Da Shinji Ikari a Guts: una riflessione

La mia ultima visione di Evangelion risale a quasi tre anni fa. Non ricordo alla perfezione i dettagli, la storia e i riferimenti esoterici e biblici. La cosa che mi è rimasta più impressa, oltre alla mia amata waifu Rei Ayanami, è stato il protagonista Shinji Ikari: un eterno indeciso, introverso, schivo e con un principio di asocialità. Shinji rappresenta l’otaku medio giapponese che sfugge dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia. Come biasimarlo? Shinji è un quattordicenne abbandonato dal padre poiché considerato “inutile”. La morte della madre non ha di certo aiutato nella costruzione del suo carattere. Essere moralmente obbligato a pilotare quello che è all’apparenza un robot e avere il destino dell’umanità sulle spalle sarebbe troppo per tutti.

Non starò qui a parlare dell’affascinante quanto complessa trama di Evangelion, della splendida caratterizzazione psicologica dei personaggi, delle metafore e delle splendide animazioni. Ci vorrebbe un blog a tema o una serie di dieci video su youtube da un’ora ciascuno. Parlerò solo di due dei personaggi fittizi che amo di più in assoluto: Shinji Ikari e Guts. Non potevo scegliere due persone più differenti.

Ho sempre avuto molto in comune con Shinji sin da quando ero un bambino. Ho evitato, ed evito tutt’ora, di intrattenere relazioni sociali oltre lo stretto necessario. La folla mi mette a disagio. Vado al cinema da solo. Vado in palestra da solo. Scrivo da solo.  Ho sempre pensato a ciò come un motivo di grade orgoglio. Mi piace la solitudine e preferisco starmene per conto mio. Non la vivo male come cosa. Ho un paio di amici e una ragazza. Sto a posto da quel punto di vista. O almeno così credevo.

Un paio di eventi mi hanno costretto a riconsiderare tutto ciò. Spinto dall’idea del successo, del guadagno, ho scelto di iscrivermi a un corso per imparare i concetti di compra-vendita e diventare un broker. L’immagine che avevo in mente (Leonardo Di Caprio su uno yacht che lancia soldi ai federali come in The Wolf of Wall Street) non era molto calzante con la realtà che mi si presentava davanti: un ufficio pieno di persone che cerca di convincere sconosciuti al telefono per comprare i propri pacchetti azionari.

Più di un problema

 Le lezioni erano utili e motivanti. L’ufficio, al contrario, era soffocante. Non ero abituato a stare a contatto con troppe persone. Il solo atto di scegliere le persone dalle pagine gialle per rifilargli un discorso imparato a memoria mi dava dolore fisico. Small talk con i colleghi? Fantascienza. Da lì ho cominciato a sospettare di avere qualche problema. Un problema che mi trascino sin dall’infanzia e che non ho mai avuto modo di risolvere: il contatto umano. Questo è accaduto un anno fa. Ora ho un lavoro in una branca che mi piace e che, soprattutto, si svolge in smart working da remoto. Posso mascherarlo quanto voglio ma, un giorno, tornerà a perseguitarmi. Sono grato di aver lasciato quel posto. Ma sono anche grato dalle conclusioni che ne ho tratto.

E questo ci porta a Guts. Il guerriero nero (una figura chiave in queste pagine) è probabilmente l’antitesi di Shinji. Anche lui marchiato da traumi infantili, ben peggiori di quelli Shinji, ha trovato nella resilienza e nella forza di carattere il modo per sopravvivere, affrontando ogni sfida che gli si pari davanti. Non importa quanto essa possa sembrare impossibile (e alcune lo sono veramente): Guts applica i principi della leadership tanto cara agli imprenditori e sceglie di andare contro la corrente del destino per raggiungere il suo lieto fine. Guts è forse una delle figure a cui mi sono ispirato di più in questi anni per la crescita personale. Ma andare in palestra e conciliarla con il proprio lavoro non è abbastanza per svilupparsi come individuo.

Non è neanche lontanamente abbastanza.

Come Shinji, anche io decido di privarmi delle interazioni sociali per paura di farmi del male. Se ti privi di tutto, in fin dei conti, non ti succede nulla: non c’è dolore ma neanche crescita. Ma questo è un approccio completamente sbagliato che non porta a nulla se non ad avere rimpianti. E ciò non si riflette solo sui rapporti sociali ma anche sui propri obiettivi. Fortunatamente ho ritrovato una mia routine e sono di nuovo al lavoro. Non intendo il mio lavoro principale ma quello che mi porterà alla vita che voglio veramente.  Tutto sommato, sono fiducioso. Sono sulla strada giusta e il tempo è dalla mia parte. Sono ancora in tempo per diventare Nathan Drake.

Vinland Saga, perdono o odio?

È davvero possibile cambiare come persona? Può un essere animato da puro odio e vendetta diventare un pacifista? Vinland Saga è stata una piacevole sorpresa. Dopo la quinta visione di The Northman avevo sete di storie di vendetta. Uno dei primi risultati su Google è stato Vinland Saga, un manga ambientato nell’era dei vichinghi. La trama era tanto semplice quanto quella di The Northman. A uccide B e C cerca vendetta per B con il chiaro intento di uccidere A. Non è un caso se la maggior parte delle storie che hanno per protagonisti i vichinghi hanno come tema il regolamento dei conti. Una delle divinità più importanti è rappresentata da Víðarr che incarna il concetto stesso di vendetta.

“Fra cespugli cresce, ed erba alta,

la terra di Viðarr, e fra boscaglie;

là si farà il fanciullo, a dorso di cavallo, abile,

per vendicare il Padre.”

(Dal Canzoniere Eddico)

Il dio Víðarr prenderà parte al Ragnarǫk, la fine del mondo, e il suo compito sarà quello di vendicare il padre Odino. Non esiste nulla come la vendetta per salvare il proprio onore e il proprio ego. Ma la vendetta non è solo un qualcosa di interamente negativo. Fare del male a coloro che hanno fatto del male alla fin dei conti non è altro che giustizia. Temere una rappresaglia per aver commesso un’ingiustizia ha altresì la funzione di stroncare un crimine prima che esso possa nascere.

Se non si pagasse per i reati commessi, quanti di noi si macchierebbero delle colpe più gravi? Sospetto in molti. E se si parla di pagare per un torto subito, il concetto di “perdono” non sarebbe forse un affronto per le vittime? Come potrebbe essere possibile perdonare qualcuno che ha recato una grave offesa a un proprio caro? Un furto, una violenza, un’umiliazione, un omicidio? Si potrebbe controbattere che il vecchio e caro concetto di “occhio per occhio” possa portare solo più disperazione e odio, il quale porterebbe a una nuova rappresaglia, in un ciclo di vendetta senza fine. Si deve essere davvero delle persone incredibilmente forti (o incredibilmente deboli) per lasciare le proprie fantasie di vendetta e concentrarsi sul futuro.

Questo è l’enigma di Thorfinn, il quale ha visto il padre morire per mano di un mercenario senza alcun motivo apparente. Da bambino sorridente e amabile, Thorfinn lascia che la rabbia e l’odio prendano il sopravvento e medita vendetta. È solo un bambino di sei anni ma comincia il suo allenamento. Askeladd, l’assassino di suo padre, vedendo del potenziale in lui, gli fa una proposta: unirsi al suo esercito, dimostrare il proprio valore in battaglia, e guadagnarsi il diritto di affrontarlo in un duello per vendicare suo padre. Perché Thorfinn non intende tagliare la gola ad Askeladd nel sonno. Non sarebbe onorevole: deve vendicare suo padre vincendo onestamente in un duello. Ed è così che il giovane Thorfinn inizia il suo apprendistato sotto il comando dell’assassino del padre.

“Il più forte vive e il più debole muore” diventa il suo nuovo mantra e agisce di conseguenza, unendosi ai Danesi e razziando le città della Gran Bretagna. Fino a quando, per una circostanza fortuita, il suo desiderio di vendetta gli viene rubato. Ciò lo fa diventare un guscio vuoto. Senza vendetta, Thorfinn non è nulla. Qui inizia il suo cammino verso la guarigione, ma non è mai interamente possibile sfuggire dal passato (un tema molto caro anche all’ultimo God of War che non a caso tratta della mitologia norrena). Forse è impossibile essere dei non violenti in un mondo del genere. Un manga assolutamente consigliato che si avvicina all’ambiguità morale di Berserk e Vagabond.

Thorfinn di Vinland Saga, Mushashi di Vagabond e Guts di Berserk intorno a un fuoco parlando delle proprie cicatrici. Grazie a chiunque abbia creato questo video (The MMV Maker).

Guts vs Griffith, Devilman vs Satan, battaglie perse e scendere a compromessi

Uno dei motivi principali per cui adoro Guts come personaggio è il fatto che rappresenti l’incarnazione della persevaranza e della forza di volontà umana contro un destino crudele e ingiusto.

Guts si scontra letteralmente contro una divinità maligna e indifferente al genere umano. Sta combattendo contro la casualità soffrendo ogni singolo giorno per avere il diritto di respirare. Ho riflettuto a lungo se la battaglia di Guts abbia senso o meno. Può un essere umano nuotare realmente contro corrente e prevalere nei confronti di un essere superiore? Si può combattere contro il freddo giudizio della casualità? Si può davvero vincere in una situazione disperata e senza via d’uscita?

Il fatto è che la battaglia di Guts (almeno per me) è già persa in partenza. Non può vincere: è solo un uomo contro il volere di esseri divini che sorvegliano il flusso del mondo.

La sua battaglia personale è nobile o stupida? Combattere e porsi un obiettivo al di là delle proprie capacità ha senso o solo uno spreco di tempo? Il personaggio dello ‘struggler’ che fatica ad avanzare e combatte una battaglia che non può essere vinta è fonte di ispirazione o una tragedia?

Difficile dare una risposta.

Stesso discorso vale per Devilman e il suo scontro contro Satana. L’umano Akira Fudo (nonostante abbia i poteri di Amon) non ha alcuna speranza di vincere contro Satana, l’angelo caduto. Semplicemente non è possibile. Eppure, Devilman combatte lo stesso per vendicare i torti subiti nonostante abbia avuto l’opportunità di unirsi a Satana.

Una parte di me crede che sia inutile combattere una battaglia persa. Il sogno (per quanto bello possa essere) spesso non combacia con la realtà e non ci si può fare nulla al riguardo. Non importa che gli anime dicano il contrario. Ci sono cose che non si possono fare. Provarci mi renderebbe una persona caparbia o folle?

Devilma contro Satana

A mio parere mi renderebbe entrambe le cose. I miei eroi personali della finzione (e della realtà) sono coloro che si sono misurati in sfide più grandi di loro e hanno vinto… o perso. Anche se hanno perso, però, hanno avuto il coraggio di accettare una sfida che avrebbe potuto cambiare loro la vita. Non è forse meglio tentare e fallire con la consapevolezza di aver puntato al cielo che non tentare e basta? Non è forse meglio puntare tutto su un progetto senza accettare un singolo compromesso?

Devilman: una guerra persa in partenza

In teoria suona bene… ma in pratica? Viviamo in un mondo reale in cui bisogna trovare un modo per sopravvivere. Il compromesso è d’obbligo persino per le persone che hanno avuto la fortuna (o, per meglio dire, l’abilità) di rendere la propria visione una realtà. Ed è per questo che accettare compromessi mantenendo la propria visione e il proprio sogno come punto focale non è una dichiarazione di sconfitta ma semplicemente un momento di passaggio. Per rendere possibile l’impossibile, a volte, è necessario venire meno ai propri principi. Tuttavia, è di vitale importanza non farsi sviare dalla propria ‘battaglia impossibile da vincere’ (qualsiasi sogno) per accettare una via più sicura e più battuta rappresentata dal compromesso accettato in precedenza….

Molto difficile farsi capire senza un esempio pratico.

Diciamo che ho avuto un offerta di lavoro completamente diversa da ciò che vorrei fare in futuro. Non è un lavoro part-time ma una carriera vera e propria cui dovrei sacrificare molto tempo ma che mi ricompenserebbe un bel po’. Non so se accettare o meno.

Accettando, forse, avrei una vita più semplice e con meno pensieri… ma forse mi consumerebbe a tal punto da farmi distogliere l’attenzione dal mio obiettivo di uccidere il mio Griffith (ovviamente una metafora per il mio sogno impossibile).

Non accettando, forse, avrei più tempo per focalizzarmi sulla realizzazione del mio sogno scegliendo un lavoro part-time con molte meno ore e con un quinto del guadagno (e il triplo dello stress).

Decisioni…

il fatto che tra dieci anni il peso delle mie decisioni plasmerà completamente la mia vita (sospetto anche molto prima) non mi fa dormire la notte. Griffith mi direbbe di fare qualsiasi cosa per il mio sogno e accettare la miglior offerta senza venir meno alla mia visione. Avrò davvero la forza per farlo o mi farò inghiottire dalla casualità, dalla Mano di Dio e dal falò dei sogni come la grande maggioranza delle persone che incontro?

Guts direbbe di fare ciò che voglio e vivere con le conseguenze delle mie azioni.

Sarà una lunga notte…

Il falò dei sogni II- La missione di Guts ha senso? (Berserk post Eclissi)

Stavo rileggendo il volume 14 di Berserk per l’ennesima volta. Guts e Caska sono sopravvissuti all’Eclissi ed entrambi sono stati segnati dal marchio del sacrificio che li renderà preda dei demoni e degli incubus notturni. Ormai i due fanno parte di entrambi i mondi: quello terrestre e quello divino. Non saranno mai più gli stessi. Caska ha perso la sua sanità mentale e non può più parlare o pensare con razionalità. Guts è alimentato dall’odio e dalla rabbia verso Griffith e il suo passato; quelle stesse emozioni lo portano a sopravvivere e a cercare vendetta contro lo stesso concetto di Dio. Guts è potente ma è pur sempre un umano. Il suo obiettivo è far sanguinare la mano di Dio. Non si sarà scelto, forse, un nemico troppo forte?

C’è qualcosa di davvero triste e d’ispirazione nel suo viaggio verso la vendetta. Un uomo diverso sarebbe impazzito ma lui affronta a testa alta ogni sfida per uscirne ogni volta, se non vincente, vivo. Non può dimenticare ciò che gli è stato fatto e non può rimanere insieme a Caska cercando di costruire una vita completamente nuova. Il suo dolore e quello dei morti (simbolizzato dai demoni incubus) non lo fa dormire ed è costretto a menare fendenti dalla mattina alla sera solo per avere il diritto di respirare. Nel suo percorso verso la vendetta, Guts sta perdendo poco a poco la sua umanità… il che ha senso: per uccidere l’essenza stessa del male e nuotare contro la corrente della casualità, Guts deve diventare ciò che più odia.

Ho riflettuto a lungo se la missione di Guts abbia senso o meno. Griffith, in fin dei conti, è rimasto fedele al suo sogno e alla sua visione quando ha scelto di sacrificare la squadra dei falchi. Ogni membro della squadra era consapevole di essere uno strumento di Griffith. Erano suoi soldati, compagni e amici. Tuttavia, molti di loro sono morti nel corso delle battaglie nel nome di Griffith. Erano consapevoli a cosa sarebbero andati incontro. Lo stesso Guts assume un atteggiamento fortemente stoico nel corso delle battaglie della Golden Age.

Griffith o Guts? Una chiave di lettura di Berserk

‘Se moriremo… allora moriremo. I campi di battaglia sono così.’

La squadra dei falchi è consapevole di rischiare la vita per il sogno di Griffith. Erano materiale da sacrificio ben prima dell’Eclissi. Che differenza c’è tra morire per Griffith in un campo di battaglia o come sacrificio per la Mano di Dio? I soldati non sapevano di essere già in pericolo per il solo fatto di essere sottoposti di Griffith?

Ha un senso per Guts cercare vendetta quando lui stesso abbandonò la squadra dei Falchi per inseguire il suo sogno ed essere il pari di Griffith? Ha senso per Guts cercare vendetta quando ha abbandonato Caska e Rickert per la sua missione senza speranza?

Forse la missione di Guts non solo è senza speranza ma anche senza senso.

Mi è difficile rispondere a queste domande. Da un punto di vista razionale sono propenso a simpatizzare per Griffith. Da un punto di vista emotivo sono propenso a simpatizzare per Guts.

Griffith è un chiaro esempio di una persona ambiziosa che farebbe di tutto per raggiungere il suo obiettivo e che conosce se stessa. Guts non ha una profonda conoscenza di se stesso: da quando è bambino è costretto a vivere per la via della spada. Forse il sogno e l’essenza di Guts è solo quello di combattere per sopravvivere. La squadra dei falchi è stato il suo primo vero contatto umano positivo. La sua privazione è stato un duro colpo alla sua psiche. La vendetta sembra sia l’unica strada per riacquistare la sanità mentale ma così facendo sta già incrinando i rapporti con Caska.

Qualsiasi sia la risposta, credo che Guts sia un esempio da seguire. Rappresenta la resilienza umana esattamente come Griffith rappresenta l’ambizione. Molto spesso, questi elementi, sono carenti in ciascuno di noi. Il suo viaggio può essere paragonato alla vita di ciascuno di noi.

Non so se Berserk verrà mai completato (spero di no) ma non posso fare a meno di sentirmi fortunato ad essere nato nella stessa epoca in cui è stato pubblicato Berserk. A volte mi sento come Guts. A volte mi sento come Griffith. Nonostante sia difficile capire chi sia nel giusto o chi sia nel torto… questi uomini sono entrambi eccezionali.

Non sarebbe un cattiva idea aspirare ad essere una via di mezzo tra questi due che hanno il coraggio di nuotare contro la corrente del destino e della casualità.

Spreco di ossigeno: Bloodborne e Berserk (breve riflessione)

Ho giocato a Bloodborne prima di vendere definitivamente la mia playstation 4. Non ricordo neanche perché l’ho venduta. Forse volevo avere più tempo per dedicare alla produttività e ai miei progetti. Mi piacerebbe dire che è andata così… ma così non è stato. Non era un gioco a cui fossi particolarmente interessato ma ne ho sentito parlare bene e così l’ho installato (all’epoca era gratuito se abbonato al servizio playstation plus). Non avevo idea a cosa sarei andato incontro.

L’atmosfera del gioco, l’architettura squisitamente gotica, la soundtrack imponente… questo gioco colpisce sin da subito.

Per prima cosa, come oggi gioco di ruolo che si rispetti, il giocatore deve scegliere la ‘classe’ a cui il suo personaggio appartiene. Alcune classi donano al giocatore statistiche differenti. Ad esempio:

  • la classe ‘passato violento’ aumenta i parametri di attacco, forza, resistenza. Parti da livello 10. Descrizione: ‘Le imprudenze passate ti hanno reso più forte.’
  • la classe ‘nobili origini’ aumenta i parametri di arcano e di echi del sangue (oggetti che rilasciano i nemici uccisi con cui puoi comprare armi, oggetti e abilità). Parti da livello 10. Descrizione: ‘Discendi da un’antica famiglia e confidi delle tue origini.’
  • la classe ‘spreco d’ossigeno’ ha tutti i valori ridotti al minimo indispensabile. Parti da livello 4. Descrizione: ‘Non hai alcun talento. La tua nascita è stata vana’.

Leggere la classe ‘spreco d’ossigeno’ mi ha strappato qualche risata. L’avevo scartata a prescindere dato che Bloodborne ha la fama di essere un gioco difficile. Poi ci ho ripensato. Mi sembrava molto bella la decisione di iniziare la mia avventura con uno zero assoluto e portarlo alla gloria. Così sono diventato uno ‘spreco di ossigeno’. E sono rimasto nell’area di Yarhnam centrale (la prima area di gioco) per circa tre ore.

Tre ore per completare un tutorial e uccidere il primo boss (Cleric Beast) che era del tutto opzionale. Ho avuto la forte tentazione di rinunciare completamente a questo gioco più di una volta. Ero frustato, arrabbiato, deluso e annoiato. Davo la colpa al gioco che la mia esperienza fosse cosi orribile. Qualcosa, però, mi ha fermato. È stata una epifania. La colpa non era del gioco. La colpa era mia: ero una sega. Un titolo come Bloodborne ti da tutti gli strumenti per vincere e per passare al ‘livello successivo’: chiunque può farlo. Se non ce la fai basta ritentare. Una volta. Due volte. Dieci volte. Venti volte. Morirai. Tante. Tante volte. La scritta ‘you died’ comparirà nei tuoi sogni.

Ma la scritta è solo una scritta. Non muori per davvero. Ogni volta rinasci nel sogno del cacciatore. La notte è ancora lunga ed è nella natura del cacciatore quella di cacciare. Perciò ci riprovi. Uccidi più nemici, collezioni più ‘echi del sangue’, fai l’upgrade del tuo armamento e ritenti. Non sei più quello di prima. Sei più saggio, più forte e più competente e usi la frustrazione di ogni singolo fallimento per avvicinarti alla vittoria. Questo gioco è stato una rivelazione: vieni trasferito a forza in un incubo (la trama è criptica) e sai solo che devi cacciare dei mostri che hanno perso il raziocinio in questa notte maledetta. Nel corso del gioco (i più attenti) sapranno mettere al proprio posto i tasselli che compongono la trama di Bloodborne ma per farlo bisogna sopravvivere. Il cacciatore dovrà proseguire il suo viaggio interminabile nell’abisso se vuole vedere la luce. Non è difficile capire come Miyazaki (il creatore di questo gioco e presidente di FromSoftware) abbia preso spunto da un’opera come Berserk (e infinite altre fonti tra cui i racconti di H.P. Lovecraft): sei in un oscuro tunnel. Arrendersi non è un opzione e devi trovare il tuo lieto fine. Da solo.

Un elemento del gioco che mi ha riscaldato il cuore: i messaggi degli altri giocatori. Scegliendo la versione ‘online’ è possibile trovare piccoli messaggi che i giocatori più esperti hanno lasciato nel corso della loro avventura. Bloodborne è un gioco infido e pieno di trappole e imboscate mirate a snervare la salute mentale del giocatore. A volte, se si è fortunati, è possibile leggere alcuni messaggi che avvertono del pericolo: ‘Attenzione. Trappola più avanti,’ per esempio. Alcuni messaggi sono d’incoraggiamento. Poco prima di entrare in una boss battle per l’ennesima volta alcuni messaggi incoraggiano il giocatore: ‘Non arrenderti!’ dicono alcuni; ‘Stai attento,’ dicono altri. A volte, in uno scorcio panoramico particolarmente suggestivo come questo, alcuni giocatori potrebbero aver lasciato un messaggio con su scritto: ‘meravigliosa luna’.

Il semplice fatto che io abbia ammirato la stessa fantastica luna piena in un luogo tanto orribile quanto affascinante come quello proposto da Bloodborne e un giocatore (prima di me) abbia fatto lo stesso mi riempie il cuore di serenità senza neanche capirne a pieno il perché.

Bloodborne è un gioco fantastico che, a mio avviso, può far diventare tutti più resilienti e grati della propria vita. Finire questo gioco come ‘spreco di ossigeno’ mi rende (per quanto strano possa ammetterlo) davvero orgoglioso.

‘Queste note ti sono state utili, Cacciatore?’

Grazie di tutto Kentaro Miura (un pensiero personale)

Sono sicuro di avere avuto una contusione l’ultima volta che ho fatto hard sparring. Mi è stata prescritta una risonanza magnetica e ho visitato un neurologo ma non è stato rilevato alcun danno cerebrale (che sollievo). Eccetto un mal di testa durato tre mesi me la sono cavata con poco.

Questo è stato un periodo strano.

Non ho avuto nulla da fare questi giorni. Non ho scritto più (il che è abbastanza grave per una persona che desidera diventare uno scrittore). Il mio futuro appariva ancora più incerto di prima. Non posso tornare in UK dove mi sono trasferito tre anni fa. Ho lasciato che gli eventi plasmassero le mie ambizioni.

Ho passato le giornate a guardare il vuoto, vecchi film, a leggere gli stessi libri di sempre (qualsiasi cosa scritta da Murakami e Jordan Peterson) e su internet dato che sono pur sempre un millenial.

Giorni passati ad aspettare Godot che mi indicasse la via da seguire.

Ore passate a scorrere la home di twitter mi hanno informato di molte cose tra cui:

-Alcuni odiano Trump per qualche ragione

-Alcuni odiano Biden per qualche ragione

-Alcuni diffidano del vaccino

-Alcuni piangono per la morte di Kentaro Miura

-Alcuni credono che Logan Paul sia il futuro della boxe

Aspetta… che cosa? Alcuni piangono per la morte di Kentaro Miura.

Sul serio?

Inizialmente non ci credevo. Ero sicuro si trattasse di uno scherzo come a volte fa chi annuncia la morte a caso delle persone famose. Poi andai a controllare la fonte. Non era uno scherzo. Morto per dissezione aortica acuta a 54 anni.

Berserk è una delle opere che più mi ha aiutato all’Università. Ero una persona introversa, buia, scontrosa, tormentata dagli errori del proprio passato (sotto molti aspetti lo sono ancora).

Essere partecipe delle vicende di Guts mi ha portato ad ammirarlo e ad emulare il suo carattere: un uomo solo che combatte contro un essere che potrebbe essere definito divino, che porta un fardello più grande dell’umanità stessa e che, nonostante le cose che ha dovuto sopportare, trova sempre una ragione per vivere e combattere.

Leggere Berserk mi ha fatto sentire meno solo e, in qualche modo, più coraggioso. Trovavo conforto nel chiamare me stesso ‘Struggler’.

‘Se Guts può continuare il suo viaggio verso il Caos, allora forse anche io posso farlo,’ Ho pensato. Da allora sono rimasto ossessionato dall’idea di diventare forte abbastanza per potere sopravvivere a tutto ciò che avrei incontrato nella lunga strada verso il mio sogno.

Pugilato, scrittura, lettura, palestra. Volevo (e voglio) diventare la versione migliore di me stesso, avanzare verso il mio sogno e creare una mia identità. Tutto questo grazie a Kentaro Miura. Tutto questo grazie a Berserk.

Ultimamente, però, mi sono perso come migliaia di altri nel ‘falò dei sogni’ in cui tutti si perdono almeno una volta nella vita. Con la mia inerzia ho lasciato che io fossi la vittima sacrificale del mio stesso sogno. Ma questo non è un qualcosa che farebbe Guts. Questo non è un qualcosa che farebbe uno struggler.

Grazie di tutto, Kentaro Miura. Hai dedicato tutta la tua vita ad aiutare me e infinite altre persone. Se sono una persona migliore (o se posso anche solo essere definito come tale) lo devo soprattutto a te.

Uno contro cento- l’epoca d’oro, Battle Royale e massacri vari

Consiglio del senpai: se non avete voglia di fare qualcosa, ascoltare una track a caso di Neon Genesis Evangelion. Risultato? Produttività e voglia di trucidare angeli come se non ci fosse un domani.

Sono passati strani eoni in cui persino la morte è morta (semi-citazione di un certo livello) dall’ultima volta che portai un’analisi di Berserk. Oggi non è il giorno in cui la continuerò (nonostante il nome del blog) ma è successo qualcosa che ha riportato la mia giovane mente alla golden age di Berserk: l’età in cui Guts si alleò (più o meno) con il signore supremo signore dell’universo Griffith e la banda dei falchi. Quel ‘qualcosa che mi è successo’ è la lettura del romanzo Battle Royale di Houshun Takami. Cos’è Battle Royale? Per molti di voi il termine non sarà nuovo (soprattutto per chi ha una certa familiarità con gli spara-tutto). La trama in due parole:

Una classe di ragazzi intorno ai quindici anni viene costretta a partecipare ad un crudele gioco: il governo dell’Asia li ha isolati in una isola deserta e ha donato loro ogni più varia sfumatura di armi. Il loro obiettivo è uccidere i loro compagni. Solo una persona può vincere e guadagnarsi la libertà. Da qui, il termine ‘battle royale’: tutti contro tutti con un solo possibile vincitore.

Dal libro è stato tratto anche un meraviglioso film che ha ricevuto le lodi di Tarantino (ininfluente ma almeno faccio un po di pubblicità dato che non lo conosce nessuno… diciamo che semmai Batttle Royale fa pubblicità al mio blog)

Se la trama vi ricorda qualcosa è perché Hunger Games ha la stessa identica trama (al limite del plagio). Solo che Battle Royale è uscito nel 1999 mentre Hunger Games quasi dieci anni dopo. Ovviamente non sto giudicando. Sono entrambe opere che fanno il loro dovere e scrivere qualcosa di interamente originale al giorno d’oggi è pressoché impossibile. Il motivo per cui la trama è stata riscritta è perché funziona. La premessa è irresistibile; la storia è geniale. Tuttavia non è questo il punto. Ciò che mi ha fatto collegare Battle Royale con l’epoca d’oro di Berserk è il famoso episodio di “uno contro cento”. Per chi ha letto Berserk è quasi impossibile dimenticare questa scena. Guts, il nostro eroe, combatte da solo contro cento soldati per difendere Caska.

Guts (non Gatts… il suo nome cambia di versione in versione) non si regola e combatte per otto ore di fila.

Provate a pensare. Un uomo contro cento persone che vogliono ucciderlo. L’unica speranza che ha per respirare ancora è quella di combattere. Questo è vero anche per i quarantadue bambini che sono costretti a uccidersi a vicenda. Non c’è alcuna nobiltà o poesia nel sopravvivere. Qualcuno (la minoranza) riesce a sopravvivere per vedere l’alba di un nuovo giorno. Ora… quello che sto per scrivere potrebbe risultare un filino drammatico: ma non è così anche oggi? Mi spiego meglio: i requisiti per sopravvivere sono decisamente cambiati con il tempo. Non c’è bisogno di essere ‘fisicamente’ forti per vivere; non c’è bisogno di cacciare o sapersi difendere (nonostante possa tornare utile). Cosa significa essere forti, oggi? Cosa significa riuscire a sopravvivere in una società dove abbiamo accesso a qualsiasi cosa ? (magari non è proprio vero in questi ultimi tempi… ma seguitemi).

Credo che il termine ‘battle royale’ e la frase ‘uno contro cento’ si sposi perfettamente con le nostre vite. Riallacciandomi al discorso del sogno di qualche post fa… quanti riescono veramente ad ottenere ciò che vogliono? Quanti possono dire di essere riusciti a fare ciò che si erano ripromessi? Noi viviamo in costante competizione con persone che neanche conosciamo per raggiungere un obiettivo. Non è la stessa cosa? Non siamo in un ‘battle royale’? Quando entri in un ring ne esci come vincitore o come vinto. Stesso discorso per chi entra in un competizione di qualsiasi genere.

Primo principio: tu sei il padrone delle tue azioni e hai il controllo dei tuoi sentimenti.
Secondo: scegli la persona che vuoi diventare
Terzo: dai priorità alle cose più importanti per te
Quarto: Pensa win/win (sotto)
Quinto: Prima ascolta e poi fa in modo di essere ascoltato
Sesto: connettiti con le altre persone
Settimo: segui i passi precedenti, raggiungi i tuoi obiettivi e lavora duramente.
I sette principi in chiave estremamente sintetica.

Tempo fa, ho citato un libro di crescita personale che mi ha aiutato molto a stabilire una routine: “The seven habits of highly effective people”. Uno dei setti principi (‘sette regole per avere successo‘ in italiano… credo che il titolo originale sia un filino più appropriato) recita di pensare win/win. Cosa significa? Pensare di non essere in una competizione. Parlare con il tuo “avversario”, capire le sue paure e i suoi problemi; far capire le tue paure e i tuoi problemi e, insieme, scegliere una soluzione. Covey, lo scrittore del libro, porta numerosi esempi di aziende, di banche, di qualsiasi proprietà (anche di relazioni familiari) che può essere risolta tramite un compromesso che possa soddisfare entrambe le parti. Niente uno contro cento, qui. Solo vincita per entrambe le parti. Questo suona molto bene e ha ragione: il dialogo e un accordo che soddisfi entrambe le parti può essere fantastico. Ma non è il caso quando cerchi di puntare a un obiettivo e avere successo. Qualcuno deve vincere. Qualcuno deve perdere.

Come ho detto prima: entrando in un ring ne esci da vinto o da vincitore. C’è solo bianco e nero senza sfumatura di grigio. Questo vale per il mondo dello sport come per il mondo della scrittura. Solo i forti vincono. Ovviamente, la mia non è una critica. Non sta a me decidere i criteri secondo cui una persona possa essere giudicata forte o meno. Esistono solo i risultati e basta. La prossima volta che criticate qualcuno di famoso che non è bravo nel suo campo (anche io sono colpevole di questo)… ricordatevi che lui ha raggiunto le stelle e noi no (non ancora?)

Io so per certo di combattere una battaglia uno contro cento. Non ho la grinta di Guts ma miro ad essere come lui.

Come sempre questo parallelismo tra manga, letteratura e vita reale mi sta uccidendo. Credo che in futuro mi limiterò a semplici recensioni. Il prossimo post sarà una recensione!

Non di Neon Genesis Evangelion però. Ho l’impressione di dover vedere questo anime minimo altre cinque volte per capire la trama in tutte le sue sfumature. Per il momento dirò che l’ho adorato.

Top narrativa.

Top trama.

Top simbolismo.

Top waifu.

Ehm… ho detto Top Waifu
Non è quella che intendevo
Perfezione

Per il momento, Evangelion occupa il terzo posto nella mia classifica anime/manga. Al primo posto immancabile Berserk e al secondo posto Devilman/ Devilman Crybaby.

My Hero Academia: cosa si è disposti a fare per realizzare il proprio sogno?

C’è chi sogna di dominare il mondo e chi dedica tutta la vita alla creazione di una spada. E se c’è un sogno a cui sacrificare tutti se stessi, c’è anche un sogno simile a una tempesta che spazza via migliaia di altri sogni. Non centra la classe, né lo status, e neppure l’età. Per quanto siano irrealizzabili, la gente ama i sogni. Il sogno ci dà forza e ci tormenta, ci fa vivere e ci uccide. E anche se ci abbandona, le sue ceneri rimangono sempre in fondo al cuore… fino alla morte. Se si nasce uomini, si dovrebbe desiderare una simile vita. Una vita da martiri spesa in nome di un dio chiamato sogno

Griffith

Devo essere sincero. Questo post è perlopiù ispirato dalla visione di My Hero Academia. Non parlerò qui della mia opinione sulla serie (bella… ma un filino sopravvalutata). Non cercherò di fare un parallelismo con Berserk: sarebbe più inutile di Sakura. Tuttavia, osservando Midoriya (Deku) dedicarsi ogni singolo giorno alla realizzazione del suo sogno, mi ha portato a riflettere per l’ennesima volta su cosa realmente significhi vivere per un sogno. Ora, non fraintendetemi: il tema della perseveranza, del duro lavoro, dei sogni, della redenzione e della crescita personale sono comuni all’ottanta percento dei manga. Risulterebbe impossibile non leggere anche solo un’opera all’apparenza superficiale come Dragon Ball senza percepire un desiderio continuo di “spingersi oltre il proprio limite“. Ma è proprio per la mia passione per i manga che il tema del sogno è talmente radicato in me da essere parte della mia filosofia.

Incominciamo con My Hero Academia: in un futuro vicino, la maggior parte della popolazione nasce con un “quirk” che gli permette di compiere azioni straordinarie. Tutti sognano di essere supereroi e, adesso, questo sogno può finalmente diventare realtà. Non ci è dato sapere perché ci sia stata questa improvvisa “esplosione” di supereroi, tuttavia è così. In questo mondo, un bambino vuole disperatamente essere come All-Might, il supereroe simbolo della giustizia… ma (c’è sempre un ma, non è vero?) il ragazzo in questione fa parte del venti percento della popolazione che è nata senza quirk. Senza poteri, allontanato dai suoi coetanei, vittima di bullismo, ossessionato da un qualcosa che è decisamente fuori dalla sua portata.

Midoriya, soprannominato “Deku” (inutile)

Tutto questo fino a quando non incontra finalmente il suo eroe, All Might, che riconosce il valore di Midoriya e gli “trasmette” il potere “One for All”… tuttavia, questo potere è ben differente dal morso del ragno di Peter Parker o il bagno nei rifiuti radioattivi di Bruce Banner: infatti, il giovane Midoriya, dovrà sostenere un duro programma di allenamento che metterà a dura prova la sua mente e il suo corpo, rendendolo così degno di ereditare il One For All.

Come dice All Might stesso: “C’è una grande differenza tra chi nasce con un’abilità e chi si fa il culo per ottenerla…” (più o meno il senso è quello). Ed è così che nasce la storia di Midoriya e di come abbia completamente cambiato se stesso per arrivare più vicino al proprio sogno. Ho letto molte critiche riguardo questo aspetto. A quanto pare, My Hero Academia, è percepita da alcuni come una favola irrealistica che dipinge una realtà che potrebbe mai accadere. Non tutti coloro che seguono i propri sogni, infatti, li realizzerebbero al contrario di quanto questo anime insegni.

Midoriya (quello che fa fatica a sollevare 30 chili di panca piana) si spacca di brutto cercando di diventare come il suo eroe, All Might (a destra)

Non è questo il punto di My Hero Academia (neanche quello di Naruto, Dragon Ball, Baki…). Il punto è che tutti i sogni sono alla portata di chiunque. Tuttavia, pochi sono disposti a sputare sangue per ottenerli. Pochi sono disposti a impazzire e ad abbandonare la propria sanità mentale per raggiungere quel punto di non ritorno in cui la maggior parte delle persone semplicemente abbandona. Questo è qualcosa che vedo ogni giorno.

In palestra, quando le persone cercano di attenersi a quella ridicola lista di buoni propositi che hanno creato due ore prima la mezzanotte del capodanno e comprano una di quelle “membership” bimensili foderate in plastica scintillanti destinate a prendere polvere nei portafogli. Negli studi, quando si preferisce Netflix ai libri per poi rischiare di perdere l’anno. E così via. Il punto, quindi, è che i sogni sono sì alla portata di tutti ma sono talmente poche le persone che sono disposte ad annullarsi per seguire il proprio sogno che è praticamente dire lo stesso di: “Non tutti possono fare tutto”. Ovviamente, chiunque può avere i propri momenti di debolezza.

Sempre per citare All Might: “Un vero eroe non è quello senza debolezza. Un vero eroe è colui che agisce e prende una posizione combattendo le proprie debolezze.” (Più o meno. Leggo in inglese perciò le mie traduzioni non sono fedeli al cento per cento.)

Deku e All Might: anche loro sono degli ottimi esempi di Strugglers.

Torniamo all’inizio del post. Ho scelto una frase emblematica di uno dei personaggi più odiati del mondo della narrazione. Griffith: il motivo per cui Guts ha incominciato il suo viaggio.

SPOILERS PESANTI SU BERSERK:

Colui che ha sacrificato l’intera Squadra dei Falchi per la realizzazione del suo sogno. Il super-uomo descritto da Nietzsche: libero da ogni morale, libero da ogni stupida legge terrestre degli uomini. Il suo sogno sembra davvero così grande da spazzare via ogni cosa che incontra. Sembra la personificazione androgina del protagonista di Delitto e Castigo. Dato che questo voleva essere un post-lampo (come una piccola Blitzkrieg), non mi soffermerò sull’analisi di questo personaggio tanto complesso quanto frainteso. Per tutti coloro familiari con l’opera di Berserk, vi chiedo di essere sinceri con voi stessi: non avreste fatto le stesse azioni di Griffith ai tempi dell’Eclissi? (Caska a parte) Stiamo parlando di un individuo completamente distrutto (mentalmente per la perdita di Guts, fisicamente per un anno ininterrotto di tortura). Il sogno per cui viveva è evaporato come neve sotto il sole. Stiamo parlando di una persona che ha persino contemplato il suicidio pur di non essere un peso per la Squadra dei Falchi. Fino a quando il behelit appare di nuovo dandogli nuova speranza.

Se non avesse sacrificato i suoi amici, la morte di tutti coloro uccisi nei campi di battaglia sotto il vessillo del sogno di Griffith non avrebbero avuto alcun senso. Anche lui ha dovuto scalare la gerarchia sociale per arrivare dove era arrivato. Anche lui, come Deku, ha sputato sangue (letteralmente) per arrivare dov’era. Un sogno che era diventato realtà per poi perderlo… per poi acquisirlo nuovamente. Ad essere sincero, dubito avrei avuto il coraggio di Griffith di sacrificare i miei amici, ma non me la sento di condannarlo. La sua scelta può di sicuro essere discutibile, ma ha senso e posso comprenderla molto bene.

Detto questo, dal nome del sito, penso si possa evincere con facilità chi sia il mio personaggio preferito nello yin e yang che prendono il nome di Griffith e Guts.

P.S: Questo signore, JaxBlade, gestisce un interessante canale di Youtube in cui approfondisce per filo e per segno ogni tipo di allenamento introdotto dalla maggior parte degli anime. In questo video, ad esempio, spiega come allenarsi come Deku. Ogni persona che si è sentita ispirata ad allenarsi guardando gli anime dovrebbe ringraziare JaxBlade.

The Black Swordsman- il potere del passato

Saluti, fellow strugglers. Incominciamo con un piccolo riassunto della trama fino adesso: un gigante vestito di nero è in viaggio per ottenere la sua vendetta contro qualcosa che il lettore comincia a sospettare che non sia interamente umano. Assistiamo all’immensa forza dello spadaccino nero contro una ventina di uomini. A fargli compagnia, l’elfo Puck che ha liberato dalla prigionia di alcuni mercenari. Tuttavia Guts è stato rinchiuso nella prigione di una fortezza per aver dato noia a un potente lord. Come detto precedentemente, voglio focalizzarmi sull’analisi dei personaggi piuttosto che entrare nel dettaglio della narrazione di Berserk. Perciò, perdonatemi se salto alcuni momenti: l’opera è lunga…e incompleta. Fellow Strugglers, bentornati sul Game of Thrones dei manga.

Il marchio del sacrificio e il passato di cui Guts è letteralmente preda

Nonostante il Guerriero Nero sia solo il primo capitolo di una lunghissima serie è incredibile quanto ci sia da dire. D’altronde, i primi concetti vengono introdotti e neanche Miura stesso aveva una precisa idea di dove sarebbe andato a parare. Ma procediamo con ordine. In questa immagine notiamo per la prima volta un primo piano del “marchio del sacrificio”, un simbolo inciso nella carne di Guts che sembra sanguinare ogni volta che un apostolo si trova nei paraggi. Un simbolo che rimanda direttamente al motivo per cui Guts ha intrapreso un viaggio dal quale, con ogni probabilità, non potrà fare più ritorno (ritorno da dove, poi?). Guts, aiutato da Puck, riesce ad uscire dalla prigione e a combattere l’apostolo che pare abbia una forza sovrumana e un aspetto tutt’altro che amichevole. Guts riesce a prevalere con la sua rabbia e la sua determinazione.

“Dove sono i cinque della mano di Dio?” chiede all’apostolo morente con un sorriso da psicopatico mentre si lecca il sangue dalle labbra. Non c’è risposta mentre l’apostolo muore in un lago di sangue tra le risate di Guts. Qui, l’elfo Puck dà prova di una delle abilità degli elfi: riesce a percepire le emozioni degli umani. Nel caso di Guts: rabbia, tristezza, paura e ancora rabbia. Il contrasto è così forte da far piangere Puck. Si rende conto che ciò che ha reso Guts un tale mostro di cinismo, ira e volontà è racchiuso nel suo passato e nel marchio che porta sul collo. La stessa volontà, determinazione e cinismo che accomuna Griffith: la stessa faccia della medaglia di Guts.

Lo spadaccino nero si lascia alle spalle una nuova scia di cadaveri e si appresta a trovare un posto per addormentarsi. Eppure, come presto si scoprirà, non è semplice per chi è segnato dal marchio del sacrificio dormire sonno tranquilli. Gli incubus,spiriti maligni che provocano degli incubi nelle persone per nutrirsi delle loro paure, lo perseguitano.

Il passato di Guts gli impedisce di vivere una vita normale persino “fisicamente”. Il tema di convivere con i mostri del proprio passato è onnipresente in Berserk. Come Donovan avrà sempre un posto speciale nei peggiori incubi (materiali e non) di ‘Guts’ anche Griffith, l’Eclissi, il senso di perdita (Caska), inadeguatezza (non essere riuscito a salvare la Banda dei Falchi), tristezza sono talmente radicati in Guts da uscire dai confini della sua mente. Come il movimento letterario dei romantici faceva coincidere le condizioni atmosferiche con lo stato d’animo dei loro protagonisti (Goethe faceva piovere per esasperare la psiche di Werter), Berserk fa qualcosa di simile spingendosi oltre. Infatti, lo stato d’animo di Guts ‘distrugge’ i limiti del suo pensiero riversandosi nella sua realtà. Probabilmente il paragone con i romantici è stato azzardato. Piuttosto, direi che l’espressionismo è ciò che contraddistingue Berserk. Ad esempio, nel film Das Cabinett des Doctor Caligari, la psiche del protagonista viene riversata nell’ambiente fisico.

Tutto appare distorto come la sottile psiche del protagonista.
La mano di Dio. God Hand. Il mondo opposto alla realtà riflette le allucinazioni di Guts e il suo senso di smarrimento. Al contrario dell’espressionismo, però, in Berserk l’elemento di interiorità ed esteriorità dei personaggi e dei loro sentimenti diventa parte della trama.

Dovrebbe suscitare poca sorpresa che gli ambienti riflettano le paranoie dei protagonisti. Messa sotto la lente d’ingrandimento, Berserk è una grande introspezione dei due personaggi principali: Guts e Griffith. Mi dilungherò su quest’ultimo in seguito spendendo qualche parola sulla Golden Age, sull’infanzia di Guts e su come il suo passato e i suoi traumi abbiano plasmato il carattere forte, distaccato e all’apparenza freddo che abbiamo imparato a riconoscere nei primi due capitoli di Berserk. Da preda a predatore a preda a predatore. L’evoluzione di Guts sembra oscillare sempre tra queste due definizioni. Il senso di confusione, angoscia e traumi che lo accompagnano sin dai tempi dello stupro di Donovan si sono poi acuiti con l’Eclisse e il sacrificio perpetrato da Griffith. Ho sentito spesso dire come i primi capitoli di Berserk descrivano male il carattere di Guts rendendolo un teenager ribelle e negativo nei confronti della vita. Sono d’accordo in parte. I primi capitoli, se presi singolarmente, non riflettono ancora il capolavoro che prenderà il nome di Berserk. Non parlo solo della scrittura, ma anche- e soprattutto- dei disegni. Tuttavia, se si guarda l’opera come un insieme, i primi capitoli riguardanti il Black Swordsman appaiono come una grande rivelazione del personaggio di Guts e di come ripeta mentalmente a se stesso il mantra “debolezza è sinonimo di morte”: non vuole lasciare che si ripeta una nuova Eclissi. Non vuole soccombere ancora.

La filosofia del primo Guts. “Andiamo, suicidati,” enuncia semplicemente lo spadaccino nero in vista della principessa in lacrime che ha salvato da un apostolo.

Piccola considerazione personale: credo che frasi come queste elevino Berserk non solo come uno dei migliori fumetti mai creati, ma anche come una delle migliore guide di self-help che esistano al mondo. La versione semplicistica del detto, “Questo è un mondo crudele e ti ucciderà se glielo permetti,” non si rivela così troppo semplicistica in fin dei conti. La debolezza non è una scusa e porterà solo a noie. Non dico di essere come Guts, ma, nel corso dell’opera, scopriremo come anche solo metà delle cose che ha passato lo spadaccino nero avrebbero portato al suicidio una persona normale. Guts è la personificazione della forza e di tutti coloro che combattono cause perse. Credo di averlo detto già un paio di volte, ma penso che noi tutti dovremmo imparare di più da lui. Da quando lo conosco e faccio parte del suo viaggio, mi faccio spesso forza pensando: “Se ci riesce lui, perché non dovrei riuscirci io?” E prima che mi diciate che è un personaggio finto (vero), che il suo carattere è ‘scritto’ per non arrendersi mai (vero) e che, in ogni caso, non ho neanche sperimentato un quarto delle sue sofferenze (vero, vero, vero)…. rispondo che c’è sempre da imparare. Non importa se un mondo non esiste o se i personaggi che lo animano sono dei disegni di carta. Si può prendere spunto da qualsiasi immagine per migliorare la propria vita.

Un esempio? Quest’uomo ha migliorato la propria salute mentale e fisica ispirato dall’allenamento di Saitama in One Punch Man (100 flessioni!100 addominali!100 squat! 10 chilometri di corsa! Ogni singolo giorno!)

http://digg.com/2019/train-one-punch-man

Ho scritto nella mia introduzione che avrei spiegato nel corso di questo blog di come gli anime e i manga mi hanno aiutato a prendere una posizione nella mia vita. L’allenamento fisico è stata la chiave di volta per lasciare il me del passato (quello con il marchio del sacrificio, per intenderci) alle spalle. Ma immagino che questa sia la storia per un’altra volta.

Siate come Guts, Strugglers! Se lui può continuare il suo viaggio, possiamo farlo anche noi.

The Black Swordsman- Inizio

Forse sei un veterano dell’odissea di Miura che aspetta dall’epoca di Big Boss lo scontro finale tra Guts e Griffith o, forse, stai per muovere timidamente i passi verso Berserk perché hai sentito dire da qualche parte che ha ispirato Dark Souls. In ogni caso, addentriamoci dentro la fitta foresta narrativa che risponde al nome di Berserk.

Letteralmente (meglio graficamente) l’inizio del manga. Il nostro eroe, il Berserk, Struggler, Guts, Spadaccino nero (a destra) trucida un demone o, per meglio dire, un apostolo, che un attimo prima aveva le sembianze di una donna. Capii subito di trovarmi di fronte a un capolavoro.

Berserk incomincia in medias res. Non sappiamo nulla del giovane guerriero dagli abiti neri che attraversa le porte dei numerosi castelli dal sapore medioevale in compagnia della sua spada. Beh… non proprio una spada. Quella cosa era troppo grande per essere una spada. Era più simile a un ammasso di metallo, tanto pesante quanto lo era l’uomo che lo portava. In questa prima parte, però, dimenticatevi delle risposte pronte. Per fare un parallelismo con una delle mie opere letterarie preferite, La Torre Nera, i primi capitoli non sono altro che un assaggio dello stile dell’autore che preferisce introdurre il lettore in un universo narrativo di ampio respiro senza però annoiare con dettagli che verranno scoperti con calma. Più avanti. Lungi da me rovinare l’esperienza di leggere per la prima volta Berserk (niente spoiler ovviamente), tuttavia è chiaro sin dalle prime battute dello spadaccino nero che il nostro eroe è in cerca di vendetta. Contro chi? Contro cosa? Calma. Prima di rispondere anche solo a una di queste domande, è necessario accompagnare Guts in un piccolo (immenso) bagno di sangue.

Ecco un piccolo aneddoto che vi sento di raccontarvi: Guts entra in una taverna; dei banditi si divertono a torturate un elfo (molto kawaii); Guts trucida i banditi assoldati da un politico di spicco; le guardie della città arrivano per fermare Guts; Guts trucida le guardie della città- una decina- e finisce prigioniero. L’elfo cerca di liberarlo ma Guts rifiuta perchè annoiato dalla sola presenza di un essere tanto debole da non riuscire a difendersi.

Un’immagine vale più di mille parole

Da queste prime scene possiamo capire in largo anticipo i temi dell’opera di Berserk. Violenza. Traumi. Sesso. Innocenza. Forza. Guts si inoltra senza paura in un mondo dominato da un’atmosfera ostile, malvagia e senza pietà per coloro che non possiedono la forza di combattere. Il fatto che abbia salvato Puck, l’elfo che diverrà un suo compagno di viaggio, dimostra che il suo animo non è ancora completamente corrotto dal suo innominabile passato e dal senso di vendetta che anima ogni fibra del suo corpo. Tuttavia, siamo alla presenza di un uomo forte ma completamente distaccato dalla vita. Guts ha chiuso il suo cuore a doppia mandata dentro una gabbia di cinismo e disprezzo.

“Chi muore in una battaglia che non gli appartiene non sarebbe mai dovuto nascere…” (traduzione ufficiale manga italiano)
A sinistra, l’elfo Puck

Ma, come ho già detto, non tutto è perduto. Il suo flebile rapporto con Puck introduce un lato del suo carattere che verrà ripreso ampiamente nei capitoli della Golden Age: Guts è, infatti, un protettore. Nonostante Guts odi ammetterlo, (probabilmente… non sono suo amico) proteggere e vegliare sulle persone che non possono farlo sarà un legame che verrà difficilmente meno nella sua travagliata relazione con Caska. Nonostante Guts cerchi di allontanare la compagnia di Puck con ogni mezzo, i due si ritroveranno compagni nella truculenta caccia agli apostoli che sono in qualche modo legati al passato dello spadaccino nero. Apostoli… persino dei suoi nemici si sa ben poco se non che abbiano una forma demoniaca simile a questa.

Tuttavia, il vero nemico di Guts è ben più temibile di questi mostri. Girovagando per le Midlands, le terre dove la storia si svolge, il profilo di Guts acquisirà sempre più sfumature fino a culminare con l’incontro tanto atteso con il suo nemico giurato. Il falco delle tenebre. Griffith. La nemesi di Guts. Il Satana di Akira Fudo. Il Dio Brando di Jotaro Kujo. Membro di un gruppo di divinità chiamate con il nome di “God-hand”, la mano di Dio. Ma è ancora presto per raccontare nel dettaglio la storia della volontà e della forza di un uomo contro il destino più atroce e orribile che si possa immaginare.

Per il momento, ecco quel che sappiamo dello spadaccino nero:

Una protesi che funge da cannone. Vestiti neri quasi quanto la sua anima. Un’abilità con la spada fuori dal comune: il guerriero nero è capace di uccidere un gruppo di cento uomini con relativa semplicità. Un dettaglio sul quale vorrei soffermarmi: come avrete sicuramente notato, l’occhio destro di Guts è chiuso, accecato. Il volto serio, arrabbiato e profondamente provato dalla vita è deturpato da un occhio che (come avremo modo di poter leggere più avanti nella saga) rimane chiuso al presente, eterna memoria di un passato dal quale cerca disperatamente di sfuggire. Un occhio che non viene mostrato aperto e bianco ma chiuso con tale forza da risultare una piccola fessura nera. D’altronde il nero è un colore estremamente simbolico per Guts: rappresenta l’assenza del colore e della vita, un chiaro segno caratteristico della presenza della morte di Guts sin dall’inizio della Golden Age. Il pellegrino vestito di nero, lo spadaccino nero la cui sola presenza sembra attirare i demoni del suo passato che attanagliano il suo presente e il suo futuro. Simile a Violence Jack. Simile, anche, al crociato incappucciato Batman. Lo spadaccino nero: un uomo costretto a diventare demone per sconfiggere i suoi nemici. Il falco bianco divenuto ben presto il falco delle tenebre come per rimarcare il legame indissolubile che lega Guts e Griffith.

“Spero per te che tu non sia un apostolo.”

Nel prossimo articolo, mi soffermerò brevemente sull’importanza delle azioni del Guts del passato (colui che non abbiamo ancora conosciuto) e come esse si ripercuotono nell’universo magnificamente illustrato da Miura. Incubus… Incubi che tormentano l’eroe scelto come agnello sacrificale da un potere molto più in alto di lui.

A presto, Strugglers.