La mia ultima visione di Evangelion risale a quasi tre anni fa. Non ricordo alla perfezione i dettagli, la storia e i riferimenti esoterici e biblici. La cosa che mi è rimasta più impressa, oltre alla mia amata waifu Rei Ayanami, è stato il protagonista Shinji Ikari: un eterno indeciso, introverso, schivo e con un principio di asocialità. Shinji rappresenta l’otaku medio giapponese che sfugge dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia. Come biasimarlo? Shinji è un quattordicenne abbandonato dal padre poiché considerato “inutile”. La morte della madre non ha di certo aiutato nella costruzione del suo carattere. Essere moralmente obbligato a pilotare quello che è all’apparenza un robot e avere il destino dell’umanità sulle spalle sarebbe troppo per tutti.
Non starò qui a parlare dell’affascinante quanto complessa trama di Evangelion, della splendida caratterizzazione psicologica dei personaggi, delle metafore e delle splendide animazioni. Ci vorrebbe un blog a tema o una serie di dieci video su youtube da un’ora ciascuno. Parlerò solo di due dei personaggi fittizi che amo di più in assoluto: Shinji Ikari e Guts. Non potevo scegliere due persone più differenti.
Ho sempre avuto molto in comune con Shinji sin da quando ero un bambino. Ho evitato, ed evito tutt’ora, di intrattenere relazioni sociali oltre lo stretto necessario. La folla mi mette a disagio. Vado al cinema da solo. Vado in palestra da solo. Scrivo da solo. Ho sempre pensato a ciò come un motivo di grade orgoglio. Mi piace la solitudine e preferisco starmene per conto mio. Non la vivo male come cosa. Ho un paio di amici e una ragazza. Sto a posto da quel punto di vista. O almeno così credevo.
Un paio di eventi mi hanno costretto a riconsiderare tutto ciò. Spinto dall’idea del successo, del guadagno, ho scelto di iscrivermi a un corso per imparare i concetti di compra-vendita e diventare un broker. L’immagine che avevo in mente (Leonardo Di Caprio su uno yacht che lancia soldi ai federali come in The Wolf of Wall Street) non era molto calzante con la realtà che mi si presentava davanti: un ufficio pieno di persone che cerca di convincere sconosciuti al telefono per comprare i propri pacchetti azionari.
Più di un problema
Le lezioni erano utili e motivanti. L’ufficio, al contrario, era soffocante. Non ero abituato a stare a contatto con troppe persone. Il solo atto di scegliere le persone dalle pagine gialle per rifilargli un discorso imparato a memoria mi dava dolore fisico. Small talk con i colleghi? Fantascienza. Da lì ho cominciato a sospettare di avere qualche problema. Un problema che mi trascino sin dall’infanzia e che non ho mai avuto modo di risolvere: il contatto umano. Questo è accaduto un anno fa. Ora ho un lavoro in una branca che mi piace e che, soprattutto, si svolge in smart working da remoto. Posso mascherarlo quanto voglio ma, un giorno, tornerà a perseguitarmi. Sono grato di aver lasciato quel posto. Ma sono anche grato dalle conclusioni che ne ho tratto.
E questo ci porta a Guts. Il guerriero nero (una figura chiave in queste pagine) è probabilmente l’antitesi di Shinji. Anche lui marchiato da traumi infantili, ben peggiori di quelli Shinji, ha trovato nella resilienza e nella forza di carattere il modo per sopravvivere, affrontando ogni sfida che gli si pari davanti. Non importa quanto essa possa sembrare impossibile (e alcune lo sono veramente): Guts applica i principi della leadership tanto cara agli imprenditori e sceglie di andare contro la corrente del destino per raggiungere il suo lieto fine. Guts è forse una delle figure a cui mi sono ispirato di più in questi anni per la crescita personale. Ma andare in palestra e conciliarla con il proprio lavoro non è abbastanza per svilupparsi come individuo.
Non è neanche lontanamente abbastanza.
Come Shinji, anche io decido di privarmi delle interazioni sociali per paura di farmi del male. Se ti privi di tutto, in fin dei conti, non ti succede nulla: non c’è dolore ma neanche crescita. Ma questo è un approccio completamente sbagliato che non porta a nulla se non ad avere rimpianti. E ciò non si riflette solo sui rapporti sociali ma anche sui propri obiettivi. Fortunatamente ho ritrovato una mia routine e sono di nuovo al lavoro. Non intendo il mio lavoro principale ma quello che mi porterà alla vita che voglio veramente. Tutto sommato, sono fiducioso. Sono sulla strada giusta e il tempo è dalla mia parte. Sono ancora in tempo per diventare Nathan Drake.