Grazie di tutto Kentaro Miura (un pensiero personale)

Sono sicuro di avere avuto una contusione l’ultima volta che ho fatto hard sparring. Mi è stata prescritta una risonanza magnetica e ho visitato un neurologo ma non è stato rilevato alcun danno cerebrale (che sollievo). Eccetto un mal di testa durato tre mesi me la sono cavata con poco.

Questo è stato un periodo strano.

Non ho avuto nulla da fare questi giorni. Non ho scritto più (il che è abbastanza grave per una persona che desidera diventare uno scrittore). Il mio futuro appariva ancora più incerto di prima. Non posso tornare in UK dove mi sono trasferito tre anni fa. Ho lasciato che gli eventi plasmassero le mie ambizioni.

Ho passato le giornate a guardare il vuoto, vecchi film, a leggere gli stessi libri di sempre (qualsiasi cosa scritta da Murakami e Jordan Peterson) e su internet dato che sono pur sempre un millenial.

Giorni passati ad aspettare Godot che mi indicasse la via da seguire.

Ore passate a scorrere la home di twitter mi hanno informato di molte cose tra cui:

-Alcuni odiano Trump per qualche ragione

-Alcuni odiano Biden per qualche ragione

-Alcuni diffidano del vaccino

-Alcuni piangono per la morte di Kentaro Miura

-Alcuni credono che Logan Paul sia il futuro della boxe

Aspetta… che cosa? Alcuni piangono per la morte di Kentaro Miura.

Sul serio?

Inizialmente non ci credevo. Ero sicuro si trattasse di uno scherzo come a volte fa chi annuncia la morte a caso delle persone famose. Poi andai a controllare la fonte. Non era uno scherzo. Morto per dissezione aortica acuta a 54 anni.

Berserk è una delle opere che più mi ha aiutato all’Università. Ero una persona introversa, buia, scontrosa, tormentata dagli errori del proprio passato (sotto molti aspetti lo sono ancora).

Essere partecipe delle vicende di Guts mi ha portato ad ammirarlo e ad emulare il suo carattere: un uomo solo che combatte contro un essere che potrebbe essere definito divino, che porta un fardello più grande dell’umanità stessa e che, nonostante le cose che ha dovuto sopportare, trova sempre una ragione per vivere e combattere.

Leggere Berserk mi ha fatto sentire meno solo e, in qualche modo, più coraggioso. Trovavo conforto nel chiamare me stesso ‘Struggler’.

‘Se Guts può continuare il suo viaggio verso il Caos, allora forse anche io posso farlo,’ Ho pensato. Da allora sono rimasto ossessionato dall’idea di diventare forte abbastanza per potere sopravvivere a tutto ciò che avrei incontrato nella lunga strada verso il mio sogno.

Pugilato, scrittura, lettura, palestra. Volevo (e voglio) diventare la versione migliore di me stesso, avanzare verso il mio sogno e creare una mia identità. Tutto questo grazie a Kentaro Miura. Tutto questo grazie a Berserk.

Ultimamente, però, mi sono perso come migliaia di altri nel ‘falò dei sogni’ in cui tutti si perdono almeno una volta nella vita. Con la mia inerzia ho lasciato che io fossi la vittima sacrificale del mio stesso sogno. Ma questo non è un qualcosa che farebbe Guts. Questo non è un qualcosa che farebbe uno struggler.

Grazie di tutto, Kentaro Miura. Hai dedicato tutta la tua vita ad aiutare me e infinite altre persone. Se sono una persona migliore (o se posso anche solo essere definito come tale) lo devo soprattutto a te.

Griffith did nothing wrong I- Alcuni pensieri su The Last of Us II

Molte delle mie storie preferite ruotano intorno alla vendetta. C’è un piacere immenso nel vedere qualcuno che ha ricevuto un torto pareggiare i conti. Tu mi hai tolto qualcosa, io tolgo qualcosa a te. Tu mi fai qualcosa, io faccio qualcosa a te. Non è un semplice capriccio vedere la persona che odi sprofondare nell’abisso (soprattutto se sprofonda per mano tua). La vendetta è stata la prima forma di giustizia. Nelle tribù preistoriche la vendetta era vista come un simbolo di potere e chiunque si faceva giustizia da se otteneva il rispetto delle altre persone. Il messaggio era chiaro: ‘Non sono una persona con la quale scherzare troppo‘. Se, al contrario, si rimaneva inermi e sottomessi di fronte a un affronto, si veniva percepiti come esseri deboli e l’intera tribù si schierava con il carnefice adottando la cara vecchia mentalità del ‘cacciatore e preda’.

Non si scordano facilmente certe cose. Solo il titolo che ho messo per questo post farà incazzare qualcuno.

Con il tempo le cose sono cambiate. Si predica il perdono e il lasciarsi tutto alle spalle. D’altronde è meglio vivere felici piuttosto che vivere nel passato e ricordare ogni giorno ciò che ti è stato fatto. Per dirlo con le parole del grande Frank Sinatra: ‘La vendetta migliore è il successo.’

O no?

A quanto pare è stato dimostrato che ottenere vendetta porta benefici alla salute mentale e fisica. Avere soddisfazione personale tramite la sofferenza di coloro che hanno attaccato per primi è scritta nel nostro DNA. Un po’ come dire: ‘Ciò che ho perso (qualsiasi cosa sia) non tornerà ma perlomeno questo cazzone (chiunque esso sia) ha avuto quello che si merita’. Non a caso molte storie nei media utilizzano il leitmotiv della vendetta: è un qualcosa a cui ognuno di noi ha pensato almeno una volta nella vita. Per caso o per fortuna, ultimamente tutto ciò che ho letto, visto e giocato ha avuto a che fare con la vendetta (The Last of Us II, Oldboy, Ricochet, Il Conte di Montecristo). Non parlerò di Berserk…anche se questo blog è dedicato proprio a quell’opera. Bensì partirò da un videogioco che ha fatto parlare di se negli ultimi tempi. Ovviamente parlo di Among usThe Last of Us II.

SPOILER DA QUI IN AVANTI

Questo titolo mi è piaciuto più del primo. Ecco. L’ho detto. Il primo non era niente di speciale.

Cosa c’è da dire su questo titolo?

L’ho adorato: dal primo all’ultimo frame, the Last of Us II racconta una storia semplice ed efficace che esplora i sentimenti di frustrazione, vendetta e PTSD di entrambe le protagoniste, Ellie e Abby. Ognuna ha degli ottimi motivi per desiderare la morte dell’altra. Ellie ha assistito alla morte del ‘padre adottivo’ Joel per mano di Abby, la quale ha visto la morte di suo padre per mano di Joel. Purtroppo la vendetta è un circolo vizioso e potrebbe durare in eterno come dimostra questo gioco. Le condizioni psicologiche e fisiche di Ellie peggiorano a mano a mano che si inoltra nella missione di rendere giustizia a Joel. Dovrà rinunciare ai suoi amici, alla famiglia che aveva a Jackson (la città in cui viveva con Joel) e a non poche norme morali che la distinguevano dai personaggi più ambigui dello scorso titolo. Ellie distruggerà tutto ciò che ha costruito nel presente, come la relazione con Dina, per fare pace con le visioni della morte di Joel che non la fanno dormire di notte. Come dice quel detto: ‘Chi cerca vendetta deve scavare due fosse: una per lui e una per il suo nemico.’

Vivere nel passato porta a condannare il presente e a perdere tutto ciò che si è costruito. Perciò se la vendetta non è un’opzione, il perdono rimane l’unica alternativa. Ellie pare capirlo e lascia andare Abby quando capisce che la sua morte non potrà farle riavere Joel. Un finale che è stato a lungo criticato ma che è profondamente umano. Ellie capisce di aver perso tutto e non vuole che Abby faccia la sua stessa sorte: non vuole che il legame tra lei e il bambino Lev si spezzi a causa sua. Quando Ellie torna a casa: ovviamente non c’è nessuno ad aspettarla. Ciò che restava delle sue conoscenze ha deciso di vivere altrove. Tuttavia, Ellie trova ciò che le apparteneva nel suo studio. Tutto è rimasto com’era prima. Comincia a suonare la chitarra ma nel suo viaggio verso la vendetta ha perso due dita e ha qualche difficoltà: anche l’ultimo legame che aveva con Joel (la chitarra e il fatto che lui stesso le avesse insegnato a suonarla) è andato.

Un ultimo flashback ci viene mostrato: Ellie che rimprovera a Joel il fatto di non averla sacrificata per salvare il genere umano. Joel le dice che avrebbe fatto quella scelta ancora una volta. E ancora. E ancora. Lei era la figlia che aveva perso e il genere umano non significava nulla per lui. Il mondo e le emozioni umane ruotano intorno all’egoismo. Joel non è diversa da Abby che non è diversa da Ellie. Tutti i personaggi sono profondamente umani e vivono in un mondo che di umano ha ben poco. Credo che Ellie abbia capito tutto questo alla fine e decida di fare ammenda. Perdona Joel, perdona Abbie e perdona se stessa. Questo seguito della Naughty Dog si è rivelato essere davvero un gioco brutale. Ognuno qui impara le sue lezioni ma a un prezzo veramente troppo alto.

Quando hai tempo… mi dai la scheda per le braccia, Abby?

Megalo Box e la reincarnazione di Mugen

Niente motiva di più al mondo che un anime incentrato sulle arti marziali: Baki, Hajime no Ippo, Holyland, Shamo, Kengan Ashura… ognuna di queste storie vede la crescita di uno (o più) personaggi tramite un duro allenamento fisico e mentale che lo porta sul ring a misurarsi con i suoi avversari e (cosa più importante) con se stesso. Nonostante Hajime No Ippo sia stato il primo anime a convincermi a indossare i guantoni (grazie Takamura-san), Megalo Box è stata la scintilla che mi ha portato ad avvicinarmi a questo mondo per la prima volta.

Il suo aspetto e la sua filosofia di vita lo rende chiaramente un antenato di Mugen di Samurai Champloo

Megalo Box vede come protagonista Mugen Junk Dog, un megalo-boxer impegnato nella scena dei combattimenti truccati. Nonostante Junk Dog sia un pugile dalle grandi abilità, lui deve vincere o perdere di proposito affinché i criminali ai piani alti possano gestire le scommesse che riguardano i suoi match. Cos’è un megalo-boxer? Un semplice pugile che indossa degli speciali telai robotici nelle braccia affinché i suoi colpi siano più letali. Da questa premessa si intuisce che la storia è ambientata in un mondo futuristico, ma non troppo diverso da quello in cui viviamo noi. Il buon Junk Dog, tuttavia, ha ambizioni più alte e non vuole essere un burattino per sempre. Un giorno J.D (Junk Dog che non deve essere confuso con John Dorian di Scrubs) ha un match con Yur: il vero campione mondiale di Megalo Box.

Mugen, Fuu e Jin studiano una strategia su come battere il prossimo avversario

J.D decide di battersi al meglio delle sue forze fregandosene delle istruzioni dei piani alti… ma finisce per perdere. Tuttavia, Junk Dog si promette di diventare un vero campione di megalo-box lasciandosi alle spalle il suo passato da combattente di bassa lega. Qui comincia la scalata al vertice del mondo del pugilato che porterà Junk Dog, ora conosciuto con il nome di Joe, alla storia. Caratterizzato da una grande colonna sonora, uno stile grafico che richiama a volte gli anni 90 e una storia semplice che si concentra sullo sport, Megalo Box è uno dei migliori anime usciti nel 2018. Oserei persino consigliarlo a chiunque abbia dei pregiudizi sugli anime che hanno uno sport come tema centrale. Il pregio principale di questa opera, a mio modesto avviso, è il fatto che abbia tredici episodi e ogni match si conclude nell’arco di un episodio: la narrazione non viene inutilmente allungata o accorciata con episodi filler del tutto evitabili e questo è un grande punto a favore. Il protagonista J.D. è ben caratterizzato e carismatico: non spiccherà tra i grandi personaggi dell’animazione giapponese ma il suo carattere irriverente e caparbio assicura un posto nel cuore dello spettatore senza troppi sforzi.

Welcome to the NHK

Finalmente sono venuto a conoscenza di un anime che ha come protagonista un hikikomori.

La mia conoscenza al riguardo non è delle migliori. Ho parlato in precedenza di Holyland, un grande manga scritto da Koji Mori (amico di Kentaro Miura, creatore di Berserk), il cui protagonista, Yu, diventa un NEET (neither in employment or in education: una persona che molto spesso non esce di casa e non studia né lavora) per via dei ripetuti atti di bullismo che riceve ogni giorno. La trama di Holyland si concentra sulle arti marziali. Yu decide di imparare i fondamentali del pugilato per difendersi e non scappare più. Purtroppo non molte persone seguono l’esempio di Yu e finiscono per isolarsi sempre di più per un trauma subito (si tratti di bullismo o altro). Spesso questa è l’origine degli Hikikomori: persone che vivono nella propria casa (spesso nella propria camera da letto) e che rifiutano di interagire con il mondo esterno. Facendo una ricerca veloce su google ho potuto tuttavia appurare di avere una cosa o due in comune con gli hikikomori… nonostante non io non abbia preso la decisione di chiudermi in casa.

Non so molto di questo triste fenomeno e non voglio dare false informazioni perciò lascerò perdere l’aspetto psicologico degli ‘hikikomori’ e mi concentrerò a parlare dell’anime ‘Welcome to the NHK’ che ho trovato estremamente divertente, cupo, geniale e agrodolce.

Rappresentazione accurata di me nel primo anno di università. E del secondo. Non del terzo

Tatsuhiro vive rinchiuso nella sua casa a Tokyo da ormai quattro anni. Ha fallito i test per entrare all’università, ma i suoi genitori pagano ancora per il suo appartamento. Non esce mai se non per fare la spesa. Non ha alcune prospettive sul futuro e medita il suicidio nonostante sappia bene che non avrà mai il coraggio di farlo. Il suo vicino ascolta la stessa canzone ventiquattro ore su ventiquattro (e non musica normale ma la sigla d’apertura di un anime per ragazze) ma Tatsuhiro non ha il coraggio di dirgli di abbassare l’audio. Un giorno, una testimone di Geova, assieme a una ragazza di sedici anni, bussa alla sua porta e gli consegna un giornalino (Avete presente? Di sicuro lo avrete letto anche voi qualche volta) in cui viene descritto il fenomeno degli hikikomori e di come possa essere eliminato tramite il potere della comunità o cose del genere. Tatsuhiro urla di non essere un hikikomori e da molte informazioni su di se. Un indizio importante che fa capire come Tatsuhiro non sia proprio abituato a parlare con la gente… e posso simpatizzare. Tatsuhiro chiude la porta ma attira l’attenzione della ragazza che accompagnava la testimone di Geova. Il suo nome è Misaki e si decide a liberare Tatsuhiro della sua condizione di hikikomori tramite sessioni di psicoanalisi completamente amatoriali e improvvisate.

Wow… questo anime sa davvero come farti del male fisico senza toccarti.

Per chi è abituato a essere sempre solo (non è una canzone di Guccini) questo anime sarà piuttosto difficile da digerire. Tatsuhiro riuscirà a migliorare le sue condizioni da recluso, ma la ricaduta nel circolo vizioso creato da porno, anime, videogiochi, paure, insicurezze e traumi del passato è sempre dietro l’angolo (non è un post a favore del NoFap movement, non fatevi strane idee). Un anime che consiglio a chiunque sia pronto per essere travolto da emozioni che spaziano dalla negatività, alla felicità, all’esistenzialismo.

Cosa centra Doki Doki con questo anime? (Il titolo dice così)

Beh… credo che niente esplori meglio un mondo di solitudine, finzione e affetto inesistente come lo faccia Doki Doki Literature Club. La trama di quel gioco è: quattro ragazze perfette si innamorano di te e tu devi scegliere quale vuoi (ovviamente parlo della prima parte). Questo è ciò che vuole (e ciò da cui sfugge disperatamente) Tatsuhiro: affetto e riconoscimento. Non avere queste cose porta Tatsuhiro alla depressione… ma non può mettersi in gioco e provare ad ottenere ciò di cui vuole perché c’è il rischio che possa farsi male. Il caro vecchio dilemma del porcospino.

Samurai Champloo, yare yare daze II, vivere senza rimpianti

Ho buoni ricordi di Samurai Champloo. Correva l’anno 2019 (quindi l’anno scorso, perdonatemi la frase da boomer): dovevo dare il mio primo esame scritto per un corso che neanche mi interessava. Era notte, poco dopo l’una del mattino. Alla mia destra avevo gli appunti della materia da studiare. Alla mia sinistra avevo libri da leggere in qualche modo inerenti alla materia di studio (ero arrivato tardi in libreria e si erano presi tutti i libri migliori) Di fronte a me? Il catalogo Netflix. Dopo aver memorizzato un paio di righe, mi sono arreso e mi sono perso nell’immenso mare degli anime suggeriti dalla piattaforma di streaming. Tra tutti, tre avevano catturato la mia attenzione: Jojo (che alcuni paragonano alla bibbia), Cowboy Bebop (che alcuni paragonano alla Divina Commedia) e Samurai Champloo (dallo stesso creatore di Cowboy Bebop nonostante sia un’opera leggermente meno conosciuta).

Jojo era troppo lungo e le persone che lo citano in continuazione sono insopportabili (ho cambiato idea recentemente, ora sono arrivato a Diamond is Unbreakable).

Cowboy Bebop non mi entusiasmava più di tanto… e lo devo ancora recuperare.

La scelta ricadde su Samurai Champloo. Ancora oggi mi complimento con me stesso per la scelta.

Questo è uno di quegli anime che adori sin dal primo episodio. Ambientato in Giappone in una rivisitazione del periodo Edo (per intenderci, si parla del 1603-1868), Samurai Champloo è un mix di elementi molto diversi tra loro. La soundtrack è hip-hop e lo-fi, estremamente fuori tono con il periodo in cui si svolge la storia: l’idea di Watanabe, il regista, sembra essere quella di mischiare la storia con alcuni elementi del presente. Questo si ripercuote anche sulla caratterizzazione dei personaggi principali sui cui ruota la storia, soprattutto Mugen che ha uno stile di combattimento che ricorda la breakdance e in un episodio in particolare è ossessionato dai graffiti da strada come arte.

La trama è semplice: due samurai vagabondi (che indicherò con il termine di ‘ronin’) vengono costretti con l’inganno da una ragazza a trovare il ‘samurai che profuma di girasoli’. I tre si avventureranno in un viaggio verso il Giappone del periodo Edo alla ricerca dell’enigmatico samurai dei girasoli. I motivi per cui la ragazza desideri così disperatamente incontrare il samurai sono ignoti. Nel loro viaggio, il gruppo dovrà affrontare molte avventure, pericoli e contrattempi. Samurai Champloo è uno di quelle opere in cui la metà non è tanto importante quanto il viaggio. Con il tempo, i tre personaggi (Mugen, Fū e Jin) riveleranno la loro storia e il motivo per cui sono realmente in viaggio. Ognuno dei tre ha un passato problematico che ha modellato il loro carattere.

-Mugen (quello al centro) ha una personalità rozza, dominante, schiva (ma in qualche modo carismatica) e altamente competitivo con un passato da criminale. Ha abbandonato le isole in cui è cresciuto e vive vagabondando. Non rispetta nessuno al di fuori di se stesso.

-Jin (quello a sinistra) è silenzioso, calmo e giudizioso. Ha un grande talento nel combattimento e vive in compagnia della sua spada. Per un’ingiustizia, Jin è costretto ad abbandonare il luogo in cui è divenuto un samurai.

-Fū (quella a destra) costringe Mugen e Jin ad accompagnarla alla ricerca del samurai dei girasoli. Ha un carattere solare e amichevole. Si sa ben poco delle sue reali motivazioni.

Ogni episodio potrebbe dirsi auto conclusivo. È chiaro sin da subito che non è di vitale importanza trovare ‘il samurai che profuma di girasoli’. Ogni episodio avvicina lo spettatore con i personaggi che, a poco a poco, diventeranno suoi amici (cringe, eh?) accompagnandoli in ogni aspetto del loro viaggio. Ventisei episodi in cui non ci sono filler e ogni minuto è speso bene. Arrivato alla fine di questa serie è stato come dire ‘addio’ a delle persone reali. Verso la fine, i protagonisti sono costretti ad affrontare il loro passato e le loro paure che questo viaggio ha posto loro di fronte. Tuttavia, non sempre il finale di una storia coincide con il finale dei protagonisti. La vita va avanti per tutti.

Niente da segnalare riguardo il comparto tecnico. Le animazioni sono fluide e i disegni sono una gioia per gli occhi.

Anime assolutamente consigliato.

La sigla di chiusura di ogni episodio. Una volta completata l’opera, questa canzone avrà tutto un altro significato. Per chi fosse curioso, poi ho passato l’esame (avevo già studiato quelle cose in precedenza).

Devil May Cry- il videogioco non è male, l’anime?

Quanto mi mancano i videogiochi. L’ultima volta che ho giocato a qualcosa è stata l’estate scorsa. Volevo portare con me la playstation da casa… ma ho tanto da fare e temevo che avere una console mi avrebbe solo distratto. Peggiore decisione della storia. Ho molto tempo adesso. Uno dei miei generi preferiti è l’hack ‘n’ slash che significa letteralmente ‘tagliare e squarciare’. Si trattano di giochi in cui esiste una forte componente dedicata al combattimento: Bayonetta, Darksiders, Ninja Gaiden, la vecchia trilogia God of War… dite che non è un hack ‘n’ slash? Kratos letteralmente ‘taglia e squarcia’ per più della metà del tempo che lo osserviamo. God of War III è personalmente il mio preferito. Trucidare un pantheon di dei è il sogno di chiunque. Il God of War nuovo, invece, non mi è piaciuto più di tanto: la storia è bella, la caratterizzazione dei personaggi è credibile e il corso degli eventi è fluido. Cosa manca? Il caro, vecchio Kratos che prima uccideva e poi parlava. Non il Kratos babysitter e Mimir con le sue battute fuori luogo alla Eddie Murphy.

Bellissimo titolo… ma non l’ho percepito come un vero ‘God of War’. Tipo se andassi a vedere al cinema ‘2001 Odissea nello spazio’ e ci fosse scritto ‘diretto da Tarantino’. 2001 è un capolavoro (come il nuovo God of War) ma quando leggo ‘diretto da Tarantino’ mi aspetto qualcosa di diverso e pieno di sangue: stesso discorso con God of War. Ha senso?

Ma immagino che ormai sia diventata una moda cambiare completamente la natura di un videogioco che fa parte di una serie: god of war, assassin’s creed… no, solo questi. Non mi vengono altri esempi. Volevo fare il radical chich ma (grazie al cielo) non ci sono riuscito. Uno di questi giochi hack ‘n’ è stato uno dei primi titoli che acquistai per playstation 3. Il fantastico ‘Devil May Cry 4’: un titolo marchiato con il ferro nel mio cuore. Forse l’ho adorato perché avevo dodici anni ed è stata una delle mie prime esperienze da gamer. Forse l’ho adorato per il sistema di combattimento e gli enigmi. Forse l’ho adorato per il simbolismo religioso. Un titolo fantastico che mi ha fatto affezionare a Nero e Dante, i protagonisti della serie. Ho accolto con sorpresa il fatto che avessero prodotto una serie anime dal videogioco. Ho iniziato a vedere la serie con tutti i pregiudizi del mondo (solitamente videogiochi, cinema e serie televisive non vanno proprio d’accordo), ma mi è piaciuto veramente tanto. Ecco cosa ne penso:

La trama di Devil May Cry la conoscono quasi tutti: il figlio del leggendario demone Sparda e l’umana Eva è un investigatore privato che possiede l’agenzia investigativa ‘Devil May Cry’. Il suo nome è Dante e il suo compito è quello di trovare e uccidere i demoni. Ovviamente, la stragrande maggioranza di persone non è minimamente a conoscenza che il mondo sia popolato da demoni e l’agenzia di Dante è sempre vuota sempre sull’orlo del fallimento economico. Dante è sempre al verde e vive la situazione con distacco emotivo, sempre con la battuta pronta e una personalità tenebrosa e affascinante. In più di un’occasione il buon Dante mi ha ricordato Dylan Dog per questo aspetto. La somiglianza con i due, però, finisce qui. Dante è un grande pistolero e sa maneggiare la spada (no pun intended), difensore dei più deboli e con un discreto successo con il sesso femminile. L’anime non ha una vera e propria trama: lo spettatore osserva Dante destreggiarsi nelle varie missioni che gli vengono proposte con sporadici attimi di pausa per ammirarlo nelle situazioni quotidiane. I personaggi sono ben scritti e ci numerose interazioni con Lady (una cacciatrice di demoni alleata di Dante introdotta in Devil May Cry 3) e Trish (un demone dalla forma femminile): entrambi personaggi originali della serie che stringono l’occhio ai fan di lunga data. Avendo solo giocato al quarto, conoscevo solo Trish. Tuttavia la serie ha un arco completo con un inizio e una fine e non c’è alcun bisogno di aver giocato alle fonti originali per capirci qualcosa.

Dante: il carismatico rubacuori abile con la pistole intento a studiare una strategia per massacrare l’ennesimo demone.

Le animazioni, la colonna sonora, la storia e le relazioni tra i personaggi sono più che buone. Un prodotto assolutamente consigliato per chi volesse perdersi in una storia di ‘cacciatori di demoni’ senza troppe pretese. Dodici episodi che scorrono come l’acqua: non è male per un binge-watching. Ovviamente, però, il cuore dell’universo di Devil May Cry risiede nei videogiochi e chiunque voglia conoscere affondo Dante (e Nero… praticamente un Dante 2.0) è caldamente consigliato di giocare alla fonte originale.

Rascal Does Not Dream of Bunny Girl Senpai- un titolo come un altro

Avete presente quando non avete idea di cosa vedere e sfogliate il catalogo Netflix (o Crunchyroll) per decine di minuti senza risultato? Un anno fa, quando ho usufruito della prova gratuita di Crunchyroll mi sono imbattuto in questo anime dal titolo lungo quanto l’intero capitolo di un manga. Rascal Does Not Dream of Bunny Girl Senpai: recensito a pieni voti, trama a sfondo harem, protagonista in un costume da coniglietta playboy. Questo anime tratto da una serie di light novel catturò subito la mia attenzione. Se devo essere onesto, però, credevo fosse un hentai e ciò ha influenzato molto sul fatto che lo vedessi.

Lo vidi un anno fa. L’unico motivo per cui me ne sono ricordato adesso è la spettacolare sigla di chiusura che accompagna la fine di ogni episodio. Qualche volta youtube mi consiglia queste piccole perle. Ho rivisto i primi due episodi. È incredibile come sia curata la caratterizzazione dei personaggi in un anime a sfondo romantico e harem. Non che non esistano buoni anime a sfondo romantico, ma la mia conoscenza a riguardo è limitata: ho visto Toradora (meh… carino, dai) e Your Name (bellino, ma non mi ha catturato molto). Di sicuro, Rascal Does not Dream of Bunny Girl Senpai (che da adesso abbrevierò in Bunny Senpai) mi è piaciuto di più.

Partiamo dalla trama: un liceale di nome Sakuta incontra l’attrice prodigio Mai in una libreria affollata. Per una ragione ben precisa Sakuta è l’unico che riesca a vedere Mai, la quale è invisibile agli occhi delle altre persone. Mai, per inciso, indossa un costume da coniglietto. I due parlano per qualche secondo e si scopre che frequentano la stessa scuola e sono entrambi dei lupi solitari senza troppi amici. Una volta a scuola, Mai indossa finalmente la sua uniforme scolastica e le persone intorno a lei possono vederla nuovamente. Sakuta decide di investigare su questo strano fenomeno.

Una cosa che adoro dei protagonisti introversi è che non si fanno troppe domande quando vedono qualcosa di fuori dalla norma.

Sakuta scopre ben presto che Mai è affetta dalla ‘sindrome dell’adolescenza’: un particolare effetto negativo che si manifesta quando una persona è pervasa da sentimenti negativi. Mai è stata sotto i riflettori sin da un giovane età, e tutta Tokyo è cosparsa di poster e pubblicità con la sua faccia stampata sopra: riconosciuta ovunque andasse, Mai desiderava intensamente di non essere più riconosciuta e passare inosservata. In un certo senso il suo desiderio si è avverato. Ora, in certe occasioni, Mai è completamente invisibile agli occhi di chiunque. Ma non finisce qui: le persone non solo non riescono a percepirla fisicamente ma si scordano anche della sua esistenza e della sua carriera di attrice. Sakuta non fa fatica a capire questo fenomeno, poiché è accaduto anche a sua sorella minore, Kaede: vittima di bullismo online, il suo stress ha innescato la ‘sindrome dell’adolescenza’ e il suo corpo si è ricoperto di tagli e ferite.

Una grandissima metafora su quanto possa essere complicato il periodo dell’adolescenza a livello psicologico ed emotivo. Grazie a Dio che quel periodo è finito per me (recentemente, ma è finito). A chiunque manchi il liceo deve per forza essere uno psicopatico. Comunque sia, l’anime non è solo drammi psicologici. Sakuta cercherà un modo per guarire Mai dalla sua ‘malattia’ e, con il tempo, i due formeranno un rapporto d’amicizia che si trasformerà in amore. Nella sua esplorazione nel contrastare la ‘sindrome dell’adolescenza’, Sakuta incontrerà molte ragazze affette dalla stessa malattie ma con sintomi estremamente differenti: da qui, l’elemento harem (uno speciale genere in cui il protagonista principale è circondato e conteso da una moltitudine di ragazze). Tuttavia, qui, l’elemento harem ha un senso e le relazioni che allaccia con ogni ragazza servono ad evidenziare il suo rapporto speciale con Mai.

Estremamente divertente ed elevatamente originale per il genere a cui appartiene, Bunny Senpai è un anime che farà riflettere. Non tutte le storie che rappresentano un amore adolescenziale sono banali e Bunny Senpai ne è la prova. Non giudicatelo dal titolo.

The promised neverland- nanananananana

Questo anime mi è stato raccomandato da un amico (e con ‘amico’ intendo una persona anonima in un forum in cui non sono neanche iscritto) che definiva questo anime come il nuovo Death Note. Dopo aver visto tutte e dodici gli episodi in una notte, posso confermare che non è affatto vero. Si… ci sono dei giochi mentali. Si… i protagonisti non sono maggiorenni e sono dei geni (come nel novanta percento degli anime). Non che abbia troppo in comune con Death Note eccetto, forse, la qualità della scrittura.

Tipici eroi di un anime: poco più alti di un metro, minorenni e geni psicopatici

La premessa dell’anime è fantastica: ci troviamo in un allegro orfanotrofio dove bambini dai primi mesi fino a dodici anni convivono pacificamente. L’atmosfera è idilliaca: tutti sono amici di tutti, la loro educazione si svolge nelle mura dell’orfanotrofio e i bambini hanno tanto libero per giocare all’aperto e per fare amicizia. Sono cresciuti da ‘Mamma’, una tutrice fantastica che pensa solo al benessere dei bambini. In questo scenario, conosciamo i tre bambini più grandi: Norman, Emma (si… è una ragazza, quella al centro) e Ray. I tre spiccano subito nella folla dei bambini per via delle loro personalità e abilità:

-Norman è un bambino prodigio che riesce a risolvere ogni genere di enigma. Dallo spiccato quoziente intellettivo e dal carattere pacato, Norman è il genere di bambino a cui non sfugge nulla. Il suo fisico gracile, tuttavia, gli impedisce di essere riconosciuto come atleta.

-Emma, oltre ad essere una versione femminile di Melodias, ha una personalità estroversa ed esuberante. Ottime doti intellettive e atletiche. Il suo principale difetto è quello di essere troppo ingenua.

-Ray, lo stratega che assomiglia vagamente a Sasuke. Ray potrebbe essere considerato come un mix tra Emma e Norman: un piccolo genio con una grande resistenza al lavoro fisico. Bravo negli scacchi, e nella costruzione di nuovi oggetti Ray è probabilmente il più attivo dei tre.

Uniti da una grande amicizia, i tre sono quasi sempre insieme. Un giorno molto triste per l’orfanotrofio Grace Field: Connie, una bambina di sei anni, deve lasciare la casa. Finalmente è stata adottata. Quando ‘Mamma’ accompagna Connie al cancello dell’orfanotrofio, Emma e Norman si accorgono con errore che Emma ha dimenticato ‘Little Bunny’ (il suo giocattolo preferito) all’interno dell’orfanotrofio. Emma e Norman corrono per consegnare Little Bunny a Connie. Varcano il cancello e trovano un furgone. Confusi, i due cercano Connie per consegnare Little Bunny. Incuriositi dal furgone, i due guardano dentro solo per trovare il cadavere di Connie.

Beh… non è più così importante consegnarle ‘Little Bunny’, no? Emma e Norman si nascondono sotto il furgone quando sentono dei rumori sinistri. Vedono la loro ‘mamma’ parlare con dei mostri (che i bambini chiameranno demoni). Capiscono che l’orfanotrofio è una copertura: ‘mamma’ ha il solo compito di allevare i bambini per darli in pasto ai mostri. Emma e Norman scappano senza essere visti ma lasciano ‘Little Bunny’ dietro di loro. Adesso ‘Mamma’ sa che qualcuno dei bambini dell’orfanotrofio (o per meglio dire dell’allevamento) sa del segreto ma non sa di chi si tratta. I bambini, d’altro canto, decidono di non divulgare l’informazione a tutti: d’altronde ‘Mamma’ è molto amata e non tutti crederebbero a questo scioccante plot-twist. Norman ed Emma rivelano il segreto a Rey e, insieme, troveranno un modo per scappare senza però rivelare a ‘Mamma’ che loro sanno di essere semplice mangime. Molti giochi mentali (da qui posso capire il paragone con Death Note) e molta ansia in un anime che mischia generi diversi tra cui: horror, distopia, mistero, fantasy e gore. Molte domande. Ottima prima stagione.

Sto leggendo il seguito del manga (sono arrivato alla fine dell’arco dedicato a Goldy Pound) e non delude minimamente. Assolutamente consigliato.

Bukowski, Moody, forse John Fante e The promised Neverland

Dopo aver ascoltato il tema di Hank di Californication l’altro giorno, ho sentito il bisogno di riguardarmi il pilot della serie. Non era assolutamente niente male (per essere l’episodio pilota). Veniamo a conoscenza del Chad per eccellenza, il maschio alpha Hank Moody: un uomo che solo nel primo episodio va a letto con quattro donne diverse, si fuma quattro pacchi di sigarette e va a vedere al cinema il film tratto dal suo ultimo romanzo, ‘God hates us all’. Già questo ci porta ad empatizzare con il personaggio: chi non vorrebbe essere come lo scrittore Hank?

Ambientato nella città del vizio, Los Angeles, Hank è un lupo solitario in lotta con se stesso. Sin dalle prime battute (in cui si vede una suora che gli fa un servizio orale) Hank si rivela come un perfetto narcisista innamorato di se stesso. Ancora innamorato della sua ex, Karen, Hank cerca di annegare il vuoto che sente dentro tramite sesso e alcool. Non riesce più a scrivere e non riesce a mantenere un rapporto sano con sua figlia Becca.

Californication rappresenta uno dei miei generi preferiti poiché non c’è una vera trama: la serie televisiva si concentra su Hank mostrando la vita distruttiva di tutti i giorni che molte persone vorrebbero imitare… almeno le persone sotto i ventitré anni: tra cui io, Lone Struggler.

Serie estremamente consigliata: divertente ed educativa (forse non è il termine esatto) per chi è interessato alla scrittura. La serie è piena di luoghi comuni, come lo stereotipo dello scrittore genio-alcolizzato che non è mai esistito se non nella funzione. La colonna sonora è di ottima qualità. Esclusivamente rock con milioni di riferimenti a varie cantanti di cui lo stesso Hank è un fan (Kurt Cobain e Warren Zevon).

Beh… ottima serie: divertente, introspettiva e dall’animo rock. C’è dell’altro? Si… la parte di Bukowski nel titolo. Lo scrittore viene citato in continuazione nell’opera. Lo stesso nome ‘Hank’ è un riferimento all’alter-ego letterario di Bukowski, Hank Chinaski. Il primo romanzo di Hank Moody è stato ‘South of Heaven’ altro chiaro riferimento a ‘South of no north’, una raccolta di racconti del vecchio Bukowski. Cosa hanno i due in comune oltre alla passione per il gentil sesso?

Uno: Hank Moody ha sempre avuto movimento nella sua vita al contrario di Bukowski, il quale ha ottenuto però la sua vendetta in età più avanzate (a questo proposito, consiglio ‘Women’ in cui Bukowski spiega per filo e per segno ogni sua piccola relazione quando divenne mediamente famoso come scrittore). A Bukowski sarebbe piaciuto Californication? Ne dubito ma forse si sarebbe sentito onorato nel guardarlo.

Due: Sono entrambi pessimisti con un amore per la bottiglia.

Riguardo il tema ‘pessimismo’… non c’è miglior modo di approfondire questo aspetto se non tramite la lettura di ‘Ham on Rye’ (‘panino al prosciutto’): a mio parere il libro più bello di Bukowski. Il titolo del romanzo può ricordare ‘The Catcher in the rye’ (‘Il giovane Holden’ in italiano): infatti, entrambi i romanzi narrano la vicenda dalla visione del mondo dei protagonisti.

In una rissa, però, avrebbe vinto il buon Hank. A mani basse.

L’intero romanzo è narrato tramite il punto di vista di Hank Chinaski da bambino. Un tono velato di ironia e depressione accompagna tutto il romanzo: un bambino nato in una famiglia di ceto medio-basso, picchiato dal padre, tempestato dall’acne, emarginato da molti dei suoi compagni. Con il tempo, seguirà un disprezzo per la società, per il conformismo e tutto ciò che ne consegue. Ciò che adoro di questo romanzo, tuttavia, è la caratterizzazione di Hank. Nonostante il protagonista abbia una vita estremamente dura, raramente si rifugia nell’autocommiserazione. Realizza ben presto che il mondo raramente è giusto, tuttavia cerca sempre un modo per reagire e cogliere l’ironia nella tragedia. Hank Chinaski, all’età di otto anni, è molto più maturo e meno vittima di molte persone che hanno avuto una vita più agiata di lui. Il tema della perseveranza (seppure molto sottile) è presente nel romanzo. La stessa perseveranza che portò Bukowski a non abbandonare la scrittura nonostante migliaia di rifiuti. Hank rappresenta la disillusione verso il mondo e la voglia di essere diverso. Tuttavia, a mio avviso, racconta anche una gloriosa storia un bisogno viscerale di essere accettato da quella stessa società da cui cerca di fuggire.

Questo ci porta a John Fante, una delle ispirazioni maggiori per Bukowski. John Fante era uno scrittore (no shit, Sherlock). Ha esplorato molti temi cari a Bukowski come la narrazione del romanzo attraverso il suo alter-ego letterario (nel caso di fante, Bandini). Non conosco Fante bene come Buk. Per il momento, ho letto: La strada per Los Angeles, Full of Life e Ask the dust. Sono tutte ottime letture con un giovane Bandini che sogna di diventare scrittore… eccetto Full of Life: un resoconto romanzato dei giorni in cui sua moglie era incinta. Noioso e privo di ironia al contrario dei suoi altri romanzi, ma è solo una mia opinione. Dei tre, consiglierei ‘La strada per Los Angeles’: divertente, energetico e con uno stile narrativo asciutto e senza giri di parole.

Questo ci porta a The Promised Neverland, un anime che ho iniziato da poco. Non c’entra nulla con il resto dell’articolo ma dato che il blog è incentrato sugli anime… ho deciso di includerlo qui. Ottimo mistery, ottimo thriller, ottima premessa. Una cinquantina di bambini trascorrono giorni felici e spensierati in un orfanotrofio. Tuttavia, lo scopo per cui vengono cresciuti nasconde un’orribile verità. Ne parlerò in seguito con maggiore approfondimento.

Prison school…yare yare daze

Credo di aver dato l’impressione di essere una persona troppo seria nei post precedenti. Parlare di perseveranza, manga, letteratura (anche i manga sono letteratura, come direbbe Natsuki) e di come mi abbiano aiutano a mantenere un certo controllo nella mia vita… va bene. Tuttavia, a volte credo di non sottolineare abbastanza il fattore ‘intrattenimento’ che gli anime offrono. Ecco quindi un glorioso post su Prison School. La prima commedia che mi ha fatto davvero ridere.

‘I manga sono letteratura, non credi anche tu?’

Già dalla prima immagine in questione numerosi dubbi possono emergere. Sintetizzerò il tutto in una semplice domanda: è un hentai?

No, non preoccupatevi. I vostri purissimi occhi possono restare tali. Non è un hentai. Si tratta di una commedia squisitamente ecchi: opera dai contenuti sessuali provocatori ma mai espliciti come l’immagine sopra. La trama è tanto accattivante quanto assurda (anche per gli standard dell’animazione giapponese). Un gruppo di cinque amici sono gli unici ragazzi in un liceo del tutto femminile. Mossi dall’impazienza, i cinque escogitano un piano che permetta loro di spiare le ragazze mentre fanno la doccia (un classico delle commedie all’American Pie). Qualcosa va male e i cinque vengono scoperti. L’associazione studentesca decide di dare loro un ultimatum: lasciare la scuola o continuare a frequentarla sotto i lavori forzati. Infatti, il preside decide di costruire una piccola prigione all’interno della scuola dove i cinque verranno trattati come prigionieri per un mese sotto il vigile controllo delle carceriere dell’associazione studentesca.

Beh… ci sono senza dubbio punizioni peggiori che essere sorvegliati da loro.

I cinque amici verranno maltrattati, picchiati e degradati dalle ragazze nel consiglio studentesco che si occupano della prigione. Però… a loro sembra piacere. I protagonisti del manga hanno chiaramente un’ossessione per il BDSM.

Comunque sia, la visione dell’anime è un’esperienza unica nel suo genere. Non ci sono solo espedienti narrativi e comici che giocano sull’erotismo. I cinque protagonisti condividono una grande amicizia e i valori della caparbietà e della perseveranza in una situazione avversa fanno da punti cardine in questa opera geniale. Ogni personaggio è caratterizzato in maniera unica: nonostante tutti i ragazzi provino una grande passione per le figure femminili e tutte le ragazze trovino gli uomini insopportabili, ognuno di loro possiede una propria individualità.

Da sinistra verso destra abbiamo:

-Joe, un tizio che indossa sempre un cappuccio e sputa sangue per un problema di afta. Joe è il più debole fisicamente del gruppo e ha una grande passione per le formiche.

-Shingo, un teppista la cui passione per una ragazza in particolare darà gravi problemi al gruppo.

-Kiyoshi, il protagonista. Di tutti, è l’unico che ha un filino di orgoglio e non si lascia punire senza motivo dalle carceriere. Sarà il protagonista di una storia d’amore assieme ad un’altra ragazza del liceo… dato che lui si trova in ‘prigione’ dovrà escogitare un metodo per fuggire e vederla.

-Gakuto, il vero protagonista. La mente del gruppo con uno straordinario senso del dovere e del sacrificio. Ogni frame con lui è oro colato. Ogni piano che porterà i cinque più vicini alla libertà sarà partorito dalla sua mente geniale. Peccato sia anche la preda pi abita dal corpo studentesco (non in senso romantico…lo ammazzano di botte dalla mattina alla sera).

-Andrè… bello Andrè. Il più grande fisicamente ma dall’animo gentile.

Ogni interazione del gruppo farà si che lo spettatore (o il lettore) simpatizzi con loro. Un difetto però potrebbe essere visto nella caratterizzazione dell’associazione studentesca. Le tre studentesse vogliono a tutti i costi liberare la propria scuola dall’influenza maschile e per farlo saranno pronte a tutto. Però i loro personaggi mancano di quella caratterizzazione geniale che contraddistingue la controparte maschile.

Comunque sia, un anime davvero consigliato. Io ho avuto fortuna di vederlo a cavallo tra Devilman Crybaby e Neon Genesis Evangelion (due opere davvero ottime ma pesanti e tragiche da un punto di vista narrativo). Non è stato male poter respirare con l’atmosfera senza pensieri di Prison School, un anime tratto dal manga di Hiramoto.

Akira Hiramoto, sei il più grande umorista nel panorama fumettistico giapponese insieme a Go Nagai.