Murakami depressing af II- A sud del confine, a ovest del sole

A diciannove anni partii per Londra con un biglietto di sola andata.

Lo so.

Non è originale come meta ma penso sia la prima destinazione che ti viene in mente quando non hai molta esperienza e non hai le palle per andare oltre oceano. Comunque sia, partii verso settembre e alloggiavo in una camerata d’ostello condivisa con altre sette persone. Immaginatevi otto uomini chiusi in una stanza grande quanto un salotto con quattro letti a castello, una doccia, uno specchio e un lavandino. Dormivo sul letto di sopra posizionato accanto alla finestra che si affacciava su un cimitero così grande che si andava a perdere nell’infinito, da qualche parte, all’orizzonte. Era uno spettacolo fantastico: le tombe gotiche si confondevano tra i rami spogli degli alberi di inizio autunno, il terreno era ricoperto da un manto soffice di foglie che scricchiolavano sotto i passi dei visitatori. Ho passato più di una notte insonne a osservare quel cimitero, il quale mi riempiva di una grande sensazione di pace e di melanconia.

Alcuni dei tramonti più belli li ho visti proprio lì. Mi ricordo che uno dei miei sette compagni di stanza mi offrì una lattina di Monster sul finire del pomeriggio (preciso momento in cui sviluppai una dipendenza da energy drink) e guardammo insieme il tramonto. Per un momento, non c’erano preoccupazioni per il futuro né ansie sociali inutili: solo due persone appena conosciute che si godono il sole tramontare sulle tombe con la fredda aria settembrina londinese a scompigliarci i capelli e le luci dei lampioni accendersi lentamente.

Leggere Murakami mi offre quelle stesse sensazioni: malinconia, stupore, meraviglia, accettazione, un certo senso di familiarità e un certo senso di solitudine.

Mi sono messo in testa di leggere ogni suo singolo libro e credo di essere a buon punto. Ultimamente ho letto ‘A sud del confine, a ovest del sole’: un volume smilzo di appena 200 pagine.

La malinconia di Murakami

Hajime è un bambino solo costretto a rapportarsi con la solitudine sin dall’infanzia. Ogni suo compagno di classe ha almeno un fratello o una sorella. Nel Giappone del dopoguerra era molto raro essere figli unici. Hajime fa di questa sua solitudine una fortezza impegnandosi nella scuola e nello sport senza però instaurare alcun legame. Tutto questo cambia quando conosce Shimamoto, una bambina tanto sola quanto lui. I due cominciano a conoscersi e a condividere le proprie passioni tra cui la lettura e la musica. Dopo le elementari, Shimamoto cambia casa e scuola ma Hajime riesce comunque a trovare il modo per vederla. Il rapporto non si evolve dalla semplice amicizia con cui era nato tuttavia entrambi sentono un legame profondo, speciale e fisico l’uno per l’altra.

Con il passare del tempo le visite si fanno sempre più rade. La vita va avanti e Hajime si convince a non mantenere i contatti. Lui stesso è insicuro di questa decisione. Forse ha paura di essere ferito. Forse ha paura che Shimamoto non voglia la sua compagnia. Sia quel sia, Hajime, si ritrova ben presto al liceo dove esplora se stesso tramite una relazione con una ragazza di nome Izumi e che tradirà con sua cugina. Il tradimento di Hajime provoca un collasso emotivo a Izumi che si rinchiuderà in se stessa tagliando ogni contatto con Hajime.

Gli anni vanno avanti. Hajime è sempre solo e ripensa costantemente all’unica persona con cui abbia avuto una connessione speciale: Shimamoto. A volte pensa di tentare a ricontattarla ma qualcosa lo blocca. Decide che è meglio concentrarsi sulla propria vita. Conclude gli anni all’Università, trova un lavoro insoddisfacente in una casa editrice e, a trent’anni, si sposa con una ragazza incontrata in un viaggio (ovviamente) in solitaria: Yukiko.

Hajime rimane folgorato da Yukiko, dalla quale avrà due bambine. Apre un locale in cui si suona musica jazz dal vivo e ottiene una certa fama a Tokyo. Ha una vita fortunata ma, come lui stesso ammette, a tratti appare vuota e artificiosa. Non ha mai avuto sogni o ambizioni, né provato grandi gioie. La vita semplicemente scorre fino a quando non ritrova Shimamoto nel suo locale. Sono passati più di due decenni ma lui la riconosce subito.

Con lo sfondo della malinconica musica jazz del locale, i due parlano per ore. Qualcosa in Hajime si riaccende e (forse) si interroga su come sarebbe stata la sua vita se avesse continuato a frequentare Shimamoto.

Lungi dall’essere una storia d’amore, ‘A sud del confine, a Ovest del sole’ di Murakami è la cronaca di un uomo indeciso non tanto sotto l’aspetto del romanticismo quanto sul trovare un significato alla propria vita. Tutto appare malinconico e senza scopo per lui. L’esistenza delle ragazze che ha avuto (Shimamoto, Izumi e Yukiko) scandisce il senso del tempo passato a vivere passivamente.

Forse Yukiko (sua moglie) corrisponde al presente. Izumi è un fantasma del passato e dei suoi errori. Shimamoto, invece, è un grande ‘forse’; più la personificazione di un concetto che una donna. L’idea di Shimamoto (e il fatto di averla incontrata dopo molti anni) aiuta (forse) Hajime a scappare da un passato insoddisfacente e da un presente mediocre.

Leggere Murakami è sempre una esperienza agrodolce. Lo spirito di questo libro è lo stesso che permea le pagine di Norwegian Wood, L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Kafka sulla spiaggia e, in minor parte, la fine del mondo e il paese delle meraviglie. Lo stile di scrittura è semplice e raffinato con ben pochi giri di parole. Ormai leggere Murakami, per me, è come parlare con un amico osservando insieme il sole sorgere in un cimitero: un’esperienza bellissima e melanconica.

Assolutamente consigliato.

On writing di Stephen King, commenti di IoScrittore, sanità mentale e il mio romanzo I

Nel periodo di Natale lessi On Writing di Stephen King, un piccolo manuale di scrittura creativa (nonostante lo stesso autore rabbrividirebbe nel definirlo tale). Mi era stato descritto come ‘imperdibile’ fonte di ispirazione per un giovane, aspirante autore. All’Università era nella lista dei libri facoltativi da leggere nel corso di scrittura creativa. Inutile aggiungere che nessuno lo sfogliò.

Ho sempre evitato di leggere manuali di scrittura creativa ma (un grande ma) ho sempre adorato Stephen King. Il primo libro che lessi senza che nessuno mi obbligasse a farlo (subito dopo Harry Potter) fu Misery all’età di quattordici anni.

Che trip.

Adoravo il fatto che l’intera storia si svolgesse nel piccolo spazio di una camera dentro una casa. Adoravo come i pensieri di Paul Sheldon occupassero il romanzo per ogni singola pagina e, cosa forse più importante, adoravo Annie Wilkes: l’aguzzina psicopatica che costringeva Paul a continuare i suoi romanzi incentrati su Misery.

Annie, al contrario di una nemesi come Voldemort, aveva una grande caratteristica: faceva paura. Faceva seriamente paura.

Chi avrebbe paura del signore oscuro che lancia incantesimi di magia nera quando Annie potrebbe tagliarti le gambe e fartele mangiare?

Quando Annie era da sola in stanza con Paul avevo legittimamente paura per lui; un’emozione che non mi era mai capitata prima (mai leggendo un romanzo perlomeno). Dopo Misery lessi molti dei suoi libri (la saga della Torre Nera, La bambina che amava Tom Gordon, Desperation, Joyland tra i miei preferiti) e, nonostante i manuali sulla scrittura non mi convincono, sapevo che il Re aveva (doveva avere) qualcosa di interessante da dire.

Sta scrutando nella tua anima. Ciò che vede non gli piace.

King comincia i primi capitoli del libro descrivendo la sua vita e di come abbia deciso di diventare un romanziere.

Il suo approccio con il mondo della narrativa cominciato con film horror di serie B; un cofanetto pieno di racconti brevi di H.P. Lovecraft; una tendenza ad isolarsi nella finzione; la carriera nel giornalino scolastico; il primo racconto venduto all’età di otto anni; le esperienze di bullismo che diedero l’ispirazione per il suo primo romanzo pubblicato Carrie e le centinaia (se non migliaia) di lettere di rifiuto: il percorso di Stephen King è costellato di piccole vittorie ed enormi fallimenti prima di raggiungere la fama di ‘Re dell’horror’ come è internazionalmente conosciuto. Prima di Carrie, King scrisse quattro romanzi che venivano periodicamente rifiutati. La fonte di guadagno proveniva dal suo lavoro come addetto delle pulizie in una lavanderia automatica (poi successivamente come insegnante di inglese), brevi racconti pubblicati in riviste sconosciute e non (una delle sue storie venne inserite su Playboy Magazine) e da piccoli lavoretti qua e là per arrotondare. Una delle cose in cui trovava più conforto era la scrittura: come lui stesso ammette, buttare giù almeno duemila parole al giorno era una droga.

Stephen King aveva la convinzione che un giorno sarebbe diventato un grande scrittore nonostante le molteplici battute di arresto che la sua carriera ha dovuto affrontare prima di decollare.

Stephen King scriveva dappertutto: nella sua casa, a scuola, nei tavoli dei fast-food (da quanto mi ricordo). Ogni minuto della giornata in cui non scriveva, King leggeva. Non poteva farne a meno e, come lui spesso ricorda, la lettura è una delle abitudini più importanti per gli scrittori poiché senza non si hanno sufficienti strumenti per costruire una storia degna di tale nome.

Come lui stesso dice:

‘Da ragazzino divoravo Ray Bradbury e scrivevo come lui, ricalcandone la spontaneità, lo stupore e la venata nostalgia. non appena passai a James M. Cain comincia a usare uno stile duro, essenziale e sincopato. Con Lovecraft, la mia prosa diventò corta e ridondante. Da adolescente buttai giù racconti dove queste influenze si fondevano, dando origine a un buffo pastrocchio. Si tratta di un passaggio obbligato per sviluppare il proprio stile, ma non succede per caso. Dovete leggere di tutto, continuando nel frattempo a correggere e riformulare i vostri lavori.’

Il Re non è cambiato e anche oggi segue una routine molto scrupolosa con una media di pubblicazione di due libri all’anno (probabilmente con il tempo che ho impiegato per scrivere questo post, King ha pubblicato un bestseller già in vetta alla classifica del New Yorker da due settimane).

Ovviamente ciò non è stato facile. Quando ricevi continui rifiuti la tua autostima potrebbe vacillare. E quando ricevi troppo successo insieme potresti inebriarti a tal punto da diventare dipendente da altre abitudini e dipendenze molto più pericolose oltre a quella dello scrivere (che è già pericolosa di per sé). L’unica cosa che si può fare in questi casi è continuare per la propria strada, fare del proprio meglio e sperare (avere la certezza) che qualcosa di buono prima o poi accadrà. O almeno questo è quello che ho recepito nel leggere quelle pagine.

Oltre a leggere e scrivere molto (e divorare ogni forma di narrazione compresi i fumetti, il cinema e le serie televisive), King consiglia (o, per meglio dire, implora) di ridurre tutto all’osso, avere uno stile semplice e diretto e di evitare inutili giri di parole. Non dire con due parole ciò che puoi dire con una… o qualcosa del genere.

Ovviamente ci sono molte varianti per questo consiglio ma sono assolutamente d’accordo. Sono davvero pochi a sposare un linguaggio d’altri tempi ed aulico senza apparire pretenziosi.

‘La strada per l’inferno è lastricata di avverbi,’ dice King.

‘Stick to the basics!’ come diceva il mio coach di Boxe. Se non sei (ancora) capace di imitare Mohamed Alì non usare una guardia bassa: avrai delle brutte sorprese, champ.

Sembra impressionante (e lo è) ma non fatelo nel vostro primo incontro. No. Seriamente. Non fatelo.

La terza regola per la scrittura. Quella che preferisco di più. ‘Il talento è meno costoso del sale in tavola. Ciò che separa l’individuo di talento da quello di successo è un sacco di lavoro.’

Ora… non credo che la frase di Stephen King significhi che tutti possono diventare degli scrittori e che non esiste il talento (sarebbe una falsità bella e buona). Ciò significa, a mio parere, è che sia il talento che il duro lavoro siano fondamentali per l’avvio di qualsiasi carriera (soprattutto nel campo dell’arte e dello sport). Tuttavia il duro lavoro è più importante del talento per due motivi (almeno secondo me):

Uno: Se hai un talento mostruoso e non lo utilizzi è come non averlo affatto.

Due: Se una persona senza talento si impegna e scrive continuamente, un’occasione per arrivare al successo la avrà, poiché avrà diversi lavori da proporre e se anche uno dovesse piacere potrebbe diventare (in teoria) un successo commerciale. Non è raro trovare romanzi definiti ‘orribili’ dalla critica che riscuotono grande popolarità tra il pubblico (non faccio nomi, ognuno pensi a chi voglia pensare).

Romanzo e ambizione

Forse ho una visione troppo ottimistica ma credo che chiunque abbia la capacità di compiere grandi imprese in questo mondo. Ciò che blocca (sin troppo spesso) è il lasciarsi divorare dal proprio dubbio e dal proprio senso di inferiorità causato da esperienze negative; ma il fatto è che questi eventi capitano alla maggior parte della gente e coloro che hanno successo sono gli stessi che lavorano maniacalmente alla loro arte senza curarsi (troppo) delle influenze passive e negative che incontrano nella loro via verso il successo. Ci vuole tempo per arrivare alla vetta. Ci vuole tempo per avere dei risultati. Essere consapevoli che un giorno potremmo avere ciò che vogliamo può fare tutta la differenza del mondo. Non tutti quelli che lavorano duramente hanno avuto successo, però, tutti quelli che lo hanno avuto hanno lavorato duramente.

Una delle cose più importanti che ho dedotto da On Writing è di lavorare non solo sulla propria arte (qualsiasi essa sia: scrittura, pugilato o altro) ma di dare primaria importanza alla propria sanità e forza mentale: che sia una sconfitta o che siano mille sconfitte, non bisogna diventare dei mostri pieni d’odio e risentimento ma puntare in alto cercando di correggere i propri errori a ogni piccolo tentativo.

Quando subisco una sconfitta o una delusione faccio un piccolo gioco mentale: immagino di essere Guts che continua il suo viaggio nell’oscurità senza mai arrendersi.

Nel post precedente avevo parlato del torneo di IoScrittore e di come io lo abbia perso poiché il mio incipit non ha raggiunto la media desiderata. Però c’è un premio di consolazione: avere accesso ai dieci commenti che hanno letto le prime pagine del tuo romanzo. Non nascondo che avevo molta paura nel leggerli. Dato che ho perso sapevo già che non sarebbero stati molto lusinghieri (alcuni utenti si sono lamentati della crudezza e della brutalità di alcuni commenti delle loro opere). Però è andata meglio di quanto pensassi. Voglio esorcizzare le mie paure e li posterò qui. Più si scappa da un qualcosa, più incrementa la paura di quel qualcosa per come la vedo. Meglio fare come Guts e affrontare tutto subito. Il dolore passa prima e ci si può concentrare subito sul futuro.

  • Sinossi molto sintetica ma esauriente. Peccato che non ci dica come va a finire, è una sinossi non una seconda di copertina che deve lasciare il mistero.Un testo scritto benissimo, al punto che il racconto finisce in secondo piano. Uno stile particolare che si distacca dalla banalità ricorrente. Ha tutto per essere un ottimo scrittore.La storia non mi è sembrata originale, ma è costruita così bene che si fa accettare anche nei passaggi disgustosi (leggi: quando lecca il sangue)Se proprio debbo trovare qualcosa di negativo, sono alcuni refusi qua e la, ma presi dalla lettura passano inosservati. E magari l’eccessivo utilizzo di “cazzo”, fa parte del linguaggio vivo, ma a volte sembra forzato e non aggiunge nulla alla scrittura molto bella.
  • Scrivi in un modo abbastanza disturbante ed accattivante!Sono riuscito in poche pagine ad entrare in questo ragazzo disturbato ed a sentire il sapore del sangue nella bocca…Vorrei leggere il resto, e credo che questo sia il goal da raggiungere in questa fase, bravo!Attento a non entrare nel “caricaturale” ovvero nel troppo esagerato o gia’ sentito o “americanata”.AUGURI!
  • Il ritmo narrativo è molto buono, con un incipit cruento che cattura subito l’attenzione. Il protagonista è delineato con attenzione: il flusso di coscienza ci mette subito in contatto con le sue pulsioni che sembrano essere il motore dell’azione.L’introspezione psicologica emerge a poco a poco: Struggler non è un adolescente comune, così come non sono comuni le sue idee, le sue routine. La violenza come istinto animale innato a cui da voce, corpo e soprattutto lucido pensiero.I personaggi secondari sembrano delineare il background, più che avere (per ora) parte attiva nella vicenda.Lo stile è curato e pulito da giochi di retorica che avrebbero appesantito la narrazione. Nel complesso il giudizio è positivo, sarà interessante leggere l’evolversi dei fatti.
  • L’incipit è scritto in modo vivido e fluido e la scelta di un narratore in prima persona è azzeccata per la storia raccontata. Anche il flusso di coscienza si presta bene ed è efficace, lascia che il lettore segua in modo naturale il pensiero del protagonista in tutti i suoi meandri. I dettagli della vita di Struggler (anche se per il momento il suo nome è sicuramente un altro ma al lettore non viene dato sapere quale) vengono dati in modo metodico e efficiente (i.e. l’excursus sul patrigno) in modo da non appesantire la narrazione. Il senso del tempo e del luogo restano confusi, potrebbe essere una scelta intenzionale dell’autore che intende creare un mondo “altro”, distopico o fantastico, ma la mancanza di chiarezza su questi e altri punti essenziali lascia il lettore in un’inutile ambiguità. Il riferimento ai greci quando il motto della scuola è in latino andrebbe corretto. Il personaggio principale appare modellato in parte su uno dei cavalieri dello zodiaco, in parte su Patrick Bateman di American Psycho, ma la voce non è convincente per un sedicenne. Il consiglio sarebbe di lavorare di più sulla psicologia del personaggio e sui dialoghi che presentano delle debolezze evidenti (poco realistici).
  • L’incipit del romanzo “Heaven’s night” introduce direttamente nei meandri di una mente contorta e disturbata, suscitando efficacemente nel lettore emozioni contrastanti che vanno dalla curiosità al ribrezzo. La forza dei dettagli utilizzati e delle descrizioni si manifesta nell’immedesimazione del lettore che non vive gli accadimenti con distacco, ma ne viene coinvolto direttamente. La scrittura è articolata e scorrevole, coinvolgente, non banale e non eccessivamente perfetta. I dettagli sono scelti con accuratezza ed è evidente che l’autore conosce ciò di cui narra. Nell’incipit la trama si sviluppa solo in un paio di episodi di relativa rilevanza, per quanto sconcertanti, ma è evidente che si arricchirà più tardi. La curiosità del lettore a proseguire la lettura è stimolata principalmente dalle caratteristiche così singolari e sconvolgenti del protagonista più che dagli accadimenti. Ciò che manca è un inquadramento del protagonista e della sua personalità nella storia che aiuti il lettore a capire il motivo di alcuni suoi pensieri o quanto meno la loro evoluzione. Quando, come e perché è diventato così crudele, così spietato, così disturbato. Cosa lo ha portato ad assumere queste caratteristiche. Introdurre questi aspetti aiuterebbe a conferire maggiore autenticità ed efficacia alla storia. Una psicologia così contorta non può non avere un origine. Al contrario la mancanza di spiegazione a questo tipo di personalità, ha l’effetto a suo modo efficace di lasciare il lettore ancor più sconvolto e interdetto.
  • Nel giudicare gli altri incipit che ho letto finora, alcuni davvero pessimi, altri più meritevoli, ho avuto poche esitazioni nel formulare e nell’esprimere un giudizio, per quanto possa valere la mia modesta opinione ovviamente. Questo però mi lascia perplesso, sono abbastanza sicuro del fatto che riceverà giudizi tra loro contrastanti.Partiamo subito con gli aspetti puramente tecnici. L’incipit in questione è scritto davvero bene, l’aspetto prettamente narrativo è forse il migliore tra quelli che ho finora esaminato. Non vi sono praticamente errori se non una o due sciocchezzuole, la sintassi è pressoché perfetta, gli ambienti e i personaggi sono davvero molto ben descritti e caratterizzati. Nella votazione destinata alla grammatica e l’ortografia assegnerò certamente un 9 oppure un 10, ci devo pensare ancora un attimo. Sotto questo aspetto il testo merita ampiamente il passaggio alla fase successiva del concorso.Veniamo ora invece alla storia vera e propria. Il romanzo viene presentato come un fantasy, anche se non ho ben realizzato quali dovrebbero essere gli elementi fantasy né dall’incipit né dalla sinossi, che mi permette di avere le idee più chiare sugli sviluppi della trama. Può darsi che il fantasy sia più che altro simbolico. Ci sono alcuni elementi da cui posso dedurre che l’autore sia un appassionato di manga, anche se il protagonista non mi sembra per ora affine a nulla che viene presentato nell’ambientazione di Berserk. Mi ricorda molto piuttosto un ragazzino di nome Nishi nel manga conosciuto come Gantz.Il romanzo in questione chiaramente non è destinato a tutti, e molte persone potrebbero trovarne i contenuti poco accettabili o del tutto inappropriati. Io sono di ampie vedute, credo che il testo dovrebbe passare alla fase successiva del concorso e ricevere una votazione che possa tener conto della trama nella sua completezza. Nell’incipit “Struggler” mi ha ricordato il Nishi di Gantz, ma dalla sinossi ho trovato molti parallelismi con il film “E ora parliamo di Kevin”. Mi ricorda molto anche un personaggio minore di “IT”, presente solo nel romanzo, di cui ora non ricordo il nome.In questi casi specifici la psicologia dei personaggi viene esaminata in modo approfondito fin dalla prima infanzia, consentendo al pubblico di poter comprendere o quanto meno immaginare cosa abbia generato una mentalità tanto deviata. La mia paura è che per Struggler la cattiveria mostrata risulti del tutto gratuita e fine a se stessa. Credo che sia fondamentale esaminare più a fondo la sua psicologia e quindi motivare le sue deviazioni.Questo romanzo potrà essere maggiormente apprezzato se si riuscirà a creare un’empatia verso il protagonista. Un’immedesimazione da parte del lettore. Da ciò che si evince nell’incipit, Struggler vive con un certo complesso di inferiorità e medita la sua rivalsa con la violenza gratuita. Non è proprio per tutti.Darò in ogni caso buoni voti, il giudizio dev’essere fatto sull’opera completa.
  • Ho fatto fatica a leggere tutto l’incipit e dare un giudizio su questo romanzo fantasy.”Il vento passa attraverso le ossa e i peli del mio nuovo amico producendo una strana (ma intensa) melodia. C’è ritmo. C’è passione. Molta più passione di gran parte delle canzoni che ascolto alla radio”. Non ha un gran senso, come molte delle immagini accostate a delle situazioni:”La bocca sta vomitando sangue su tutto l’asfalto. Mi ricorda la lava del vulcano di cartapesta che ho creato per il progetto di scienze in terza elementare”.Il consiglio che mi sento di dare all’autore è che rischia di scatenare un effetto comico involontario. Per azzardare frasi ad effetto bisogna padroneggiare il regno delle emozioni, altrimenti è molto facile cadere nel ridicolo. Musahi, prova a mettere delle emozioni in ciò che descrivi, anche se è solo fantasy.
  • Il lessico è spesso inappropriato ed irritante – vedi l’utilizzo del termine ritardato. La trama è orribile, e il contesto e i personaggi, così come i dialoghi, sono spesso farciti con dettagli inutili tanto da risultare fastidiosi.
  • Genere violento. Dal punto di vista formale è ben scritto e il personaggio – per il fatto di essere così negativo – è originale. Forse gli manca un po’ di spessore: è un po’ troppo ossessionato da pensieri di prevaricazione e di invidia mista a disprezzo verso quelli che riescono ad ottenere il “prestigio sociale”. Sembra un po’ un adolescente in difficoltà, questo va benissimo ma ci vorrebbe una descrizione più accurata del contesto, diversamente somiglia a un diario di pensieri (incubi) intimi e privati, più che a un romanzo.
  • Ben scritto e ben strutturato, ma onestamente, nella mente del serial killer , non é uno dei miei temi preferiti. Nel complesso é interessante e se amassi il genere probabilmente lo leggerei per intero. Purtroppo per me non mi piace il genere.

Che dire… mi aspettavo molto peggio. Sono grato di tutte le persone che hanno trovato il tempo di commentare il mio incipit e sono grato tanto per le recensioni positive quanto per quelle negative (avrei solo voluto che ampliassero le loro critiche in maniera tale da capire cosa c’era di tanto sbagliato). Comunque sia sono grato. Cercherò di fare del mio meglio e punterò alla vittoria. Per chi fosse interessato alla trama: un ragazzo di sedici anni (Struggler) uccide i suoi genitori e fa un massacro nella sua scuola senza motivo. Va in prigione e viene violentato dal detenuto più potente e influente della prigionie, soprannominato ‘Dio’. Attirerà le simpatie del ‘diavolo di Shibukawa’, un ex-campione di MMA rinchiuso sotto falsa accusa. Grazie a un allenamento fisico e mentale, Struggler tenterà di sopravvivere e capire cosa significa essere realmente forti mentre escogita un piano per prendere il posto di Dio nella scala gerarchica della prigione.

Bella luna là fuori. È tardi e ho appena finito questo articolo con la vecchia colonna sonora di Berserk del ’97 sullo sfondo(Earth-link qua sotto). È una sensazione molto pacifica. Buona notte o buona giornata, fellow Strugglers.

Appunto per me stesso: leggere Gantz.

Tournament of power- Ioscrittore, Pugilato e Musashi Miyamoto

Gira voce che Musashi Miyamoto sia stato l’unico ronin (samurai senza padrone) in tutta la storia del Giappone a non essere mai stato sconfitto. Un uomo la cui storia si confonde con la leggenda: si sa davvero poco di Musashi. Venne addestrato nell’arte della spada sin da giovanissimo. Era un solitario che disprezzava l’igiene personale, il genere femminile e la debolezza. A 13 anni sconfisse un maestro samurai attaccandolo a sorpresa con la sua spada di legno. Da lì il nome di Miyamoto continuò a crescere. Trascorse gli anni dell’adolescenza con un cartello di legno appeso al suo collo: ‘chiunque voglia sfidarmi sarà il benvenuto’, recitava.

A 16 anni prestò il suo servizio al clan Mitsunari nella famosa battaglia di Sekigahara. Il clan Mitsunari venne sconfitto e Miyamoto riuscì miracolosamente a sopravvivere. Da quella battaglia, Miyamoto decise di perseguire la via della spada e diventare lo spadaccino più forte della storia. Ancora non è chiaro se Miyamoto vinse ogni singolo duello (un fatto davvero improbabile) ma una cosa è certa: morì in età avanzata (probabilmente intorno ai 61 anni) stroncato da un tumore allo stomaco. Considerando che la vita media di un guerriero del Giappone nell’età feudale si aggirava verso i trent’anni.

people watching two men in fighting arena
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Un vecchio che sopravvive in un lavoro in cui si muore giovani potrebbe sapere una cosa o due sulla vita. Miyamoto scrisse della sua esperienza di vita nella sua opera più conosciuta, ‘Il libro dei cinque anelli’. Il libro è suddiviso in cinque parti: il libro della terra, il libro dell’acqua, il libro del fuoco, il libro dell’aria e il libro del vuoto. Ogni sezione indica il corretto comportamento che un aspirante guerriero deve adottare per trionfare sui suoi nemici: le tecniche di scherma, la supremazia fisica e mentale e la psicologia fanno tutti parti della ‘via della solitudine’ (la via che ogni guerriero deve percorre poiché solo nella solitudine si può trovare la via per la vittoria).

Questi sono i nove dogmi che elenca:

1: Non coltivare cattivi pensieri

2: Esercitati con impegno

3: Studia tutte le arti

4: Conosci anche gli altri mestieri

5: Distingui l’utile dall’inutile

6: Riconosci il vero dal falso

7: Percepisci ciò che non vedi con gli occhi

8: Non essere trascurato

9: Non abbandonarti in attività inutili

Musashi pensava che la via del successo fosse percorribile da tutti, ma che, allo stesso tempo, non tutti fossero capici di percorrerla. Spiego questa orribile frase: tutti potrebbero (in teoria) avere la capacità per raggiungere la grandezza ma sono davvero poche le persone che si impegnano con tutta la loro volontà e sacrificano la propria vita all’insegna del loro sogno.

Se un uomo non sacrifica i piaceri del presente e non dedica ogni minuto della propria vita al proprio futuro, ha poi ragione a lamentarsi se non raggiunge la vetta? Riuscirà ad essere abbastanza maturo e intelligente per dire, ‘è colpa mia e solo mia se ho fallito?’

Musashi ha colto nel segno. Solo con una grande fermezza mentale e un desiderio bruciante si può raggiungere la via del successo in qualsiasi campo.

Il pugile Mayweather non è mai stato sconfitto (si potrebbe definire il Musashi dei nostri tempi). Ma qual è stato il prezzo? Una routine disumana che ben pochi pugili possono riuscire a fare:

Tre round di shadowboxing. (ricordo che ogni round dura tre minuti)

Quattro round ai pads.

Due round focalizzati ai colpi al corpo.

Quattro round (12 minuti) al sacco.

E così via. Per quaranta round. Un totale di centoventi minuti. Senza contare il minutaggio di riposo, la corsa, lo sparring e la dieta ferrea. Come dice lui stesso: ‘Studio ogni avversario che combatterò. Se il mio avversario corre otto chilometri ogni mattina, io corro dieci chilometri. Se lui corre dieci chilometri, io corro 12 chilometri.’

Mayweather è il migliore per una ragione: antepone il suo allenamento, la sua carriera e il suo sogno a qualsiasi cosa. Il pugile, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

Prendiamo un uomo molto diverso ma dallo stesso successo.

Stephen King ha un ritmo di scrittura di duemila parole al giorno, trascorrendo quattro ore sulla macchina da scrivere e le altre ore a leggere romanzi di narrativa. Tutto questo mentre lavorava come insegnate di inglese e lavorava come addetto alle pulizie a una lavanderia di Bangor, nel Maine. Lo scrittore, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

E questo ci porta alla parte finale di questo articolo. Ho partecipato al torneo di Ioscrittore quest’anno. Per chi non lo sapesse, Ioscrittore è un ‘torneo’ di scrittura in cui mandi le prime venti pagine del tuo manoscritto al sito e dieci persone a caso (partecipanti anche loro del torneo) lo valutano. Tu fai la stessa cosa e leggi dieci opere di altri aspiranti scrittori. Dai un voto da 1 a 10 sui vari aspetti del romanzo che hai letto (un voto per i personaggi, trama, storia e grammatica) e scrivi un giudizio complessivo. Se le pagine del tuo romanzo raggiungono una certa media puoi passare alla fase successiva.

Ieri hanno annunciato i nomi dei vincitori della prima fase e io non ero tra quelli. Lo sapevo ancora prima di inviare le pagine che non avrei vinto. Il mio romanzo è in inglese. Per partecipare al concorso ho dovuto tradurre 40 pagine dall’inglese all’italiano in meno di sei ore (come sempre mi ero ridotto all’ultimo). Alla fine della quinta ora non avevo neanche la forza di rileggerlo per quanto duramente avevo lavorato per mandare quelle pagine al concorso. Quando le inviai sapevo di aver fatto un lavoro frettoloso e pieno di errori. Tuttavia, poco prima di sapere i risultati, una parte di me sperava di aver vinto. Anzi, ne ero sicuro… per quanto stupida fosse quella sicurezza.

Il fatto è che se non sono riuscito a nel mio intento devo maledire solo me stesso. Non i giudici troppo cattivi (suppongo siano stati anche troppo buoni), non il fatto che avessi poco tempo (avevo più di un mese per prepararmi), non il fatto che nessuno mi apprezza (forse sono davvero troppo scarso).

strong man with naked torso and tattooed body showing katana
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In ogni caso la colpa è mia: per il fatto di essere troppo pigro nel rileggere quello che scrivo, per non metterci dedizione, per non lavorare ogni istante della mia vita per realizzare il mio sogno. Forse non sono neanche degno di chiamare la mia ambizione ‘sogno’.

Ma c’è sempre tempo per dedicarsi alla via del guerriero. Il tempo è dalla mia. Anche se non dovessi avere il talento necessario, ho speranza e resilienza. E per il momento è tutto ciò di cui ho bisogno.

Il principe nell’alta torre, Jordan Peterson II, Caino e Abele- Old boy (2003)

Il cinema vicino a me dava Old boy ieri sera e non ho perso l’occasione di vederlo per la quinta volta quest’anno. Spero di non essere stato il solo a identificarmi come Taesu in questi periodi di quarantena senza fine.

La trama da sola rende Old Boy uno di quei film che ti piace ancora prima di averlo visto: Taesu viene imprigionato per 15 anni in una stanza senza saperne il motivo. Sua moglie viene assassinata e i sospetti ricadono su di lui. Anche se riuscisse a scappare dalla sua prigione, Taesu non avrebbe alcun posto dove andare.

15 anni chiuso in una stanza senza alcuna possibilità di capire il perché di tutto ciò: non ci sono persone con cui interagire, non ci sono valvole di sfogo e non può nemmeno suicidarsi dato che ogni sua mossa nella stanza in cui è prigioniero è monitorata dai suoi carcerieri. La stanza è composta da: un letto, una scrivania, un televisore, una porta blindata (da cui Taesu riceve i pasti) e una finta finestra con il disegno di un mulino a vento in mezzo alla campagna tra le tende in modo da dare un’ illusione di un mondo esterno.

Nella mente di Taesu si forma un solo pensiero: capire il perché si trovi in quella situazione e soddisfare la sua sete di vendetta. Passa tutto il tempo a scrivere, a guardare la televisione e ad allenarsi facendo shadow boxing in dieci metri quadrati di cella e usando il muro come sacco da boxe, il che è alquanto pericoloso per la struttura della mano (ne so qualcosa).

Taesu tenta il suicidio più di una volta, ma i suoi carcerieri lo curano sempre poco prima che sia troppo tardi. Davvero un incubo senza fine per il protagonista.

15 anni spesi in agonia e rabbia vengono finiscono tutto d’un tratto. Taesu viene rilasciato e si sveglia sopra il tetto di un palazzo di trentacinque piani. Il suo incubo è finito. E adesso? Cosa può fare un uomo che ha bruciato quindici anni della propria vita e completamente fuori dal mondo? La vendetta è l’unica cosa che sembra motivare Taesu. Piuttosto facile simpatizzare per lui, giusto?

Uno dei motivi per cui credo sia così facile immedesimarsi in una storia di vendetta è il semplice fatto che fantasticare su quest’ultima fa parte della natura umana. Ognuno di noi ha subito un affronto e ognuno di noi (eccetto forse Madre Teresa) ha perlomeno sognato di ripagare colui che ci ha fatto del male con la stessa moneta. Lo stesso meccanismo di vendetta (o giustizia, o difesa personale) è stato alla base della creazione delle leggi scritte (come ne ho parlato qui). La crociata di Taesu, del ‘ragazzo vecchio’ che è stato derubato di gran parte della sua vita, è diventata anche la mia crociata. Qualcuno deve pagare. Ma cosa succede quando si ottiene la propria vendetta? I quindici anni torneranno? Taesu sarà una persona più giovane? La risposta è nella scienza: la vendetta fa bene. Chiunque ottenga la sua rivincita ottiene nuovamente l’autostima che gli è stata rubata. Ma qual è il prezzo della vendetta? Cosa si è disposti a fare pur di raggiungerla? E se ottenere la vendetta fosse impossibile? E se per ottenerla ti macchiassi di crimini orribili che finirebbero seriamente la tua vita? E se il tizio che ti ha fatto del male avesse avuto più di un buon motivo per fare ciò che ti ha fatto? Il confine è labile da definire e lo stesso concetto di giustizia è fallace. Il film Old boy esplora proprio questo tema e lo fa in maniera magistrale: senza degnare lo spettatore di una risposta precisa.

Per quanto mi riguarda credo di essermi fatto un idea. Ancora una volta invoco il nome del dottor Jordan Peterson e la sua settima fenomenale regola del suo ancora più fenomenale libro ’12 rules for life’.

‘Pursue what is meaningful and not what is expedient’ (Concentrati su ciò che ha importanza non sulle cose di poca importanza; o anche: concentrati su ciò che ti porterà dei risultati e non su ciò che ti porta piacere).

Il dottor Peterson porta l’esempio di Caino e Abele, una storia biblica che conosciamo tutti. Dio richiede un sacrificio (Griffithhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!) periodico in suo onore. Abele, il più laborioso e il maggiore dei due fratelli, compiace Dio con i suoi grandiosi sacrifici e Dio fa di lui il suo preferito; i sacrifici di Caino, d’altro canto, non vengono accettati da Dio e ciò suscita la rabbia e l’invidia del fratello minore nei confronti di Abele. Invece analizzare se stesso, di capire perché i suoi sacrifici non sono degni di Dio, Abele viene consumato dalla rabbia e uccide suo fratello, la cui unica colpa è stata quella di essere una persona di ‘successo’ agli occhi di Dio.

Che storia tragica e profondamente umana. Molti di noi sono così (nonostante non vogliamo ammetterlo). Taesu è così. Magari non arriviamo a uccidere una persona, ma ogni volta che falliamo e ogni volta che non rispettiamo alcuni standard o che qualcuno ci fa del male, invece di pensare che è colpa nostra, pensiamo subito che è colpa di qualcun altro. Non abbiamo abbastanza successo? Incolpiamo qualcun altro che ce lo ha dicendo che il nostro paese è alla deriva (non sapete quante volte ho sentito scrittori di bassa lega parlare male di Fabio Volo perché ha avuto l’audacia di ‘vendere’ i suoi libri…).

Pensate se tutta quell’energia basata sull’odio venisse concentrata nel creare qualcosa di costruttivo. Pensate quanto il singolo individuo e il genere umano in generale ne gioverebbero. Cosa accadrebbe se gli Incel smettessero di essere divorati dall’odio e lo usassero come benzina per migliorarsi la vita? Cosa accadrebbe se ognuno di noi pensasse più a se stesso e meno agli altri? Cosa accadrebbe se Taesu rinunciasse alla sua vendetta e decidesse di trascorrere una vita tranquilla e pacifica orientata a migliorare se stesso e usare la sua fonte inesauribile di rabbia per fare qualcosa di concreto? (fatto che ha già dimostrato usando emozioni negative per imparare il pugilato da autodidatta, perdere peso e studiare durante il suo imprigionamento). Ciò richiede una forza enorme che potrebbe essere quasi definita divina.

Un grande film che racchiude un grande messaggio. Non sprecate la vostra vita nell’odio. Non importa quali torti e quali brutte carte vi ha riservato la vita. Non diventate mostri che vivono nell’odio, nel cinismo e nella rabbia ma usate le esperienza negative per forgiarvi e vivere una vita degna di tale nome.

Leggete, fate attività fisica, dedicatevi a molti hobby, lavorate duramente. E questo che porta alla felicità e non la miseria degli altri.

Oppure non fatelo, come direbbe Jordan Peterson. La scelta è vostra.

Spero che ognuno che legga queste righe possa ottenere un successo enorme; il fatto è che la mia speranza non conta nulla. Bisogna guadagnarselo e andare avanti nonostante le sconfitte e i torti che si subiscono e ce ne saranno molte…credetemi. Ci saranno tante sconfitte quante vittorie. Non siate i peggior nemici di voi stessi. La vendetta regalerà solo una gioia temporanea; il successo sarà per sempre.

Guardatevi Old Boy.

Jordan Peterson, emozioni negative e riflessioni sul falò dei sogni

Non bazzico molto internet e i social network per due motivi: ci tengo alla mia salute mentale e, in fin dei conti, non c’è mai niente di interessante. Ultimamente, però, sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla grande quantità di fan di Berserk che omaggiano l’opera e l’autore con aneddoti, storie, art design, disegni e AMV (anime music video). La grandissima maggioranza di quei commenti cominciava -o finiva- con le stesse identiche parole:

‘Grazie di tutto Kentaro Miura’.

Alcuni riflettevano su come il manga avesse influenzato positivamente le loro vite e come li avesse aiutati ad andare avanti nonostante vivessero un periodo molto difficile. Un commento di un anonimo narrava di come l’opera di Miura lo avesse distolto dall’idea del suicidio. La lista potrebbe andare avanti all’infinito ma non farebbe altro che confermare e riconfermare l’idea che la narrazione e la finzione possano difatti cambiare completamente la vita di un uomo. Chiunque abbia letto Berserk si è identificato in Guts, un guerriero simbolo della resilienza e della caparbietà umana che non rinuncia al diritto di vivere nonostante le tragedie della sua vita. Chiunque si è identificato con Griffith, con la sua ambizione e la sua volontà di trasformare il suo sogno in realtà.

Berserk è più utile e catartico del novanta percento dei libri di aiuto personale. Stai affrontando un momento difficile della tua vita? Anche Guts lo sta affrontando ma non cerca scuse o vie di fuga. Lui è uno ‘Struggler’ (una parola inglese meravigliosa che tradotta è una via di mezzo tra ‘combattente’ e ‘sofferente’) e continuerà a esserlo fino a quando anche lui avrà il lieto fine che si merita. Non importa quante sconfitte e quante umiliazioni subirà: lui combatterà con coraggio fino alla fine, danzerà nel caos della casualità e ne uscirà vincitore.

Sono orgoglioso della razza umana e di come molti amino Berserk: un inno alla vita e al sacrificio che non consce eguali nella storia della letteratura. Ma cosa c’entra Jordan Peterson? Cosa potrà mai centrare una delle menti più fini della nostra epoca con una opera senza eguali come Berserk? A mio modesto parere? Molto.

Per chi non lo sapesse, Jordan Peterson è uno psicologo e accademico caratterizzato da un acceso interesse per la psicologia della religione, della storia degli umani e del potenziale di questi ultimi. Da poche settimane ho cominciato il suo libro 12 rules for life che, come si evince dal titolo, propone 12 regole per migliorare la propria esperienza e qualità di vita. All’inizio di questo articolo sono stato un filino severo verso i libri di aiuto personale, ma questo titolo è l’eccezione che conferma la regola. Prendiamo i primi due dogmi del dottor Peterson:

  1. Stand up straight with your shoulders back (sta dritto con il petto in fuori e le spalle indietro)
  2. Treat yourself like someone you are responsible for helping (sii responsabile per te stesso e trattati come se tu fossi qualcuno che volessi aiutarti)

Oltre ad espandere e spiegare ciascuna regola con evidenti dati scientifici, aneddoti e citazioni bibliche (credetemi… hanno molto senso) Peterson spiega pazientemente, anche grazie all’uso della letteratura, perché questo possa condurre a una vita migliore.

La prima regola parte con un paragone molto strano: gli esseri umani sono molto simili alle aragoste per quanto strano possa sembrare. Le aragoste combattono tra di loro in spietate lotte territoriali per guadagnarsi un posto dove vivere in quello che potrebbe essere definito come un duello vero e proprio. Questi duelli all’ultimo sangue, ovviamente, prendono luogo anche per altre motivi, come, ad esempio, una semplice dimostrazione di potere, attrarre un partner sessuale o semplicemente per prevalere su un nemico.

Vincere, significa acquisire prestigio sociale e un posto preciso nella scala gerarchica il che significa avere più accesso a cibo, un alloggio dove vivere ed essenzialmente una vita più ricca e soddisfacente. Perdere, d’altro canto, significa essere sottomessi, essere cacciati, perdere status sociale (che è una cosa importante anche tra le aragoste apparentemente) e vivere una vita dalla qualità molto inferiore. Ecco cosa accade al livello fisico: il vincitore rilascia più endorfina, dopamina e serotonina (neurotrasmettitori associati al buon umore) che attrae più potere, confidenza, autostima e una probabilità di vittoria maggiore se mai dovesse combattere in futuro. La sua postura è imponente e grandiosa nonostante possa persino avere delle dimensioni piccole non adatte a un guerriero.

Il perdente non viene beneficiato da queste importanti reazioni chimiche e aumenta il suo livello di stress, ansia, depressione (malattia dovuta in parte alla mancanza di serotonina) poiché ha perso e la sua confidenza è ai minimi storici. Molto probabilmente, perderà anche le prossime battaglie in cui sarà partecipe perché nella sua mente il suo status di ‘perdente’ è ormai consolidato. La sua postura è curva, con le spalle cadenti (postura che dovrebbe in teoria proteggere dai predatori comunicando non verbalmente ‘sono un perdente, lasciatemi in pace).

La stessa cosa può essere percepita negli esseri umani. A nessuno di noi piace perdere e la vita non è esattamente un parco divertimenti. Ma perdere ogni singola volta potrebbe avere delle cause fatali sulla nostra salute, sul nostro lavoro e sulle nostre ambizioni. Qualche sconfitta di troppo potrebbe benissimo toglierci dalla strada per il successo e imbarcarci con un biglietto di sola andata per la depressione. Credo che Griffith ne sappia qualcosa quando il buon Guts se ne andò dalla squadra dei Falchi.

Post nut clarity, bro?

Abbiate una buona posizione eretta mentre parlate con qualcuno. Non importa quanto inadeguati e stupidi vi sentiate. Non comportatevi come una aragosta perdente e camminate nel caos a testa alta dopo la sconfitta come fa Guts.

La seconda regola va di pari passo con la prima. Vogliate il meglio per voi stessi e comportatevi come se voi foste i vostri stessi genitori. Non lasciate che il caos vi faccia disperare a tal punto da assumere dei comportamenti negativi e distruttivi. Siate forti fisicamente e mentalmente. Fate ciò che è meglio per voi e dominate il caos prima che quest’ultimo domini voi esattamente come Guts combatte contro la stessa idea di casualità e divinità trovando un senso in un mondo che raramente ne ha. Uccidete Dio anche se dovesse trovarsi sul vostro cammino e vivete una vita devota al vostro sogno. Lasciate che le emozioni negative costruiscano un futuro migliore e non diventate schiavi di esse.

Oppure fate l’esatto opposto.

Oppure io stesso potrei fare l’esatto opposto. Ma in entrambi i casi dovrò vivere con le conseguenze delle mie azioni. Quella è la parte più difficile, non trovate?

In ogni caso… grazie di tuttto Kentaro Miura. Ancora una volta.

Bukowski, Moody, forse John Fante e The promised Neverland

Dopo aver ascoltato il tema di Hank di Californication l’altro giorno, ho sentito il bisogno di riguardarmi il pilot della serie. Non era assolutamente niente male (per essere l’episodio pilota). Veniamo a conoscenza del Chad per eccellenza, il maschio alpha Hank Moody: un uomo che solo nel primo episodio va a letto con quattro donne diverse, si fuma quattro pacchi di sigarette e va a vedere al cinema il film tratto dal suo ultimo romanzo, ‘God hates us all’. Già questo ci porta ad empatizzare con il personaggio: chi non vorrebbe essere come lo scrittore Hank?

Ambientato nella città del vizio, Los Angeles, Hank è un lupo solitario in lotta con se stesso. Sin dalle prime battute (in cui si vede una suora che gli fa un servizio orale) Hank si rivela come un perfetto narcisista innamorato di se stesso. Ancora innamorato della sua ex, Karen, Hank cerca di annegare il vuoto che sente dentro tramite sesso e alcool. Non riesce più a scrivere e non riesce a mantenere un rapporto sano con sua figlia Becca.

Californication rappresenta uno dei miei generi preferiti poiché non c’è una vera trama: la serie televisiva si concentra su Hank mostrando la vita distruttiva di tutti i giorni che molte persone vorrebbero imitare… almeno le persone sotto i ventitré anni: tra cui io, Lone Struggler.

Serie estremamente consigliata: divertente ed educativa (forse non è il termine esatto) per chi è interessato alla scrittura. La serie è piena di luoghi comuni, come lo stereotipo dello scrittore genio-alcolizzato che non è mai esistito se non nella funzione. La colonna sonora è di ottima qualità. Esclusivamente rock con milioni di riferimenti a varie cantanti di cui lo stesso Hank è un fan (Kurt Cobain e Warren Zevon).

Beh… ottima serie: divertente, introspettiva e dall’animo rock. C’è dell’altro? Si… la parte di Bukowski nel titolo. Lo scrittore viene citato in continuazione nell’opera. Lo stesso nome ‘Hank’ è un riferimento all’alter-ego letterario di Bukowski, Hank Chinaski. Il primo romanzo di Hank Moody è stato ‘South of Heaven’ altro chiaro riferimento a ‘South of no north’, una raccolta di racconti del vecchio Bukowski. Cosa hanno i due in comune oltre alla passione per il gentil sesso?

Uno: Hank Moody ha sempre avuto movimento nella sua vita al contrario di Bukowski, il quale ha ottenuto però la sua vendetta in età più avanzate (a questo proposito, consiglio ‘Women’ in cui Bukowski spiega per filo e per segno ogni sua piccola relazione quando divenne mediamente famoso come scrittore). A Bukowski sarebbe piaciuto Californication? Ne dubito ma forse si sarebbe sentito onorato nel guardarlo.

Due: Sono entrambi pessimisti con un amore per la bottiglia.

Riguardo il tema ‘pessimismo’… non c’è miglior modo di approfondire questo aspetto se non tramite la lettura di ‘Ham on Rye’ (‘panino al prosciutto’): a mio parere il libro più bello di Bukowski. Il titolo del romanzo può ricordare ‘The Catcher in the rye’ (‘Il giovane Holden’ in italiano): infatti, entrambi i romanzi narrano la vicenda dalla visione del mondo dei protagonisti.

In una rissa, però, avrebbe vinto il buon Hank. A mani basse.

L’intero romanzo è narrato tramite il punto di vista di Hank Chinaski da bambino. Un tono velato di ironia e depressione accompagna tutto il romanzo: un bambino nato in una famiglia di ceto medio-basso, picchiato dal padre, tempestato dall’acne, emarginato da molti dei suoi compagni. Con il tempo, seguirà un disprezzo per la società, per il conformismo e tutto ciò che ne consegue. Ciò che adoro di questo romanzo, tuttavia, è la caratterizzazione di Hank. Nonostante il protagonista abbia una vita estremamente dura, raramente si rifugia nell’autocommiserazione. Realizza ben presto che il mondo raramente è giusto, tuttavia cerca sempre un modo per reagire e cogliere l’ironia nella tragedia. Hank Chinaski, all’età di otto anni, è molto più maturo e meno vittima di molte persone che hanno avuto una vita più agiata di lui. Il tema della perseveranza (seppure molto sottile) è presente nel romanzo. La stessa perseveranza che portò Bukowski a non abbandonare la scrittura nonostante migliaia di rifiuti. Hank rappresenta la disillusione verso il mondo e la voglia di essere diverso. Tuttavia, a mio avviso, racconta anche una gloriosa storia un bisogno viscerale di essere accettato da quella stessa società da cui cerca di fuggire.

Questo ci porta a John Fante, una delle ispirazioni maggiori per Bukowski. John Fante era uno scrittore (no shit, Sherlock). Ha esplorato molti temi cari a Bukowski come la narrazione del romanzo attraverso il suo alter-ego letterario (nel caso di fante, Bandini). Non conosco Fante bene come Buk. Per il momento, ho letto: La strada per Los Angeles, Full of Life e Ask the dust. Sono tutte ottime letture con un giovane Bandini che sogna di diventare scrittore… eccetto Full of Life: un resoconto romanzato dei giorni in cui sua moglie era incinta. Noioso e privo di ironia al contrario dei suoi altri romanzi, ma è solo una mia opinione. Dei tre, consiglierei ‘La strada per Los Angeles’: divertente, energetico e con uno stile narrativo asciutto e senza giri di parole.

Questo ci porta a The Promised Neverland, un anime che ho iniziato da poco. Non c’entra nulla con il resto dell’articolo ma dato che il blog è incentrato sugli anime… ho deciso di includerlo qui. Ottimo mistery, ottimo thriller, ottima premessa. Una cinquantina di bambini trascorrono giorni felici e spensierati in un orfanotrofio. Tuttavia, lo scopo per cui vengono cresciuti nasconde un’orribile verità. Ne parlerò in seguito con maggiore approfondimento.

Training arc II- il mio e quello di Midoriya

Il tema di Hank Moody motiva come poche cose al mondo. Californication è uno dei miei anime preferiti!

Come ho accennato nel post precedente riguardante il mio training arc e quello di Tanjiro, ho un ritmo di scrittura che sto cercando di rispettare ogni giorno. Senza essere troppo fiscale, miro alle 1500 parole al giorno. Non importa cosa scrivo: appunti per lo studio, questo blog o narrativa. L’importante è che lo faccio. Qualche volta, come oggi, mi sento particolarmente stacanovista e ho deciso di sforare.

Sarà perché sono stato ispirato dal tema musicale di Hank Moody.

Sarà perché ho finito di leggere Ham on Rye di Bukowski per l’ennesima volta.

Ecco un post leggero e senza pretese che da qualche delucidazione sul mio training arc. Innanzitutto, la maggior parte dei manga ha un ‘training arc’: ovvero quel capitolo dedicato alla crescita dei personaggi principali tramite duro allenamento. In questo post ho deciso di accostarmi a Midorya di My Hero Academia: un ragazzo che sogna di diventare un eroe ma che è nato senza poteri (ne ho parlato ampiamente negli articoli precedenti). Un giorno Midorya ha l’occasione di ribaltare la situazione grazie all’incontro con il suo idolo, All Might (per gli acculturati, Oromighto). Inizia così il suo duro allenamento fisico per diventare degno di ereditare il One for All.

Ho già usato questa immagine, ma è la mia preferita. Empatia a mille.

Mi piace definire la mia routine quotidiana come una specie di ‘training arc’ del tutto personalizzato. Studio, scrittura, esercizio fisico e lavoro. Nel post precedente dedicato a me e Tanjiro (il protagonista di Demon Slayer), ho condiviso la mia prima storia breve che ho pubblicato in un giornalino gallese… niente di importante, ovviamente (quella rivista letteraria la conosceranno in cinquanta persone). Qui, ho deciso di condividere un’altra mia storia (in inglese) che non ho mai avuto il coraggio di inviare a un editore.

Così… tanto per.

Volevo condividere l’incipit del mio primo romanzo di due anni fa… ma ho deciso di dare questa storia al suo posto. Perché? Perché mi serve per una cosa molto segreta per un torneo Tenkaichi letterario segretissimo (chissà quale sarà…) In realtà l’avevo pubblicato ieri mattina, ma l’ho cancellato recentemente. Avere un traffico medio di tre followers aiuta in questi casi!

Comunque sia… ecco la storia breve. Solo per chi è interessato dato che non è il contenuto principale del blog. Il titolo è ovviamente un riferimento a Silent Hill 2. Non ci ho mai giocato. Però la soundtrack è fuori da questo mondo.

Heaven’s Night

I can see the neon lights turn on, then off, then on again. The “t” seems to have a problem or two: it is slightly brighter than the others. This is the kind of place you think exists only in the movies.

Heaven’s Night

I carefully observe my reflection in the dark glass of the building. Two frozen lakes under a cascade of blonde hair like gold. The neon lights shine through my red gold chain strap sequin plunge Bodycon dress by Armani.  It is so tight I can barely breathe. I am wonderful. More than wonderful. I am divine. Too divine to be in a queue.

I am just a beginner. There is time…

Maybe I like what I see too much so I look elsewhere. The music changes. The pretty girl in front of me screams, moving her hands in the air at the rhythm. Her not-so-pretty friend timidly joins her.

I would be timid too if I looked like that.

The doors open and we are suddenly allowed to check out the inside of Heaven. You can see the red lights caressing the completely white surface of the dancing floor. A topless girl, as tall as you would think God is, swallows a shot in front of a group of guys and she spits the liquid on them. Her white high heels are of the same color as her skin. The boys in the group punch each other fighting for her saliva. The girls in front of me giggle and they breach Heaven.  They disappear into Nothingness. Music changes.  The doors are closed once again. I am next.

“Who are you?” asks the man who I reasonably think is the bouncer. His ponytail and his cheap perfume make me think he is a bum.  

“Whatever you want me to be,” I tell him biting my lips.

“You look like 13.”

“So, what? Not young enough for you?”

“ID.”

I giggle as I say, “I don’t need one.”

“And why is that?”

I raise my left hand so he can see the mark. I have a smile that is projected just slightly above my elbow.

J

“I am with Mainyu.”

The bouncer doesn’t act too surprised as he opens the doors of Heaven for me.

“How much flesh is there going to be?” I ask with a smile. I didn’t want to talk to a bum like him but then I remembered that quote from that writer ‘If you want to see the true measure of a man, watch how he treats his inferiors.’ I am so kind. I want to see his face illuminated by the kind words of a goddess. 

 He does not answer. My laugh dies on my face.

Why is he not laughing?

I hate him. I wish he would die in front of me.  I am having difficulties to breathe as he is watching me without any expression of intelligence in his eyes. I’d gladly give my life to make him suffer. I would love to plunge my nails into his throat and drink his blood. But, I don’t. Instead, I say:

“See you on the other side!”

The doors are finally open. It’s my turn in Paradise now. The music increases its pace. I know the song. It is an old remix of the even older song “I don’t care anymore” by Jim Collins. Instead of the guitar, there are bongos.

You even wrote a song to show the world you don’t care about your divorce.

“SO FULL OF HAPPY THOUGHTS AS ALWAYS…” A hard-body with tinted blond hair wearing a black side-buttoned notched–collar wool jacket and a fitted cashmere turtleneck grabs my waist.

“WHY DID YOU MAKE ME QUEUE, MAINYU?”  I shout to him and Phil Collins as he directs me away from the crowd. 

“Oh-oh-oh!”

“Oh-oh-oh, WHAT?” I ask irritated.

“Oh-oh-oh, look at you! You just entered the industry and you already want the special treatment! You really have some guts, doll!”

“I AM BETTER THAN ANYONE ELSE! YOU SAID THAT!”

“SAVE IT FOR LATER, LILITH!” he interrupts me. I bit my lips hard enough to make them bleed. “I WANT YOU TO MEET THE OTHER MEMBERS OF THE SABBATH!”

“ARE THEY MODELS TOO ?!”

He doesn’t answer. Why does he not answer me? The world is unfair and I am the biggest victim of all.

“Oh-oh-oh!”

“Shut up! I thought we were friends!” I scream.

We reach the bar counter. I am on the verge of saying I need a drink, but I suddenly think that there are going to be plenty of them at the lounge. I just hope the people there know who I am.  The music changes into a remix of The Demon Dance by Julian Winding. I love that song and the world suddenly appears to be a little more colorful.  Once again, I have faith in life despite the horrible way people treated me.

As I try to forget the traumatic experience I have been through, we go upstairs and a bouncer who wears a Searls leather biker jacket and a Tobago patched jeans in blue waves bend the knee as he sees Mainyu. I get a little excited. It makes me wonder how long should I wait before people do that for me too.

Before entering the lounge Mainyu touches my shoulder. I can see the mass of people clubbing just beneath me. I grin. The lights of Heaven Night change color at the rhythm of the music. Blue. Red. Blue. Red. Blue. This is mine. This is all mine.

“This is not yours yet. Try to make a good impression,” he whispers to me as the Demon Dance begins to fade.

“This is our opportunity to make it big. You want to be a real model, don’t you?”

“I would do anything,” I whisper back passing the tongue on my lips.

“This is what I am talking about.”

The bouncer steps back and lets us enter. All I see is black.

“Are you food or sex?” someone asks me as I enter. Mainyu is just behind me. I try to reach his hand but he pretends not to notice.

“Christ! Refn! Can’t you see she is a girl?”

“So? There is a 50 percent chance…”

Heaven’s Night. All I see is light.The neon lights show the symbol of Mainyu all over the place. The smile. I can see them. Not entirely. The man wears a Ted Baker Tailored Fit Black Dress Suit. Short. Pair of glasses. New York’s accent. Maybe Hebrew?

The woman wears a Lani Dress as black as the color of her skin. Now it is red. Now is blue. Now is red again.

“I am not a girl,” I mutter.  I hate myself because I don’t sound confident enough.

“That’s obvious. Girls do not wear sequin plunge Bodycon…”

I can sense my own insecurity. I am better than them. They are beneath me. The entire world is beneath me. Even God is beneath me. I should not feel this way. Mainyu laughs as he introduces me.

“She is Lilith. She is going to be the next big star.”

The woman smiles at me, “First Sabbath?” she asks.

“But not last,” I reply as Mainyu tells me to sit just next to the man called Refn. I know him. The entire west coast knows who he is.

“Nice,” he mutters as he fills four glasses with Champagne Dom Pérignon  Rosé directly from the gift box in the limited edition released in 2005. I take my glass. I press my lips on the top the glass and I observe the print of my lipstick.

Damn, I realize with shock. I am avoiding eye contact.

“Now, just to make everything clear…” Mainyu says. “We have 20 minutes for the feast. The doors will be completely closed. The walls are soundproof. Lilith will stay with me. She is a first timer. Refn and Miki will be together. We will meet again outside. Doubts?”

No one says a word. I try to drink my champagne when Refn stops me. He shows me a pill in the palm of his left hand.

“Are you sure you want to club without Devi-Devi?”

I take the pill muttering a weak, “Thank you”. 

“Just swallow it with a sip of champagne,” Miki tells me gently. “Just like a medicine.”

She is treating me like a daughter. I am doing it all wrong. I do as she says. My eyes roll. I take my hand to my mouth. It is not that bad. It’s colorful just like my future. It’s tasteless just like the animals dancing beneath us.

“Look at her face! She is like a doll! I love you!” Refn screams.

“I love you too!”

The others do the same. Mainyu, Refn, and Miki take the pill. At first, I don’t notice a single change. Then, my heart begins to race. The music begins to be even louder than before. Boom. Boom. Boom. The rhythm is unbearably fast-paced. The lights of Heaven’s Night are now red and red only. I look at Mainyu and he smiles at me. The masses of flesh beneath us continue screaming at the music.

“Are we having a party or something?” Refn suddenly asks. He swallows half of the Dom Pérignon bottle as he stares at the people. Then, he jumps from the lounge. I see Miki reaching him jumping into the heart of the crowd. I wonder what the flesh is thinking right now. I wonder how do they feel now that divinities left the Mount Olympus to join them in their miserable fun.

Now there is just me and Mainyu.

“Do you think I made a good impression?” I ask visibly worried. There is my future at stake.

“It’s too early to tell,” he says. “But I can tell Refn likes you. He has a thing for girls who didn’t even have their periods.  Just like everybody else. Well, now that I think about it everyone likes you.”

“Perfect,” I whisper relieved.

The people beneath us continue screaming. However, their scream is quite different from before. It has more passion. More fear. More visceral.

“More ‘passionate’ I would suggest. Art always comes from suffering. Beauty always comes from sacrifice. Never forget that, doll.”

All those screams. All that red. All that music. I can’t stop myself anymore. I need it. I need to be part of the Sabbath.

“Shall we go?” Mainyu knows who I am right now. I wish I could say the same for me.

“Yes,” I say. “And Mainyu?”

“What?”

“Thank you for this but don’t make me stand in a queue ever again.”

He smiles. No wonder his symbol is literally a smile. As I join the Sabbath I officially become part of Heaven’s Night

Haruki Murakami- depressing af

Stavo guardando un vecchio video di Filthy Frank. Avete presente, no? Pink Guy? Nessuno? Eppure è stato un fenomeno di youtube nell’età dell’oro della piattoforma (referenza a Berserk). Se non lo conoscete, andate a cercarlo. Ad ogni modo, in quest’altro video Frank spiega nel dettaglio che cosa costituisce un weeabo. Per chi non lo sapesse: un weaboo è quella persona talmente ossessionata dagli anime e dalla cultura giapponese da immedesimarsi con la loro lingua, la loro storia e le loro credenze nonostante non siano giapponesi, non sanno parlare il giapponese, hanno visto sei serie anime e credono di sapere tutto sul Giappone. Sicuro avete presente chi sono queste persone.

La prima cosa che mi è balenata in mente è: ‘Di sicuro non parla di me.’ Ovvio che non parla di me. C’è un’enorme differenza tra chi semplicemente ama i manga e gli anime e chi si appropria di una cultura che non è la sua. La statuetta sulla mia scrivania di Yumeko senpai concorda con me. Ovviamente non dovete fidarvi della parola della mia waifu.

Accidenti. Troppo tardi.

Ovviamente si scherza qui. Non ho una statua di Yumeko sulla mia scrivania e non credo di essere giapponese solo perché adoro il loro intrattenimento (manga, anime, letteratura, cinema). Non voglio imparare il giapponese e non ho una waifu. Non che ci sia niente di male ad avere qualche action figure della propria serie animata preferita. Tuttavia, è bene capire quando una passione o un hobby diventa un ossessione. A tale riguardo, mi sento di consigliare un video musicale dal carattere provocatorio. MEMEME! Andate oltre il fan service e le numerose scene di sesso e provate a immedesimarvi con il personaggio principale di questa storia. Il personaggio principale è un Hikikomori (di cui ho scritto sul post dedicato a Holyland). Non lascia mai la sua casa, ha un’insana dipendenza da anime e pornografia che gli impediscono di vivere una vita normale. Il ragazzo è prigioniero di un mondo che non esiste.

Nonostante non mi sia mai trovato nella posizione del protagonista del video musicale, posso capirlo. D’altronde il mondo reale è così noioso, crudele e senza soddisfazioni… tanto vale rifugiarsi in un mondo animato, vero? Sbagliato! Se c’è una cosa che gli anime ci insegnano è di non arrendersi mai, trasformare la propria insoddisfazione in qualcosa di produttivo. Prendete Naruto: un ragazzino emarginato da tutti, senza genitori, che vuole provare il suo valore. Naruto ha due scelte:

Numero uno: eccellere nella via del ninja e provare riuscire ad avverare il suo sogno.

Numero due: chiudersi in casa con la sua waifu immaginaria per poi ritrovarsi a quarantanni a pentirsi delle proprie scelte.

Forse non è proprio questo il senso di Naruto, ma avete capito il punto. Il fatto è che, per citare Joe Rogan: ‘Tutti gli uomini devono scegliere tra due dolori: il dolore della disciplina (fare qualcosa di costruttivo), o il dolore del rimorso (scegliere la via più semplice e pentirsi in futuro)’. Vi chiedo di scegliere con grande saggezza.

Detto questo, cosa ci porta al titolo? Murakami è davvero deprimente? Si. Ma non del tutto. Per chi non lo sapesse, Haruki Murakami è uno scrittore ma non uno qualsiasi: uno dei scrittori orientali più famosi- e che ha venduto più libri in assoluto. Tra i suoi temi più cari troviamo l’alienazione, la depressione e l’indecisione. Wow. I protagonisti sono apatici a tutto ciò che li circonda e il loro malessere interiore, molto spesso, influenza il mondo in cui si muovono dando vita a una sorta di ‘realismo magico’: ovvero, un genere letterario in cui la magia si sposa in un contesto reale. Molto differente da un fantasy, poiché la magia ricopre un ruolo secondario esattamente come nei romanzi di Milan Kundera. Il libro in questione che ho letto è stato: ‘Colorless Tsukuru Tazaki and his years of pilgrimage’.

La trama è fantastica: Tazaki fa parte di un gruppo di amici -5 per l’esattezza- che si sono conosciuti negli anni delle elementari. Il gruppo è inseparabile: fanno qualsiasi cosa insieme e sono uniti da un profondo legame di amicizia. Un giorno, però, i quattro amici di Tazaki lo emarginano e tagliano tutti contatti con lui senza alcuna-apparente-ragione. Tazaki è devastato e porterà il malessere di essere stato escluso fino a quando diventerà adulto. Non riesce a stabilire più alcun contatto con le persone.

Il motivo per cui il protagonista è chiamato ‘colorless’: tutti i suoi amici hanno un cognome che rappresenta un colore. Tazaki è l’unico senza colore e, casualmente, è l’unico che è stato emarginato.

Il romanzo seguirà i pensieri, le emozioni e le azioni di Tazaki che vive annebbiato da uno spesso strato di apatia che gli impediscono di vivere la sua vita a pieno. A mio modesto avviso, il romanzo esegue uno splendido lavoro nel descrivere come la percezione di un evento possa completamente cambiare la percezione della vita. Tuttavia, è giusto dire che Tazaki è padrone delle proprie emozioni. Non esiste trauma abbastanza grosso da impedirci dal vivere una vita come vogliamo noi. Tazaki è distrutto dall’essere stato emarginato dai suoi amici perché lui ha permesso che questa emozione lo consumasse. Nel romanzo cercherà di cambiare questa attitudine e scoprire una volta per tutte il motivo per cui i suoi amici lo hanno abbandonato e finalmente andare avanti con la sua vita. Consiglio questo romanzo soprattutto a chi non ha l’abitudine di leggere molto. Lo stile della scrittura è scorrevole, il linguaggio è semplice e tutto è narrato in prima persona singolare. Il tema di non lasciare che un evento- per quanto negativo sia- influenzi la tua vita è affascinante quanto importante.

Lettura assolutamente consigliata. Come sempre, chiedo scusa per l’incapacità di andare dritto al sodo per ogni post che scrivo.

Attacco per stratagemma- Sun Tzu

Saluti, Strugglers!

Ecco qui un personalissimo aneddoto su The Art of War (l’arte della guerra) di Sun Tzu. Un paio di settimane fa stavo aspettando l’aereo per tornare in Italia quando, sul sedile accanto al mio, trovo un libricino completamente nero rilegato in una copertina rigida. Sembrava non ci fosse un titolo. Come ogni persona sana di mente ho esclamato con sorpresa: “Il DEATH NOTE! I miei problemi sono finiti!”

Non era il Death Note. Era un libro scritto da un generale militare cinese del -2000000 A.C. L’arte della guerra. L’introduzione è di un certo James Chan, un tizio che è il presidente di marketing di una qualche associazione di compra-vendita. Qui la mia prima domanda:

Che senso ha leggere un libro di strategia militare antica al giorno d’oggi?

Qui le mie prime risposte:

La vita degli affari, la scalata al successo (qualsiasi cosa si intenda per successo), la vittoria personale è una grande guerra che viene combattuta dall’alba dell’umanità. Il campo di battaglia di oggi potrebbe essere un ufficio così come nel mondo degli affari. Per conoscere la vittoria (scusa Baki) bisogna giocare d’astuzia.

L’arte della guerra è un manuale di auto-miglioramento che in più di mille anni ha aiutato (aiuta e aiuterà) milioni di leader a raggiungere i propri obiettivi. In sintesi, il libro indica che la vittoria è il fine ultimo della guerra. Il generale capace vince evitando il conflitto. Bisogna conoscere il nemico tanto quanto se stessi.

Ora: il libro è una straordinaria collezioni di aforismi utili e meravigliosi… varrebbe la pena di leggerlo solo per frasi come:

“Veloce come il vento, lento come una foresta, assali e devasta come il fuoco, sii immobile come una montagna, misterioso come lo yin, rapido come il tuono.”

“Se sei capace, fingi incapacità; se sei attivo, fingi inattività.”

E, infine, la mia preferita di Sun Tzu:

“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.”

Conoscere se stessi: questo mi sembra la cosa più difficile da mettere in praticare. Conoscere se stessi significa possedere un grado di onestà che in pochi potrebbero raggiungere.

Conoscere se stessi significa accettare i propri limiti, le proprie paure, i propri punti deboli… e rifletterli alla luce dei nostri obiettivi, sogni e avversari che vogliamo vincere. Capire quando iniziare una battaglia e quando evitarla è una abilità che si affina con il tempo o con la saggezza. Ho sin troppa quantità del primo fattore e assai poca del secondo fattore.

Grazie all’arte della guerra, le ore che mi separavano dall’Italia sono passate veloci… e ho avuto l’occasione di riflettere su quanto io sia lontano dal mio sogno.

Una lettura che (nel bene o nel male) consiglio a chiunque.

Alla prossima, Strugglers!