenti dei vostri eroi che hanno raggiunto un traguardo che uomini mediocri definirebbero ‘impossibili’. Leggete con attenzione le loro gesta e pensate ‘Se ce la fanno loro… forse posso farcela anche io.’ Roberto deve molto del suo successo all’acquisizione di informazioni da gente come Warren Buffett e Donald Trump. Uno dei motivi per cui le persone non hanno successo (secondo lui) è che non credono abbastanza in loro stesse e si fanno influenzare dall’opinione negative dei loro amici o familiari nonostante non abbiano esperienza neanche per dare un singolo consiglio.

Che dire? Per chiunque sogni una vita diversa e ignori completamente i principali dogmi della finanza personale, ‘Padre ricco padre povero’ è una lettura d’obbligo. Non è pensato per gli ‘addetti ai lavori’ ma per le persone comuni che si approcciano per la prima volta a questo mondo. La lettura è estremamente fluida, il linguaggio elementare. Mi sono ripromesso di ampliare la materia in questione e il mio prossimo libro nella lista sarà ‘The art of the deal’ di Donald Trump, il quale sono sicuro che ha molto da insegnare.

Consiglio vivamente la serie- documentario su Netflix: Trump-un sogno americano. Ti motiverà come poche cose al mondo.