Devilman Crybaby- anime of the year (2018)

“L’amore non esiste… o così credevo”

Prima o poi doveva arrivare questo giorno. Il giorno in cui avrei parlato dell’anime che ha acceso la mia passione per l’animazione giapponesi. Devilman Crybaby catturò subito la mia attenzione per la fantastica- quanto strana – direzione artistica, animazione e colonna sonora. Seriamente: la colonna sonora di Devilman che sembra uscita da un remix di Tekken, Hotline Miami e Stranger Things.

La trama, invece, appariva a prima vista come un qualcosa di già visto: il timido Akira non è bravo negli sport o nello studio, non sa combattere e non sembra di certo qualcuno che possa vestire i panni dell’eroe. Tutto questo, però, cambia quando viene inghiottito da un demone: il potente Amon. Il pavido Akira si fonderà con il demone e ne otterrà i poteri lasciando intatto, però, la sua coscienza da umano. Un demone nel corpo di un umano con un animo ancora umano. Ovviamente non sarà il solo a subire questa sorte, nonostante la grande maggioranza degli umani che si fondono con i demoni soccombano, abbandonando la loro anima ma preservando il loro corpo che sarà abitato da un demone. Akira userà i suoi nuovi poteri per proteggere l’umanità dai malvagi demoni, i quali vogliono conquistare il mondo… una descrizione un filino cliché. Potrebbe benissimo essere la trama di spider-man. Uno sfigato viene morso da un ragno, diventa un badass e annienta i criminali con i suoi nuovi poteri. Tuttavia, dopo la prima metà della prima puntata, si scopre che Devilman Crybaby è diverso. Diverso in maniera sostanziale a qualsiasi supereroe mai concepito prima… cosa piuttosto scontata dato che il manga originale su cui è basato Devilman Crybaby è del 1973. La storia è la stessa ma ambientata ai giorni nostri.

Il gore, la violenza, il sesso e i continui riferimenti alla religione cristiana fanno di Devilman Crybaby un prodotto coraggioso e innovativo che vuole a tutti i costi lasciare qualcosa di nuovo e mai visto nell’ambito dell’animazione giapponese. Il fulcro dell’intera opera ruota intorno alla relazione di profonda amicizia che lega Akira, il protagonista, e Ryo: un professore universitario genio di sedici anni che cerca la causa della venuta dei demoni sulla terra (… detto così suona ridicolo, ma è un personaggio meraviglioso).

L’anime interroga lo spettatore sulla vera natura degli esseri umani, donandogli risposte impregnate di nichilismo e di sottile speranza che andrà a culminare in un finale che lascia ben poco spazio a quest’ultima. Sono davvero i demoni la minaccia che deve affrontare l’umanità o gli esseri umani stessi? Come scoprire chi è demone o chi non lo è? Possono la bontà e la fiducia degli umani superare l’isteria, la paura e la diffidenza che aleggia nel mondo? Devilman Crybaby non potrebbe essere più rilevante come al giorno d’oggi.

Il bene e il male. Il bianco e il nero che si scambiano i ruoli.

Ovviamente, una recensione su Devilman sarebbe inconcludente senza parlare della caratterizzazione dei personaggi (che, per inciso, ho trovato migliore nell’anime che nel manga). In dieci episodi, gli sceneggiatori sono riusciti a narrare l’epica storia di Go Nagai in una maniera che sembra essere più efficacie del manga stesso. Viene dato spazio a Miki Makimura, la cotta di Akira che frequenta il suo liceo e la sua casa, l’ambiguo Ryo viene dipinto con varie sfumature che riescono a descrivere il suo carattere in tutta la sua completezza, i rapper (aggiunta originale di Go Nagai) e le loro parole riescono ad amplicare l’atmosfera cupa e senza speranza che farà da padrona negli ultimi episodi di Devilman. Le scene di sesso e violenza esagerate all’ennesima potenza sono servite a descrivere gli istinti primordiali dei demoni che agiscono -all’apparenza- solo per appagare i proprio desideri. In conclusione, ho trovato Devilman un trionfo dall’inizio alla fine. Un piccolo gioiello con piccoli errori di direzione artistica che non influenzano minimamente sull’esperienza che regala questo anime.

Due parole sul finale: fantastico. Mi ha lasciato un vuoto dentro che solo Neon Genesis Evangelion è riuscito a regalarmi. La relazione tra Akira e Ryo è tra le più belle che io abbia mai visto in qualsiasi forma di media. Nel caso in cui decideste di imbarcarvi in questo viaggio: fate attenzione alle immagini con cui si apre l’episodio. Lo spettatore più attento rivelerà delle analogie con il finale che spiegheranno un retroscena molto importante su questa opera.

SPOILER:

Ryo si rivelerà essere l’angelo esiliato Satana (reincarnato dopo essere esiliato da Dio). Inconsapevolmente, ha guidato l’esercito di demoni contro l’umanità. Dopo aver ucciso l’amore di Akira (e tutti gli esseri imani ormai resi follia dalla paura), Miki Makimura, propone ad Akira di allearsi con lui e vivere in un mondo di soli demoni. Ryo, infatti, è innamorato di Akira.

Akira, ovviamente, rifiuta e decide di combattere contro Ryo-Satana. Akira recluta tutti i Devilmen del mondo (coloro che hanno i poteri dei demoni ma con l’anima umana ancora intatta). Lo scontro dell’Apocalisse ha inizio. Akira contro Satana. Bontà contro malvagità. Potenza divina contro rabbia e odio. Tuttavia… questa battaglia era decisa sin dall’inizio. Satana è troppo potente. Inconcepibile come si possa anche solo pensare di batterlo. Mentre demoni e Devilmen si massacrano tra di loro, Ryo e Akira giungono alla fine del loro scontro di amore e di odio. Tutto è silenzioso. Nessuno parla se non Ryo che è sdraiato su una spiaggia assieme al suo amico Akira.

Primo piano.

Vediamo solo i volti dei due.

Ryo spiega ad Akira perchè tutto è silenzioso: sono tutti morti- demoni, umani, devilmen. Sono solo loro. Ryo continua e dichiara i suoi sentimenti ad Akira. “L’amore non esiste o così credevo. Se non esiste l’amore e neanche la tristezza… perchè sto piangendo, Akira?” Il primo piano svanisce. La camera si allontana e rivela il cadavere di Akira diviso a metà. Satana ha vinto la battaglia. Stringe il cadavere di Akira a se e piange mentre Dio invia gli angeli a punire Satana per ciò che ha fatto e a creare una nuova vita in cui la storia viene ripetuta. Ancora. Ancora. E ancora. In un eterno loop con lo stesso finale. Satana uccide gli esseri umani, si innamora di Akira Fudo, si pente e ricrea il circolo. Che Dio lo faccia per punire Satana? Lo vuole punire perché ha scelto l’odio al posto dell’amore? Ryo prenderà mai il baton da Akira? E chi può dirlo. So solo che un finale del genere è perfetto per sintetizzare l’anima dell’umanità: siamo impegnati a cercare scontri e guerre inutili in cui non c’è mai un vincitore ma solo vinti.

Voto personale: Undici su dieci (caratterizzazione dei personaggi ottima; soundtrack indimenticabile; stile artistico originale; storia semi-banale che si trasforma gradualmente in un capolavoro).

Voto obiettivo: Otto su dieci (incertezze tecniche; disegni discutibili – soprattutto la caratterizzazione dei demoni; buchi di sceneggiatura; cambio di storia tra la fonte originale che convince in alcune parti ma fa un cattivo lavoro in altre. In poche parole: un capolavoro tecnico discutibile che non mina però l’intera esperienza.)

Holyland- la violenza che crea legami

Holyland è senza dubbio uno dei migliori manga che io abbia mai letto (subito dopo Berserk) ed è il numero uno per quanto riguarda le arti marziali. Kamishiro Yuu è uno studente del liceo (che sorpresa!)che è stato costretto ad abbandonare gli studi per i ripetuti atti di bullismo di cui è preda.

Diventa un NEET, una figura che sta diventando ormai tristemente nota in tutto il Giappone e in gran parte dei paesi occidentali. NEET è un acronimo di lingua inglese che significa: “Neither in Employment nor in Education or Training” (Persona, soprattutto di giovane età, che non ha né cerca un impiego e non frequenta una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale.)

Molto spesso queste persone, come nel caso di Kamishiro, vivono nelle case dei loro genitori, chiusi nelle loro camere e non escono quasi mai se non per assoluta necessità. Kamishiro vive passivamente preda delle voci nella sua testa, meditando costantemente il suicidio.

Però (c’è sempre un però, non è vero?) un giorno decide di reagire, imparando da autodidatta le nozioni base del pugilato nella sua camera grazie a un libro.

Nelle ore trascorre in solitudine nella sua camera, Kamishiro pratica i due pugni base del pugilato. Il jab (diretto mano sinistra); il cross (diretto mano destra). 5000 volte ogni giorno.

Kmaishiro resta chiuso in casa per più di un anno fino a quando non riesce a fare sue queste tecniche. Poi, si addentra nella sua personale Holyland: “la strada”.

Esce ogni notte negli oscuri vicoli di Tokyo per provare alle persone- e a se stesso- che lui ha ogni diritto di fare quello che vuole. Ben presto, si ritroverà preda della stessa persona che lo tormentava al liceo. Kamishiro riesce a tenergli testa, sfruttando il potere della combinazione base composta da jab e cross. Da qui inizia la leggenda del “cacciatore di teppisti”, un ragazzo che esce di notte per sconfiggere facilmente chiunque gli si pari davanti.

Da qui, inizia anche la trasformazione di Kamishiro, il quale incontrerà altri praticanti di arti marziali che si dedicano allo street-fighting e la sua continua evoluzione della sua tecnica di combattimento e della sua umanità.

Vi chiederete: “com’è possibile vincere uno scontro con due pugni?” La stragrande maggioranza delle persone non sa come combattere (come il tizio qui sopra). Osservate come carica il pugno in direzione di Kamishiro. Non c’è ragione per caricare il pugno all’indietro. Il sinistro e il destro sono i colpi più “diretti” per colpire l’avversario. Scaricare il peso di tutto il corpo sui tuoi pugni, essere veloce ed avere tempismo ha molto più senso che dare un colpo forte ma lento che lascia la tua guardia scoperta. Il manga è colmo di consigli pratici (e reali) su come gestire uno scontro da strada.

Kamishiro acquisterà sempre più fiducia in se stesso. Ma ha molto da imparare. Non ha gioco di gambe. Non sa come gestire una persona che sa utilizzare i calci. Ogni notte uscirà per le strade di Tokyo per trovare se stesso e diventare più forte. Il suo passato lo perseguita e sa che non troverà mai un suo posto nel mondo continuando a scappare dai suoi problemi. Nutrirà il rancore, l’odio e la rabbia dentro di lui fino a quando si sentirà finalmente al sicuro. Ma non può farlo da solo. Fortunatamente, nelle strade di Tokyo esistono anche persone decenti che lo aiuteranno a sviluppare la sua forza.

Boxing. Kickboxing. Judo. Karate. Full contact karate. Kendo. Wrestling. Le persone che hanno più prestigio nella strada sono gli artisti marziali.

Kamishiro sa che non può tirarsi più indietro. Il suo passato da vittima lo tormenta ogni notte e qualcosa dentro di lui sa che non potrà riposare in pace se non mettendosi costantemente alla prova. Ma Holyland è molto più di questo. Ogni persona che trova il suo posto nelle strade di Tokyo ha qualcosa da raccontare: un passato da cui cercano disperatamente di scappare rifugiandosi nell’uso della violenza. Persone che hanno abbandonato il liceo, che hanno avuto una perdita, che hanno un trauma irrecuperabile. Kamishiro non è troppo diverso dai suoi bulli, tormentati anch’essi da gravi traumi.

Holyland insegna che c’è un confine molto sottile tra preda e predatore dato che entrambi- a un certo punto della loro vita- ricopriranno entrambi i ruoli. Ma i legami che si formano grazie alla lotta restano. Kamishiro capisce che non è più solo e che non deve più esserlo. Il suo stile di combattimento misto diventerà l’unione di tutti gli stili che i suoi amici gli hanno insegnato. E, poco a poco, si lascerà alle spalle il passato, lì, nella terra santa in cui le bande giovanili si massacrano a mani nude.

Come Kamishiro, anche io sono entrato nel mondo delle arti marziali imparando il pugilato. Come lui, anche io ho qualcosa da dimostrare cercando di scappare da ciò che mi è accaduto prima. Grande esempio di Struggler: Kamishiro insegna che a volte bisogna combattere per se stessi e trasmettere la propria forza agli altri senza divenire preda del passato.

Ogni volta che perde, il senso di dimostrare qualcosa lo fa tornare in piedi. Non ha paura della sconfitta ma la accetta e va quasi a cercarla. Come dice la prima frase della sigla iniziale di Baki: “Voglio conoscere la sconfitta per il solo motivo di combattere”.

In conclusione (come scrivo sempre nei saggi in cui non ho idea di come concludere), Holyland ha il grande pregio di esplorare i traumi e le insicurezze del genere umano sotto la lente dello scontro fisico. In più, cosa non da poco per un manga, ha un tono realistico e le tecniche delle varie arti marziali vengono descritte con grande accuratezza senza drammi non necessari.

Kamishiro. Nel più cuore c’è spazio anche per te proprio accanto a Guts e Ryo.

Shamo: le arti marziali che uccidono

Ryo Narushima è uno studente modello con tutto ciò che un sedicenne potrebbe volere: ottimi voti, una famiglia perfetta, una condizione sociale agiata. Tutto questo, però, svanisce nel nulla quando decide di uccidere entrambi i genitori a coltellate.

Il motivo, chiederete? Nessuno.

Almeno all’apparenza.

Ryo viene condannato a spendere due anni della sua vita in prigione. Ryo non è proprio quello che si definirebbe un duro. Nonostante abbia ucciso i suoi genitori senza rimorso, la sua personalità sembra essere pacifica, accondiscendente e, almeno per il momento, debole.

Sin dal primo giorno diviene bersaglio di alcuni dei detenuti della prigione. Viene picchiato, deriso e violentato. Tuttavia, l’incontro con il detenuto Kurokawa (uno dei più grandi karateka del Giappone) cambia il destino di Ryo. Affascinato dal karate, il parricida dedicherà anima e corpo a un allenamento massacrante per diventare più forte e tenere testa al suo destino avverso. Fortificare il proprio corpo e renderlo un arma per sopravvivere. Un agnello che diventa un lupo. Al contrario della maggioranza dei manga, Shamo non ruota intorno a un personaggio positivo. Ryo non è animato da un sogno o dal desiderio di proteggere qualcuno. L’obiettivo di Ryo è quello di sopravvivere, di diventare ciò che più odia per potersi guadagnare il lusso di respirare un altro giorno. Ryo è solo. Completamente. Può solo affidarsi alle sua forza per continuare a vivere. Tutta la prigione è contro di lui. Si è fatto molti nemici. Nessuno vuole che l’assassino dei suoi genitori torni nella società e faranno di tutto per ucciderlo… esattamente come lui farà di tutto per rimanere in vita.

Contro ogni pronostico, Ryo riesce a rimanere in vita per due anni e ottiene la sua vendetta contro gli altri detenuti. Ora lo aspetta il mondo vero. Un timido agnello entra in una prigione per poi uscirne come una tigre. Che sia una sottile critica al sistema giudiziario nipponico? In ogni caso, Ryo è preda della sua incontenibile rabbia repressa che lo indirizza nel cuore pulsante della Yakuza. E da là… la sua altalenante personalità e la sua sete di sangue cambierà completamente le dinamiche della storia rendendo Ryo uno dei personaggi più negativi e complessi del mondo della narrativa.

Shamo è un manga differente da tutto ciò che abbia mai letto. Non vuole offrire soluzioni a problemi ma semplicemente dipingere la realtà della malavita giapponese.

Uccidere o essere uccisi. Perdere la propria umanità o perdere la propria vita. In poco più di trentaquattro volumi, Shamo racconta il punto di non ritorno dell’essere umano sotto una lente nichilistica e poco incline al lieto fine. Di sicuro, Ryo Narushima avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.

Ryo verso la metà dell’opera.

Chiunque abbia un vivo interesse per una storia con un personaggio negativo e chiunque sia interessato alle arti marziali, Shamo è una lettura d’obbligo. Uno dei pochi personaggi dei manga che deve lottare per ogni singolo privilegio. I personaggi secondari sono pochi ma ben descritti. L’attenzione cade inevitabilmente sulla solitudine di Ryo e di come quest’ultimo debba farsi forza da solo in una vita che gli offre ben poco spazio per respirare. Ryo è una versione ancora più negativa di Guts (difficile da immaginare, vero?) che deve combattere da solo.

Nel corso della narrazione, Ryo si avvicinerà a diversi stili di combattimento ed è impressionante il grado di realismo (come, a volte, il grado di surrealismo e di superficialità) con il quale alcune arti marziali sono descritte, primo fra tutti il karate.

Da appassionato e principiante della boxe e di MMA, sono rimasto deluso da come il pugilato sia stato trattato in maniera superficiale, ma immagino sia un gusto personale. Non potrò mai consigliare abbastanza questo manga. Non è facile essere da soli. Ryo: il prototipo di Struggler che lotta per il solo diritto di vivere.

My Hero Academia: cosa si è disposti a fare per realizzare il proprio sogno?

C’è chi sogna di dominare il mondo e chi dedica tutta la vita alla creazione di una spada. E se c’è un sogno a cui sacrificare tutti se stessi, c’è anche un sogno simile a una tempesta che spazza via migliaia di altri sogni. Non centra la classe, né lo status, e neppure l’età. Per quanto siano irrealizzabili, la gente ama i sogni. Il sogno ci dà forza e ci tormenta, ci fa vivere e ci uccide. E anche se ci abbandona, le sue ceneri rimangono sempre in fondo al cuore… fino alla morte. Se si nasce uomini, si dovrebbe desiderare una simile vita. Una vita da martiri spesa in nome di un dio chiamato sogno

Griffith

Devo essere sincero. Questo post è perlopiù ispirato dalla visione di My Hero Academia. Non parlerò qui della mia opinione sulla serie (bella… ma un filino sopravvalutata). Non cercherò di fare un parallelismo con Berserk: sarebbe più inutile di Sakura. Tuttavia, osservando Midoriya (Deku) dedicarsi ogni singolo giorno alla realizzazione del suo sogno, mi ha portato a riflettere per l’ennesima volta su cosa realmente significhi vivere per un sogno. Ora, non fraintendetemi: il tema della perseveranza, del duro lavoro, dei sogni, della redenzione e della crescita personale sono comuni all’ottanta percento dei manga. Risulterebbe impossibile non leggere anche solo un’opera all’apparenza superficiale come Dragon Ball senza percepire un desiderio continuo di “spingersi oltre il proprio limite“. Ma è proprio per la mia passione per i manga che il tema del sogno è talmente radicato in me da essere parte della mia filosofia.

Incominciamo con My Hero Academia: in un futuro vicino, la maggior parte della popolazione nasce con un “quirk” che gli permette di compiere azioni straordinarie. Tutti sognano di essere supereroi e, adesso, questo sogno può finalmente diventare realtà. Non ci è dato sapere perché ci sia stata questa improvvisa “esplosione” di supereroi, tuttavia è così. In questo mondo, un bambino vuole disperatamente essere come All-Might, il supereroe simbolo della giustizia… ma (c’è sempre un ma, non è vero?) il ragazzo in questione fa parte del venti percento della popolazione che è nata senza quirk. Senza poteri, allontanato dai suoi coetanei, vittima di bullismo, ossessionato da un qualcosa che è decisamente fuori dalla sua portata.

Midoriya, soprannominato “Deku” (inutile)

Tutto questo fino a quando non incontra finalmente il suo eroe, All Might, che riconosce il valore di Midoriya e gli “trasmette” il potere “One for All”… tuttavia, questo potere è ben differente dal morso del ragno di Peter Parker o il bagno nei rifiuti radioattivi di Bruce Banner: infatti, il giovane Midoriya, dovrà sostenere un duro programma di allenamento che metterà a dura prova la sua mente e il suo corpo, rendendolo così degno di ereditare il One For All.

Come dice All Might stesso: “C’è una grande differenza tra chi nasce con un’abilità e chi si fa il culo per ottenerla…” (più o meno il senso è quello). Ed è così che nasce la storia di Midoriya e di come abbia completamente cambiato se stesso per arrivare più vicino al proprio sogno. Ho letto molte critiche riguardo questo aspetto. A quanto pare, My Hero Academia, è percepita da alcuni come una favola irrealistica che dipinge una realtà che potrebbe mai accadere. Non tutti coloro che seguono i propri sogni, infatti, li realizzerebbero al contrario di quanto questo anime insegni.

Midoriya (quello che fa fatica a sollevare 30 chili di panca piana) si spacca di brutto cercando di diventare come il suo eroe, All Might (a destra)

Non è questo il punto di My Hero Academia (neanche quello di Naruto, Dragon Ball, Baki…). Il punto è che tutti i sogni sono alla portata di chiunque. Tuttavia, pochi sono disposti a sputare sangue per ottenerli. Pochi sono disposti a impazzire e ad abbandonare la propria sanità mentale per raggiungere quel punto di non ritorno in cui la maggior parte delle persone semplicemente abbandona. Questo è qualcosa che vedo ogni giorno.

In palestra, quando le persone cercano di attenersi a quella ridicola lista di buoni propositi che hanno creato due ore prima la mezzanotte del capodanno e comprano una di quelle “membership” bimensili foderate in plastica scintillanti destinate a prendere polvere nei portafogli. Negli studi, quando si preferisce Netflix ai libri per poi rischiare di perdere l’anno. E così via. Il punto, quindi, è che i sogni sono sì alla portata di tutti ma sono talmente poche le persone che sono disposte ad annullarsi per seguire il proprio sogno che è praticamente dire lo stesso di: “Non tutti possono fare tutto”. Ovviamente, chiunque può avere i propri momenti di debolezza.

Sempre per citare All Might: “Un vero eroe non è quello senza debolezza. Un vero eroe è colui che agisce e prende una posizione combattendo le proprie debolezze.” (Più o meno. Leggo in inglese perciò le mie traduzioni non sono fedeli al cento per cento.)

Deku e All Might: anche loro sono degli ottimi esempi di Strugglers.

Torniamo all’inizio del post. Ho scelto una frase emblematica di uno dei personaggi più odiati del mondo della narrazione. Griffith: il motivo per cui Guts ha incominciato il suo viaggio.

SPOILERS PESANTI SU BERSERK:

Colui che ha sacrificato l’intera Squadra dei Falchi per la realizzazione del suo sogno. Il super-uomo descritto da Nietzsche: libero da ogni morale, libero da ogni stupida legge terrestre degli uomini. Il suo sogno sembra davvero così grande da spazzare via ogni cosa che incontra. Sembra la personificazione androgina del protagonista di Delitto e Castigo. Dato che questo voleva essere un post-lampo (come una piccola Blitzkrieg), non mi soffermerò sull’analisi di questo personaggio tanto complesso quanto frainteso. Per tutti coloro familiari con l’opera di Berserk, vi chiedo di essere sinceri con voi stessi: non avreste fatto le stesse azioni di Griffith ai tempi dell’Eclissi? (Caska a parte) Stiamo parlando di un individuo completamente distrutto (mentalmente per la perdita di Guts, fisicamente per un anno ininterrotto di tortura). Il sogno per cui viveva è evaporato come neve sotto il sole. Stiamo parlando di una persona che ha persino contemplato il suicidio pur di non essere un peso per la Squadra dei Falchi. Fino a quando il behelit appare di nuovo dandogli nuova speranza.

Se non avesse sacrificato i suoi amici, la morte di tutti coloro uccisi nei campi di battaglia sotto il vessillo del sogno di Griffith non avrebbero avuto alcun senso. Anche lui ha dovuto scalare la gerarchia sociale per arrivare dove era arrivato. Anche lui, come Deku, ha sputato sangue (letteralmente) per arrivare dov’era. Un sogno che era diventato realtà per poi perderlo… per poi acquisirlo nuovamente. Ad essere sincero, dubito avrei avuto il coraggio di Griffith di sacrificare i miei amici, ma non me la sento di condannarlo. La sua scelta può di sicuro essere discutibile, ma ha senso e posso comprenderla molto bene.

Detto questo, dal nome del sito, penso si possa evincere con facilità chi sia il mio personaggio preferito nello yin e yang che prendono il nome di Griffith e Guts.

P.S: Questo signore, JaxBlade, gestisce un interessante canale di Youtube in cui approfondisce per filo e per segno ogni tipo di allenamento introdotto dalla maggior parte degli anime. In questo video, ad esempio, spiega come allenarsi come Deku. Ogni persona che si è sentita ispirata ad allenarsi guardando gli anime dovrebbe ringraziare JaxBlade.

The Black Swordsman- il potere del passato

Saluti, fellow strugglers. Incominciamo con un piccolo riassunto della trama fino adesso: un gigante vestito di nero è in viaggio per ottenere la sua vendetta contro qualcosa che il lettore comincia a sospettare che non sia interamente umano. Assistiamo all’immensa forza dello spadaccino nero contro una ventina di uomini. A fargli compagnia, l’elfo Puck che ha liberato dalla prigionia di alcuni mercenari. Tuttavia Guts è stato rinchiuso nella prigione di una fortezza per aver dato noia a un potente lord. Come detto precedentemente, voglio focalizzarmi sull’analisi dei personaggi piuttosto che entrare nel dettaglio della narrazione di Berserk. Perciò, perdonatemi se salto alcuni momenti: l’opera è lunga…e incompleta. Fellow Strugglers, bentornati sul Game of Thrones dei manga.

Il marchio del sacrificio e il passato di cui Guts è letteralmente preda

Nonostante il Guerriero Nero sia solo il primo capitolo di una lunghissima serie è incredibile quanto ci sia da dire. D’altronde, i primi concetti vengono introdotti e neanche Miura stesso aveva una precisa idea di dove sarebbe andato a parare. Ma procediamo con ordine. In questa immagine notiamo per la prima volta un primo piano del “marchio del sacrificio”, un simbolo inciso nella carne di Guts che sembra sanguinare ogni volta che un apostolo si trova nei paraggi. Un simbolo che rimanda direttamente al motivo per cui Guts ha intrapreso un viaggio dal quale, con ogni probabilità, non potrà fare più ritorno (ritorno da dove, poi?). Guts, aiutato da Puck, riesce ad uscire dalla prigione e a combattere l’apostolo che pare abbia una forza sovrumana e un aspetto tutt’altro che amichevole. Guts riesce a prevalere con la sua rabbia e la sua determinazione.

“Dove sono i cinque della mano di Dio?” chiede all’apostolo morente con un sorriso da psicopatico mentre si lecca il sangue dalle labbra. Non c’è risposta mentre l’apostolo muore in un lago di sangue tra le risate di Guts. Qui, l’elfo Puck dà prova di una delle abilità degli elfi: riesce a percepire le emozioni degli umani. Nel caso di Guts: rabbia, tristezza, paura e ancora rabbia. Il contrasto è così forte da far piangere Puck. Si rende conto che ciò che ha reso Guts un tale mostro di cinismo, ira e volontà è racchiuso nel suo passato e nel marchio che porta sul collo. La stessa volontà, determinazione e cinismo che accomuna Griffith: la stessa faccia della medaglia di Guts.

Lo spadaccino nero si lascia alle spalle una nuova scia di cadaveri e si appresta a trovare un posto per addormentarsi. Eppure, come presto si scoprirà, non è semplice per chi è segnato dal marchio del sacrificio dormire sonno tranquilli. Gli incubus,spiriti maligni che provocano degli incubi nelle persone per nutrirsi delle loro paure, lo perseguitano.

Il passato di Guts gli impedisce di vivere una vita normale persino “fisicamente”. Il tema di convivere con i mostri del proprio passato è onnipresente in Berserk. Come Donovan avrà sempre un posto speciale nei peggiori incubi (materiali e non) di ‘Guts’ anche Griffith, l’Eclissi, il senso di perdita (Caska), inadeguatezza (non essere riuscito a salvare la Banda dei Falchi), tristezza sono talmente radicati in Guts da uscire dai confini della sua mente. Come il movimento letterario dei romantici faceva coincidere le condizioni atmosferiche con lo stato d’animo dei loro protagonisti (Goethe faceva piovere per esasperare la psiche di Werter), Berserk fa qualcosa di simile spingendosi oltre. Infatti, lo stato d’animo di Guts ‘distrugge’ i limiti del suo pensiero riversandosi nella sua realtà. Probabilmente il paragone con i romantici è stato azzardato. Piuttosto, direi che l’espressionismo è ciò che contraddistingue Berserk. Ad esempio, nel film Das Cabinett des Doctor Caligari, la psiche del protagonista viene riversata nell’ambiente fisico.

Tutto appare distorto come la sottile psiche del protagonista.
La mano di Dio. God Hand. Il mondo opposto alla realtà riflette le allucinazioni di Guts e il suo senso di smarrimento. Al contrario dell’espressionismo, però, in Berserk l’elemento di interiorità ed esteriorità dei personaggi e dei loro sentimenti diventa parte della trama.

Dovrebbe suscitare poca sorpresa che gli ambienti riflettano le paranoie dei protagonisti. Messa sotto la lente d’ingrandimento, Berserk è una grande introspezione dei due personaggi principali: Guts e Griffith. Mi dilungherò su quest’ultimo in seguito spendendo qualche parola sulla Golden Age, sull’infanzia di Guts e su come il suo passato e i suoi traumi abbiano plasmato il carattere forte, distaccato e all’apparenza freddo che abbiamo imparato a riconoscere nei primi due capitoli di Berserk. Da preda a predatore a preda a predatore. L’evoluzione di Guts sembra oscillare sempre tra queste due definizioni. Il senso di confusione, angoscia e traumi che lo accompagnano sin dai tempi dello stupro di Donovan si sono poi acuiti con l’Eclisse e il sacrificio perpetrato da Griffith. Ho sentito spesso dire come i primi capitoli di Berserk descrivano male il carattere di Guts rendendolo un teenager ribelle e negativo nei confronti della vita. Sono d’accordo in parte. I primi capitoli, se presi singolarmente, non riflettono ancora il capolavoro che prenderà il nome di Berserk. Non parlo solo della scrittura, ma anche- e soprattutto- dei disegni. Tuttavia, se si guarda l’opera come un insieme, i primi capitoli riguardanti il Black Swordsman appaiono come una grande rivelazione del personaggio di Guts e di come ripeta mentalmente a se stesso il mantra “debolezza è sinonimo di morte”: non vuole lasciare che si ripeta una nuova Eclissi. Non vuole soccombere ancora.

La filosofia del primo Guts. “Andiamo, suicidati,” enuncia semplicemente lo spadaccino nero in vista della principessa in lacrime che ha salvato da un apostolo.

Piccola considerazione personale: credo che frasi come queste elevino Berserk non solo come uno dei migliori fumetti mai creati, ma anche come una delle migliore guide di self-help che esistano al mondo. La versione semplicistica del detto, “Questo è un mondo crudele e ti ucciderà se glielo permetti,” non si rivela così troppo semplicistica in fin dei conti. La debolezza non è una scusa e porterà solo a noie. Non dico di essere come Guts, ma, nel corso dell’opera, scopriremo come anche solo metà delle cose che ha passato lo spadaccino nero avrebbero portato al suicidio una persona normale. Guts è la personificazione della forza e di tutti coloro che combattono cause perse. Credo di averlo detto già un paio di volte, ma penso che noi tutti dovremmo imparare di più da lui. Da quando lo conosco e faccio parte del suo viaggio, mi faccio spesso forza pensando: “Se ci riesce lui, perché non dovrei riuscirci io?” E prima che mi diciate che è un personaggio finto (vero), che il suo carattere è ‘scritto’ per non arrendersi mai (vero) e che, in ogni caso, non ho neanche sperimentato un quarto delle sue sofferenze (vero, vero, vero)…. rispondo che c’è sempre da imparare. Non importa se un mondo non esiste o se i personaggi che lo animano sono dei disegni di carta. Si può prendere spunto da qualsiasi immagine per migliorare la propria vita.

Un esempio? Quest’uomo ha migliorato la propria salute mentale e fisica ispirato dall’allenamento di Saitama in One Punch Man (100 flessioni!100 addominali!100 squat! 10 chilometri di corsa! Ogni singolo giorno!)

http://digg.com/2019/train-one-punch-man

Ho scritto nella mia introduzione che avrei spiegato nel corso di questo blog di come gli anime e i manga mi hanno aiutato a prendere una posizione nella mia vita. L’allenamento fisico è stata la chiave di volta per lasciare il me del passato (quello con il marchio del sacrificio, per intenderci) alle spalle. Ma immagino che questa sia la storia per un’altra volta.

Siate come Guts, Strugglers! Se lui può continuare il suo viaggio, possiamo farlo anche noi.

The Black Swordsman- Inizio

Forse sei un veterano dell’odissea di Miura che aspetta dall’epoca di Big Boss lo scontro finale tra Guts e Griffith o, forse, stai per muovere timidamente i passi verso Berserk perché hai sentito dire da qualche parte che ha ispirato Dark Souls. In ogni caso, addentriamoci dentro la fitta foresta narrativa che risponde al nome di Berserk.

Letteralmente (meglio graficamente) l’inizio del manga. Il nostro eroe, il Berserk, Struggler, Guts, Spadaccino nero (a destra) trucida un demone o, per meglio dire, un apostolo, che un attimo prima aveva le sembianze di una donna. Capii subito di trovarmi di fronte a un capolavoro.

Berserk incomincia in medias res. Non sappiamo nulla del giovane guerriero dagli abiti neri che attraversa le porte dei numerosi castelli dal sapore medioevale in compagnia della sua spada. Beh… non proprio una spada. Quella cosa era troppo grande per essere una spada. Era più simile a un ammasso di metallo, tanto pesante quanto lo era l’uomo che lo portava. In questa prima parte, però, dimenticatevi delle risposte pronte. Per fare un parallelismo con una delle mie opere letterarie preferite, La Torre Nera, i primi capitoli non sono altro che un assaggio dello stile dell’autore che preferisce introdurre il lettore in un universo narrativo di ampio respiro senza però annoiare con dettagli che verranno scoperti con calma. Più avanti. Lungi da me rovinare l’esperienza di leggere per la prima volta Berserk (niente spoiler ovviamente), tuttavia è chiaro sin dalle prime battute dello spadaccino nero che il nostro eroe è in cerca di vendetta. Contro chi? Contro cosa? Calma. Prima di rispondere anche solo a una di queste domande, è necessario accompagnare Guts in un piccolo (immenso) bagno di sangue.

Ecco un piccolo aneddoto che vi sento di raccontarvi: Guts entra in una taverna; dei banditi si divertono a torturate un elfo (molto kawaii); Guts trucida i banditi assoldati da un politico di spicco; le guardie della città arrivano per fermare Guts; Guts trucida le guardie della città- una decina- e finisce prigioniero. L’elfo cerca di liberarlo ma Guts rifiuta perchè annoiato dalla sola presenza di un essere tanto debole da non riuscire a difendersi.

Un’immagine vale più di mille parole

Da queste prime scene possiamo capire in largo anticipo i temi dell’opera di Berserk. Violenza. Traumi. Sesso. Innocenza. Forza. Guts si inoltra senza paura in un mondo dominato da un’atmosfera ostile, malvagia e senza pietà per coloro che non possiedono la forza di combattere. Il fatto che abbia salvato Puck, l’elfo che diverrà un suo compagno di viaggio, dimostra che il suo animo non è ancora completamente corrotto dal suo innominabile passato e dal senso di vendetta che anima ogni fibra del suo corpo. Tuttavia, siamo alla presenza di un uomo forte ma completamente distaccato dalla vita. Guts ha chiuso il suo cuore a doppia mandata dentro una gabbia di cinismo e disprezzo.

“Chi muore in una battaglia che non gli appartiene non sarebbe mai dovuto nascere…” (traduzione ufficiale manga italiano)
A sinistra, l’elfo Puck

Ma, come ho già detto, non tutto è perduto. Il suo flebile rapporto con Puck introduce un lato del suo carattere che verrà ripreso ampiamente nei capitoli della Golden Age: Guts è, infatti, un protettore. Nonostante Guts odi ammetterlo, (probabilmente… non sono suo amico) proteggere e vegliare sulle persone che non possono farlo sarà un legame che verrà difficilmente meno nella sua travagliata relazione con Caska. Nonostante Guts cerchi di allontanare la compagnia di Puck con ogni mezzo, i due si ritroveranno compagni nella truculenta caccia agli apostoli che sono in qualche modo legati al passato dello spadaccino nero. Apostoli… persino dei suoi nemici si sa ben poco se non che abbiano una forma demoniaca simile a questa.

Tuttavia, il vero nemico di Guts è ben più temibile di questi mostri. Girovagando per le Midlands, le terre dove la storia si svolge, il profilo di Guts acquisirà sempre più sfumature fino a culminare con l’incontro tanto atteso con il suo nemico giurato. Il falco delle tenebre. Griffith. La nemesi di Guts. Il Satana di Akira Fudo. Il Dio Brando di Jotaro Kujo. Membro di un gruppo di divinità chiamate con il nome di “God-hand”, la mano di Dio. Ma è ancora presto per raccontare nel dettaglio la storia della volontà e della forza di un uomo contro il destino più atroce e orribile che si possa immaginare.

Per il momento, ecco quel che sappiamo dello spadaccino nero:

Una protesi che funge da cannone. Vestiti neri quasi quanto la sua anima. Un’abilità con la spada fuori dal comune: il guerriero nero è capace di uccidere un gruppo di cento uomini con relativa semplicità. Un dettaglio sul quale vorrei soffermarmi: come avrete sicuramente notato, l’occhio destro di Guts è chiuso, accecato. Il volto serio, arrabbiato e profondamente provato dalla vita è deturpato da un occhio che (come avremo modo di poter leggere più avanti nella saga) rimane chiuso al presente, eterna memoria di un passato dal quale cerca disperatamente di sfuggire. Un occhio che non viene mostrato aperto e bianco ma chiuso con tale forza da risultare una piccola fessura nera. D’altronde il nero è un colore estremamente simbolico per Guts: rappresenta l’assenza del colore e della vita, un chiaro segno caratteristico della presenza della morte di Guts sin dall’inizio della Golden Age. Il pellegrino vestito di nero, lo spadaccino nero la cui sola presenza sembra attirare i demoni del suo passato che attanagliano il suo presente e il suo futuro. Simile a Violence Jack. Simile, anche, al crociato incappucciato Batman. Lo spadaccino nero: un uomo costretto a diventare demone per sconfiggere i suoi nemici. Il falco bianco divenuto ben presto il falco delle tenebre come per rimarcare il legame indissolubile che lega Guts e Griffith.

“Spero per te che tu non sia un apostolo.”

Nel prossimo articolo, mi soffermerò brevemente sull’importanza delle azioni del Guts del passato (colui che non abbiamo ancora conosciuto) e come esse si ripercuotono nell’universo magnificamente illustrato da Miura. Incubus… Incubi che tormentano l’eroe scelto come agnello sacrificale da un potere molto più in alto di lui.

A presto, Strugglers.