Tournament of power- Ioscrittore, Pugilato e Musashi Miyamoto

Gira voce che Musashi Miyamoto sia stato l’unico ronin (samurai senza padrone) in tutta la storia del Giappone a non essere mai stato sconfitto. Un uomo la cui storia si confonde con la leggenda: si sa davvero poco di Musashi. Venne addestrato nell’arte della spada sin da giovanissimo. Era un solitario che disprezzava l’igiene personale, il genere femminile e la debolezza. A 13 anni sconfisse un maestro samurai attaccandolo a sorpresa con la sua spada di legno. Da lì il nome di Miyamoto continuò a crescere. Trascorse gli anni dell’adolescenza con un cartello di legno appeso al suo collo: ‘chiunque voglia sfidarmi sarà il benvenuto’, recitava.

A 16 anni prestò il suo servizio al clan Mitsunari nella famosa battaglia di Sekigahara. Il clan Mitsunari venne sconfitto e Miyamoto riuscì miracolosamente a sopravvivere. Da quella battaglia, Miyamoto decise di perseguire la via della spada e diventare lo spadaccino più forte della storia. Ancora non è chiaro se Miyamoto vinse ogni singolo duello (un fatto davvero improbabile) ma una cosa è certa: morì in età avanzata (probabilmente intorno ai 61 anni) stroncato da un tumore allo stomaco. Considerando che la vita media di un guerriero del Giappone nell’età feudale si aggirava verso i trent’anni.

people watching two men in fighting arena
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Un vecchio che sopravvive in un lavoro in cui si muore giovani potrebbe sapere una cosa o due sulla vita. Miyamoto scrisse della sua esperienza di vita nella sua opera più conosciuta, ‘Il libro dei cinque anelli’. Il libro è suddiviso in cinque parti: il libro della terra, il libro dell’acqua, il libro del fuoco, il libro dell’aria e il libro del vuoto. Ogni sezione indica il corretto comportamento che un aspirante guerriero deve adottare per trionfare sui suoi nemici: le tecniche di scherma, la supremazia fisica e mentale e la psicologia fanno tutti parti della ‘via della solitudine’ (la via che ogni guerriero deve percorre poiché solo nella solitudine si può trovare la via per la vittoria).

Questi sono i nove dogmi che elenca:

1: Non coltivare cattivi pensieri

2: Esercitati con impegno

3: Studia tutte le arti

4: Conosci anche gli altri mestieri

5: Distingui l’utile dall’inutile

6: Riconosci il vero dal falso

7: Percepisci ciò che non vedi con gli occhi

8: Non essere trascurato

9: Non abbandonarti in attività inutili

Musashi pensava che la via del successo fosse percorribile da tutti, ma che, allo stesso tempo, non tutti fossero capici di percorrerla. Spiego questa orribile frase: tutti potrebbero (in teoria) avere la capacità per raggiungere la grandezza ma sono davvero poche le persone che si impegnano con tutta la loro volontà e sacrificano la propria vita all’insegna del loro sogno.

Se un uomo non sacrifica i piaceri del presente e non dedica ogni minuto della propria vita al proprio futuro, ha poi ragione a lamentarsi se non raggiunge la vetta? Riuscirà ad essere abbastanza maturo e intelligente per dire, ‘è colpa mia e solo mia se ho fallito?’

Musashi ha colto nel segno. Solo con una grande fermezza mentale e un desiderio bruciante si può raggiungere la via del successo in qualsiasi campo.

Il pugile Mayweather non è mai stato sconfitto (si potrebbe definire il Musashi dei nostri tempi). Ma qual è stato il prezzo? Una routine disumana che ben pochi pugili possono riuscire a fare:

Tre round di shadowboxing. (ricordo che ogni round dura tre minuti)

Quattro round ai pads.

Due round focalizzati ai colpi al corpo.

Quattro round (12 minuti) al sacco.

E così via. Per quaranta round. Un totale di centoventi minuti. Senza contare il minutaggio di riposo, la corsa, lo sparring e la dieta ferrea. Come dice lui stesso: ‘Studio ogni avversario che combatterò. Se il mio avversario corre otto chilometri ogni mattina, io corro dieci chilometri. Se lui corre dieci chilometri, io corro 12 chilometri.’

Mayweather è il migliore per una ragione: antepone il suo allenamento, la sua carriera e il suo sogno a qualsiasi cosa. Il pugile, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

Prendiamo un uomo molto diverso ma dallo stesso successo.

Stephen King ha un ritmo di scrittura di duemila parole al giorno, trascorrendo quattro ore sulla macchina da scrivere e le altre ore a leggere romanzi di narrativa. Tutto questo mentre lavorava come insegnate di inglese e lavorava come addetto alle pulizie a una lavanderia di Bangor, nel Maine. Lo scrittore, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

E questo ci porta alla parte finale di questo articolo. Ho partecipato al torneo di Ioscrittore quest’anno. Per chi non lo sapesse, Ioscrittore è un ‘torneo’ di scrittura in cui mandi le prime venti pagine del tuo manoscritto al sito e dieci persone a caso (partecipanti anche loro del torneo) lo valutano. Tu fai la stessa cosa e leggi dieci opere di altri aspiranti scrittori. Dai un voto da 1 a 10 sui vari aspetti del romanzo che hai letto (un voto per i personaggi, trama, storia e grammatica) e scrivi un giudizio complessivo. Se le pagine del tuo romanzo raggiungono una certa media puoi passare alla fase successiva.

Ieri hanno annunciato i nomi dei vincitori della prima fase e io non ero tra quelli. Lo sapevo ancora prima di inviare le pagine che non avrei vinto. Il mio romanzo è in inglese. Per partecipare al concorso ho dovuto tradurre 40 pagine dall’inglese all’italiano in meno di sei ore (come sempre mi ero ridotto all’ultimo). Alla fine della quinta ora non avevo neanche la forza di rileggerlo per quanto duramente avevo lavorato per mandare quelle pagine al concorso. Quando le inviai sapevo di aver fatto un lavoro frettoloso e pieno di errori. Tuttavia, poco prima di sapere i risultati, una parte di me sperava di aver vinto. Anzi, ne ero sicuro… per quanto stupida fosse quella sicurezza.

Il fatto è che se non sono riuscito a nel mio intento devo maledire solo me stesso. Non i giudici troppo cattivi (suppongo siano stati anche troppo buoni), non il fatto che avessi poco tempo (avevo più di un mese per prepararmi), non il fatto che nessuno mi apprezza (forse sono davvero troppo scarso).

strong man with naked torso and tattooed body showing katana
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In ogni caso la colpa è mia: per il fatto di essere troppo pigro nel rileggere quello che scrivo, per non metterci dedizione, per non lavorare ogni istante della mia vita per realizzare il mio sogno. Forse non sono neanche degno di chiamare la mia ambizione ‘sogno’.

Ma c’è sempre tempo per dedicarsi alla via del guerriero. Il tempo è dalla mia. Anche se non dovessi avere il talento necessario, ho speranza e resilienza. E per il momento è tutto ciò di cui ho bisogno.