One punch man e la teoria delle diecimila ore

Il mio legame con quest’opera non è mai stato così forte come adesso. Le palestre sono chiuse e tutto ciò che mi resta è l’allenamento a corpo libero. Ciò che mi serve è una scheda che faccia lavorare ogni muscolo del corpo. Avrei potuto cercare informazioni su internet OPPURE fare il weeabo e prendere ispirazione dagli anime. Inutile dire che ho scelto l’opzione che tutti avrebbero scelto.

100 piegamenti! 100 crunches! 100 squats e 10 chilometri di corsa! Ma sei impazzito, Saitama? Vuoi che io perda ogni grammo di massa muscolare che ho? E il tuo piano nutrizionale? E gli esercizi per la schiena? E le spalle? Non credo neanche per un secondo che tu riesca a uccidere ogni nemico con un singolo pugno dopo un allenamento così leggero. Tuttavia, non ho molte opzioni al momento e lavorare sul cardio potrebbe essere un’ottima scelta per adesso. Ormai è da due settimane che seguo l’allenamento di Saitama con qualche piccola differenza: 100 sollevamenti alla sbarra e corsa ogni 3 giorni, consumando circa 2200 calorie al giorno. Sarà un buon piano? Non lo so. Non so niente di queste cose. Do per scontato che questo sia meglio che non fare niente. In più, il buon Mike Tyson non aveva il sollevamento pesi nella sua scheda ma faceva solo allenamento a corpo libero. Come Saitama? Quasi: 2000 crunches, 500 push ups, 500 dips e 500 shrugs al giorno. Beh… si vede che anche lui come Saitama voleva scoprire cosa volesse dire essere forti e uccidere una persona con un pugno.

Tuttavia, non è questo il punto. One Punch Man, come si può evincere dal titolo, parla di un uomo, un eroe, che riesce a vincere ogni battaglia con un singolo pugno. Nessun conflitto. Nessun dramma. Ogni volta che compare il prossimo dominatore dell’universo, il buon Saitama compare e gli sferra un pugno. Fine della minaccia. La premessa era estremamente intrigante. Uno dei motivi principali per cui l’ho guardato era per capire come la storia sarebbe proseguita. Voglio dire… negli anime c’è sempre un tizio che si allena duramente per sconfiggere un nemico molto forte. Vince e un altro nemico compare (guarda caso un nemico che è leggermente più forte di quello precedente)… e cosi via. Non mi credete? Guardate la struttura di Dragonball Z:

-I sayan fortissimi arrivano. I guerrieri Z si allenano e i sayan vengono sconfitti!

-Freezer, l’imperatore dell’universo, è la minaccia più terribile che sia mai apparsa. Goku si allena e lo sconfigge.

-Cell è forte. Goku si allena. Gohan lo sconfigge (qualcosa cambia).

-Majin Bu è forte. Tutti si allenano. Goku lo sconfigge.

One Punch Man salta tutto questo dramma per focalizzarsi su altro. Saitama è troppo forte. Si annoia. Ma non è stato sempre così. Non è sempre stato un eroe. Una volta era un impiegato. Dopo essere stato licenziato si rende conto che da bambino non voleva essere un impiegato ma un eroe indistruttibile (il mondo di One Punch Man è sempre sotto attacco di un mostro improbabile).

Tipo questo. Un tizio che è diventato metà granchio perché ne ha mangiati troppi.

Saitama decide allora di dedicarsi anima e corpo nel realizzare il suo sogno e diventare un eroe ‘per divertimento’. Si allena ogni giorno al solo scopo di scoprire il vero significato della parola ‘forza’. Nonostante le persone intorno a lui non vedano di buon occhio i suoi allenamenti, lui riesce a perseverare e grazie alla sua forza di volontà riesce finalmente a ottenere la forza che tanto desidera. Nel post precedente, avevo parlato di meta-racconto: nonostante One Punch Man non possa essere definito come meta-racconto, è interessante notare come la vita del creatore della serie abbia numerosi punti in comune con il personaggio Saitama.

Il creatore della serie (ONE… no serio, si chiama così) pubblicò i primi disegni del web manga sul suo blog e non ottennero molto successo. Alcune persone gli consigliarono di lasciar perdere. Tuttavia, il disegnatore Yusuke Muruta fu impressionato dallo humor della storia e decise di entrare in partnership con One: Murata avrebbe disegnato e One avrebbe creato la storia.

A destra: il disegno originario di One. A sinistra: una squallida imitazione.

Il punto, secondo me, è che One si sente vicino al suo personaggio: entrambi hanno delle capacità in quello che fanno; entrambi sono anche sottovalutati dal loro pubblico. Nell’avanzare della storia, Saitama prenderà sul personale il fatto che non è conosciuto. Nonostante faccia l’eroe da quasi tre anni (e sia il più forte) nessuno riconosce il suo valore. Saitama dice più e più volte di fare l’eroe per divertimento e che non ha bisogno di approvazioni… Tuttavia, non è quello che diciamo tutti? Anche io dico di scrivere per divertimento (altrimenti non lo farei) ma essere riconosciuto per ciò che si fa è sempre una grande fonte di soddisfazione. Stessa cosa per tutte le altre passioni. Saitama è già forte: non è questo il dramma del suo personaggio (qualcosa che io non posso dire per me stesso) ma vuole essere riconosciuto come eroe esattamente come One voleva essere riconosciuto come artista. Entrambi sono riusciti nel loro intento, infondendo speranza a persone come me. Il punto di entrambi è che con la giusta determinazione e duro allenamento ognuno può raggiungere quello che vuole.

Questo ci porta alla teoria delle diecimila ore: lo psicologo Anders Ericsson illustrò la teoria secondo la quale ognuno può raggiungere il successo sfruttando diecimila ore di lavoro in un singolo campo. Ad esempio anche una persona negata per la cucina come me, secondo la teoria, potrebbe diventare il prossimo Gordon Ramsey. Recentemente questa teoria è stata in parte smentita. L’idea è che la parte della perseveranza e della quantità di tempo non è sbagliata, ma la qualità è un altro fattore da non sottovalutare. Se io mi allenassi a tirare un gancio per dieci ore e lo facessi in modo sbagliato per tutte e dieci le ore, non avrei imparato nulla se non la tecnica sbagliata. Work smarter don’t work harder, come dice… Vegeta? Non lo so. Comunque mi pare che questo sia un consiglio prezioso.

E del talento, allora? Cosa si dice del talento? Può il duro lavoro battere il talento? Può Rock Lee battere Gaara? Può Midorya essere il nuovo All Might? O questo è solo un leitmotiv degli anime? Non lo so, altrimenti avrei risolto un dilemma che perseguita la comunità scientifica da anni.

Mi sento di citare un aneddoto letto in The seven habits of highly effective people; un libro di crescita personale che consiglio caldamente.

In questa scuola ci sono due classi di bambini: una è considerata la migliore, l’altra è considerata la peggiore. La scuola decide di investire più tempo sulla classe migliore. Però (come spesso accade negli aneddoti) accade qualcosa: c’è un piccolo errore tecnico e il maestro che avrebbe dovuto insegnare nella classe migliore va in quella inferiore e viceversa. Gli alunni vengono trattati in maniera del tutto diversa in entrambi i casi: i bambini della classe peggiore (considerati per sbaglio quelli della classe migliore) ricevono tutti gli elogi e le cure possibili mentre i bambini della classe superiore (considerati per sbaglio quelli della classe peggiore) vengono trascurati e criticati.

Una volta che si sono resi conto dell’errore, i bambini della classe inferiore avevano registrato i voti più alti e quelli della classe superiore quelli più bassi.

Ciò può voler dire molto come le circostanze possano aiutare un talento a svilupparsi come a distruggersi. Il modo migliore per raggiungere un obiettivo sarebbe quello di creare una mentalità forte e non arrendersi. Nonostante sembri una frase fatta, non arrendersi di fronte alle difficoltà può essere un’esperienza positiva per il proprio cervello: anche se non dovessimo raggiungere il successo, potremmo essere sempre in pace con noi stessi per aver dato del nostro meglio. Può non sembrarlo ma mollare è molto più doloroso che proseguire con fatica in una visione a lungo termine. Avete mai pensato se Stephen King, Bukowski, Alì o altri avessero rinunciato lungo la via per il successo? (E tutti loro avevano un buon motivo per farlo).

Mah… sembra che io stia parlando sempre delle stesse cose in circolo. Il punto è che grazie a Saitama mi sento anche io un eroe.

Prima stagione dell’anime consigliata. Mi manca la seconda stagione, ma a giudicare dalle recensioni non è proprio il massimo. Probabile che mi recupererò il manga.

Aku no Hana (i fiori del male) non si regola e ti farà venire gli incubi

Poche cose in questo mondo mi fanno deprimere come ricordare i miei anni delle medie. Non che io abbia avuto problemi con la scuola, con il bullismo, con i genitori o cose del genere (forse avrei da ridire sui genitori ma il passato è passato). La cosa che mi ricordo più di quel periodo (ad una considerevole distanza temporale di dieci anni) è la noia, il tedio e l’impotenza che scandivano quei giorni. A undici anni non puoi fare nulla se non andare a scuola o praticare uno sport. Il massimo che ti può capitare è passare un paio d’ore di fronte alla televisione per evadere dalla realtà. Magari leggere un libro di tanto in tanto (fu l’epoca in cui scoprì Harry Potter). Ma la routine era sempre quella, mi spiego? Casa, scuola, sport, (far finta di) studiare, dormire e ripetere il tutto. Non capirò mai quelli che sognano di tornare bambini. Ma forse parlo solo per la mia esperienza, ovvero il motivo per cui il manga di cui sto per parlarvi mi ha colpito così tanto.

Partiamo dal titolo che non è dei più rosei. Probabilmente molti di voi sono familiari con ‘I fiori del male’ di Charles Baudelaire e che il manga usa come omaggio. I fiori del male è una raccolta di poesie sui più vari argomenti immorali: morte, sesso, prostituzione, droghe e altre cose del genere. Questa raccolta di poesie è il libro preferito del protagonista di questa storia, Takao Kasuga: studente delle medie e grande appassionato di libri… un giovane personaggio con gusti insoliti, non sta a me giudicare. Comunque sia, un giorno si ritrova in classe da solo dopo l’ora di ginnastica. Nota le borse dei compagni di classe con le tute da ginnastica che hanno indossato prima. Spinto da un attacco di frenesia, Takao ruba i pantaloncini da ginnastica della ragazza per cui ha una cotta. Takao, una volta giunto a casa si pente delle sue azioni e decide di riconsegnare i pantaloncini anonimamente. Il giovane Takao non sa che qualcuno è stato testimone del suo furto. Una ragazza di nome Nakamura.

Nakamura non ha proprio la fama di una studentessa modello: insulta chiunque provi a parlare con lei, non ha rispetto per gli insegnanti e i suoi compagni e preferisce la violenza alle parole. Nakamura promette a Takao di non rivelare alla classe del suo furto, tuttavia, in cambio, lo obbliga a stipulare un ‘contratto’ poichè ha riconosciuto in lui un ‘pervertito’ esattamente come lo è lei stessa. Takao accetta e dal quel momento diventa lo schiavo di Nakamura che lo spingerà a diventare amico della ragazza a cui ha rubato i pantaloncini (Nanako) e a passare ogni singolo momento con lei. Il peso della coscienza di Takao si fa sentire: non riesce a stare accanto a Nanako senza pensare a ciò che le ha fatto. Nakamura porterà Takao alla disperazione fino a quando sentirà l’influenza negativa di Nakamura avere effetto su di lui. Takao dovrà scegliere due vie in un bivio morale: seguire la ragazza perfetta di cui si era innamorato o scegliere la ragazza che lo ha portato sulla via della follia.

Parlare di più di questa opera sarebbe uno spoiler imperdonabile. Aku no Hana ha centrato il punto di quegli anni: la voglia di azione, di conflitto, di confronto in un periodo della vita che molti (forse tutti, forse solo io) definirebbero come arido. La follia di Nakamura provvede un’ottima analisi dell’importanza della salute mentale nei più giovani: la depressione, il senso di impotenza, l’impazienza e i traumi dell’infanzia sono secondi solo a quelli di Neon Genesis Evangelion (un grande complimento, se non si fosse capito). Ma questi temi comprendono solo la prima parte del manga. La seconda parte, invece, darà luce sull’importanza di accettare e lasciarsi il passato alle spalle e focalizzarsi sul futuro. Takao sembra sulla strada giusta… ma Nakamura?

Un manga poco conosciuto ma caldamente consigliato (insieme alla lettura dei ‘Fiori del male’ di Baudelaire per un’esperienza completa).

Eh… la preadolescenza, dico bene? Nonostante i temi totalmente diversi, l’atmosfera del manga mi ha ricordato American Psycho.

Uno contro cento- l’epoca d’oro, Battle Royale e massacri vari

Consiglio del senpai: se non avete voglia di fare qualcosa, ascoltare una track a caso di Neon Genesis Evangelion. Risultato? Produttività e voglia di trucidare angeli come se non ci fosse un domani.

Sono passati strani eoni in cui persino la morte è morta (semi-citazione di un certo livello) dall’ultima volta che portai un’analisi di Berserk. Oggi non è il giorno in cui la continuerò (nonostante il nome del blog) ma è successo qualcosa che ha riportato la mia giovane mente alla golden age di Berserk: l’età in cui Guts si alleò (più o meno) con il signore supremo signore dell’universo Griffith e la banda dei falchi. Quel ‘qualcosa che mi è successo’ è la lettura del romanzo Battle Royale di Houshun Takami. Cos’è Battle Royale? Per molti di voi il termine non sarà nuovo (soprattutto per chi ha una certa familiarità con gli spara-tutto). La trama in due parole:

Una classe di ragazzi intorno ai quindici anni viene costretta a partecipare ad un crudele gioco: il governo dell’Asia li ha isolati in una isola deserta e ha donato loro ogni più varia sfumatura di armi. Il loro obiettivo è uccidere i loro compagni. Solo una persona può vincere e guadagnarsi la libertà. Da qui, il termine ‘battle royale’: tutti contro tutti con un solo possibile vincitore.

Dal libro è stato tratto anche un meraviglioso film che ha ricevuto le lodi di Tarantino (ininfluente ma almeno faccio un po di pubblicità dato che non lo conosce nessuno… diciamo che semmai Batttle Royale fa pubblicità al mio blog)

Se la trama vi ricorda qualcosa è perché Hunger Games ha la stessa identica trama (al limite del plagio). Solo che Battle Royale è uscito nel 1999 mentre Hunger Games quasi dieci anni dopo. Ovviamente non sto giudicando. Sono entrambe opere che fanno il loro dovere e scrivere qualcosa di interamente originale al giorno d’oggi è pressoché impossibile. Il motivo per cui la trama è stata riscritta è perché funziona. La premessa è irresistibile; la storia è geniale. Tuttavia non è questo il punto. Ciò che mi ha fatto collegare Battle Royale con l’epoca d’oro di Berserk è il famoso episodio di “uno contro cento”. Per chi ha letto Berserk è quasi impossibile dimenticare questa scena. Guts, il nostro eroe, combatte da solo contro cento soldati per difendere Caska.

Guts (non Gatts… il suo nome cambia di versione in versione) non si regola e combatte per otto ore di fila.

Provate a pensare. Un uomo contro cento persone che vogliono ucciderlo. L’unica speranza che ha per respirare ancora è quella di combattere. Questo è vero anche per i quarantadue bambini che sono costretti a uccidersi a vicenda. Non c’è alcuna nobiltà o poesia nel sopravvivere. Qualcuno (la minoranza) riesce a sopravvivere per vedere l’alba di un nuovo giorno. Ora… quello che sto per scrivere potrebbe risultare un filino drammatico: ma non è così anche oggi? Mi spiego meglio: i requisiti per sopravvivere sono decisamente cambiati con il tempo. Non c’è bisogno di essere ‘fisicamente’ forti per vivere; non c’è bisogno di cacciare o sapersi difendere (nonostante possa tornare utile). Cosa significa essere forti, oggi? Cosa significa riuscire a sopravvivere in una società dove abbiamo accesso a qualsiasi cosa ? (magari non è proprio vero in questi ultimi tempi… ma seguitemi).

Credo che il termine ‘battle royale’ e la frase ‘uno contro cento’ si sposi perfettamente con le nostre vite. Riallacciandomi al discorso del sogno di qualche post fa… quanti riescono veramente ad ottenere ciò che vogliono? Quanti possono dire di essere riusciti a fare ciò che si erano ripromessi? Noi viviamo in costante competizione con persone che neanche conosciamo per raggiungere un obiettivo. Non è la stessa cosa? Non siamo in un ‘battle royale’? Quando entri in un ring ne esci come vincitore o come vinto. Stesso discorso per chi entra in un competizione di qualsiasi genere.

Primo principio: tu sei il padrone delle tue azioni e hai il controllo dei tuoi sentimenti.
Secondo: scegli la persona che vuoi diventare
Terzo: dai priorità alle cose più importanti per te
Quarto: Pensa win/win (sotto)
Quinto: Prima ascolta e poi fa in modo di essere ascoltato
Sesto: connettiti con le altre persone
Settimo: segui i passi precedenti, raggiungi i tuoi obiettivi e lavora duramente.
I sette principi in chiave estremamente sintetica.

Tempo fa, ho citato un libro di crescita personale che mi ha aiutato molto a stabilire una routine: “The seven habits of highly effective people”. Uno dei setti principi (‘sette regole per avere successo‘ in italiano… credo che il titolo originale sia un filino più appropriato) recita di pensare win/win. Cosa significa? Pensare di non essere in una competizione. Parlare con il tuo “avversario”, capire le sue paure e i suoi problemi; far capire le tue paure e i tuoi problemi e, insieme, scegliere una soluzione. Covey, lo scrittore del libro, porta numerosi esempi di aziende, di banche, di qualsiasi proprietà (anche di relazioni familiari) che può essere risolta tramite un compromesso che possa soddisfare entrambe le parti. Niente uno contro cento, qui. Solo vincita per entrambe le parti. Questo suona molto bene e ha ragione: il dialogo e un accordo che soddisfi entrambe le parti può essere fantastico. Ma non è il caso quando cerchi di puntare a un obiettivo e avere successo. Qualcuno deve vincere. Qualcuno deve perdere.

Come ho detto prima: entrando in un ring ne esci da vinto o da vincitore. C’è solo bianco e nero senza sfumatura di grigio. Questo vale per il mondo dello sport come per il mondo della scrittura. Solo i forti vincono. Ovviamente, la mia non è una critica. Non sta a me decidere i criteri secondo cui una persona possa essere giudicata forte o meno. Esistono solo i risultati e basta. La prossima volta che criticate qualcuno di famoso che non è bravo nel suo campo (anche io sono colpevole di questo)… ricordatevi che lui ha raggiunto le stelle e noi no (non ancora?)

Io so per certo di combattere una battaglia uno contro cento. Non ho la grinta di Guts ma miro ad essere come lui.

Come sempre questo parallelismo tra manga, letteratura e vita reale mi sta uccidendo. Credo che in futuro mi limiterò a semplici recensioni. Il prossimo post sarà una recensione!

Non di Neon Genesis Evangelion però. Ho l’impressione di dover vedere questo anime minimo altre cinque volte per capire la trama in tutte le sue sfumature. Per il momento dirò che l’ho adorato.

Top narrativa.

Top trama.

Top simbolismo.

Top waifu.

Ehm… ho detto Top Waifu
Non è quella che intendevo
Perfezione

Per il momento, Evangelion occupa il terzo posto nella mia classifica anime/manga. Al primo posto immancabile Berserk e al secondo posto Devilman/ Devilman Crybaby.

Haruki Murakami- depressing af

Stavo guardando un vecchio video di Filthy Frank. Avete presente, no? Pink Guy? Nessuno? Eppure è stato un fenomeno di youtube nell’età dell’oro della piattoforma (referenza a Berserk). Se non lo conoscete, andate a cercarlo. Ad ogni modo, in quest’altro video Frank spiega nel dettaglio che cosa costituisce un weeabo. Per chi non lo sapesse: un weaboo è quella persona talmente ossessionata dagli anime e dalla cultura giapponese da immedesimarsi con la loro lingua, la loro storia e le loro credenze nonostante non siano giapponesi, non sanno parlare il giapponese, hanno visto sei serie anime e credono di sapere tutto sul Giappone. Sicuro avete presente chi sono queste persone.

La prima cosa che mi è balenata in mente è: ‘Di sicuro non parla di me.’ Ovvio che non parla di me. C’è un’enorme differenza tra chi semplicemente ama i manga e gli anime e chi si appropria di una cultura che non è la sua. La statuetta sulla mia scrivania di Yumeko senpai concorda con me. Ovviamente non dovete fidarvi della parola della mia waifu.

Accidenti. Troppo tardi.

Ovviamente si scherza qui. Non ho una statua di Yumeko sulla mia scrivania e non credo di essere giapponese solo perché adoro il loro intrattenimento (manga, anime, letteratura, cinema). Non voglio imparare il giapponese e non ho una waifu. Non che ci sia niente di male ad avere qualche action figure della propria serie animata preferita. Tuttavia, è bene capire quando una passione o un hobby diventa un ossessione. A tale riguardo, mi sento di consigliare un video musicale dal carattere provocatorio. MEMEME! Andate oltre il fan service e le numerose scene di sesso e provate a immedesimarvi con il personaggio principale di questa storia. Il personaggio principale è un Hikikomori (di cui ho scritto sul post dedicato a Holyland). Non lascia mai la sua casa, ha un’insana dipendenza da anime e pornografia che gli impediscono di vivere una vita normale. Il ragazzo è prigioniero di un mondo che non esiste.

Nonostante non mi sia mai trovato nella posizione del protagonista del video musicale, posso capirlo. D’altronde il mondo reale è così noioso, crudele e senza soddisfazioni… tanto vale rifugiarsi in un mondo animato, vero? Sbagliato! Se c’è una cosa che gli anime ci insegnano è di non arrendersi mai, trasformare la propria insoddisfazione in qualcosa di produttivo. Prendete Naruto: un ragazzino emarginato da tutti, senza genitori, che vuole provare il suo valore. Naruto ha due scelte:

Numero uno: eccellere nella via del ninja e provare riuscire ad avverare il suo sogno.

Numero due: chiudersi in casa con la sua waifu immaginaria per poi ritrovarsi a quarantanni a pentirsi delle proprie scelte.

Forse non è proprio questo il senso di Naruto, ma avete capito il punto. Il fatto è che, per citare Joe Rogan: ‘Tutti gli uomini devono scegliere tra due dolori: il dolore della disciplina (fare qualcosa di costruttivo), o il dolore del rimorso (scegliere la via più semplice e pentirsi in futuro)’. Vi chiedo di scegliere con grande saggezza.

Detto questo, cosa ci porta al titolo? Murakami è davvero deprimente? Si. Ma non del tutto. Per chi non lo sapesse, Haruki Murakami è uno scrittore ma non uno qualsiasi: uno dei scrittori orientali più famosi- e che ha venduto più libri in assoluto. Tra i suoi temi più cari troviamo l’alienazione, la depressione e l’indecisione. Wow. I protagonisti sono apatici a tutto ciò che li circonda e il loro malessere interiore, molto spesso, influenza il mondo in cui si muovono dando vita a una sorta di ‘realismo magico’: ovvero, un genere letterario in cui la magia si sposa in un contesto reale. Molto differente da un fantasy, poiché la magia ricopre un ruolo secondario esattamente come nei romanzi di Milan Kundera. Il libro in questione che ho letto è stato: ‘Colorless Tsukuru Tazaki and his years of pilgrimage’.

La trama è fantastica: Tazaki fa parte di un gruppo di amici -5 per l’esattezza- che si sono conosciuti negli anni delle elementari. Il gruppo è inseparabile: fanno qualsiasi cosa insieme e sono uniti da un profondo legame di amicizia. Un giorno, però, i quattro amici di Tazaki lo emarginano e tagliano tutti contatti con lui senza alcuna-apparente-ragione. Tazaki è devastato e porterà il malessere di essere stato escluso fino a quando diventerà adulto. Non riesce a stabilire più alcun contatto con le persone.

Il motivo per cui il protagonista è chiamato ‘colorless’: tutti i suoi amici hanno un cognome che rappresenta un colore. Tazaki è l’unico senza colore e, casualmente, è l’unico che è stato emarginato.

Il romanzo seguirà i pensieri, le emozioni e le azioni di Tazaki che vive annebbiato da uno spesso strato di apatia che gli impediscono di vivere la sua vita a pieno. A mio modesto avviso, il romanzo esegue uno splendido lavoro nel descrivere come la percezione di un evento possa completamente cambiare la percezione della vita. Tuttavia, è giusto dire che Tazaki è padrone delle proprie emozioni. Non esiste trauma abbastanza grosso da impedirci dal vivere una vita come vogliamo noi. Tazaki è distrutto dall’essere stato emarginato dai suoi amici perché lui ha permesso che questa emozione lo consumasse. Nel romanzo cercherà di cambiare questa attitudine e scoprire una volta per tutte il motivo per cui i suoi amici lo hanno abbandonato e finalmente andare avanti con la sua vita. Consiglio questo romanzo soprattutto a chi non ha l’abitudine di leggere molto. Lo stile della scrittura è scorrevole, il linguaggio è semplice e tutto è narrato in prima persona singolare. Il tema di non lasciare che un evento- per quanto negativo sia- influenzi la tua vita è affascinante quanto importante.

Lettura assolutamente consigliata. Come sempre, chiedo scusa per l’incapacità di andare dritto al sodo per ogni post che scrivo.

Devilman Crybaby- anime of the year (2018)

“L’amore non esiste… o così credevo”

Prima o poi doveva arrivare questo giorno. Il giorno in cui avrei parlato dell’anime che ha acceso la mia passione per l’animazione giapponesi. Devilman Crybaby catturò subito la mia attenzione per la fantastica- quanto strana – direzione artistica, animazione e colonna sonora. Seriamente: la colonna sonora di Devilman che sembra uscita da un remix di Tekken, Hotline Miami e Stranger Things.

La trama, invece, appariva a prima vista come un qualcosa di già visto: il timido Akira non è bravo negli sport o nello studio, non sa combattere e non sembra di certo qualcuno che possa vestire i panni dell’eroe. Tutto questo, però, cambia quando viene inghiottito da un demone: il potente Amon. Il pavido Akira si fonderà con il demone e ne otterrà i poteri lasciando intatto, però, la sua coscienza da umano. Un demone nel corpo di un umano con un animo ancora umano. Ovviamente non sarà il solo a subire questa sorte, nonostante la grande maggioranza degli umani che si fondono con i demoni soccombano, abbandonando la loro anima ma preservando il loro corpo che sarà abitato da un demone. Akira userà i suoi nuovi poteri per proteggere l’umanità dai malvagi demoni, i quali vogliono conquistare il mondo… una descrizione un filino cliché. Potrebbe benissimo essere la trama di spider-man. Uno sfigato viene morso da un ragno, diventa un badass e annienta i criminali con i suoi nuovi poteri. Tuttavia, dopo la prima metà della prima puntata, si scopre che Devilman Crybaby è diverso. Diverso in maniera sostanziale a qualsiasi supereroe mai concepito prima… cosa piuttosto scontata dato che il manga originale su cui è basato Devilman Crybaby è del 1973. La storia è la stessa ma ambientata ai giorni nostri.

Il gore, la violenza, il sesso e i continui riferimenti alla religione cristiana fanno di Devilman Crybaby un prodotto coraggioso e innovativo che vuole a tutti i costi lasciare qualcosa di nuovo e mai visto nell’ambito dell’animazione giapponese. Il fulcro dell’intera opera ruota intorno alla relazione di profonda amicizia che lega Akira, il protagonista, e Ryo: un professore universitario genio di sedici anni che cerca la causa della venuta dei demoni sulla terra (… detto così suona ridicolo, ma è un personaggio meraviglioso).

L’anime interroga lo spettatore sulla vera natura degli esseri umani, donandogli risposte impregnate di nichilismo e di sottile speranza che andrà a culminare in un finale che lascia ben poco spazio a quest’ultima. Sono davvero i demoni la minaccia che deve affrontare l’umanità o gli esseri umani stessi? Come scoprire chi è demone o chi non lo è? Possono la bontà e la fiducia degli umani superare l’isteria, la paura e la diffidenza che aleggia nel mondo? Devilman Crybaby non potrebbe essere più rilevante come al giorno d’oggi.

Il bene e il male. Il bianco e il nero che si scambiano i ruoli.

Ovviamente, una recensione su Devilman sarebbe inconcludente senza parlare della caratterizzazione dei personaggi (che, per inciso, ho trovato migliore nell’anime che nel manga). In dieci episodi, gli sceneggiatori sono riusciti a narrare l’epica storia di Go Nagai in una maniera che sembra essere più efficacie del manga stesso. Viene dato spazio a Miki Makimura, la cotta di Akira che frequenta il suo liceo e la sua casa, l’ambiguo Ryo viene dipinto con varie sfumature che riescono a descrivere il suo carattere in tutta la sua completezza, i rapper (aggiunta originale di Go Nagai) e le loro parole riescono ad amplicare l’atmosfera cupa e senza speranza che farà da padrona negli ultimi episodi di Devilman. Le scene di sesso e violenza esagerate all’ennesima potenza sono servite a descrivere gli istinti primordiali dei demoni che agiscono -all’apparenza- solo per appagare i proprio desideri. In conclusione, ho trovato Devilman un trionfo dall’inizio alla fine. Un piccolo gioiello con piccoli errori di direzione artistica che non influenzano minimamente sull’esperienza che regala questo anime.

Due parole sul finale: fantastico. Mi ha lasciato un vuoto dentro che solo Neon Genesis Evangelion è riuscito a regalarmi. La relazione tra Akira e Ryo è tra le più belle che io abbia mai visto in qualsiasi forma di media. Nel caso in cui decideste di imbarcarvi in questo viaggio: fate attenzione alle immagini con cui si apre l’episodio. Lo spettatore più attento rivelerà delle analogie con il finale che spiegheranno un retroscena molto importante su questa opera.

SPOILER:

Ryo si rivelerà essere l’angelo esiliato Satana (reincarnato dopo essere esiliato da Dio). Inconsapevolmente, ha guidato l’esercito di demoni contro l’umanità. Dopo aver ucciso l’amore di Akira (e tutti gli esseri imani ormai resi follia dalla paura), Miki Makimura, propone ad Akira di allearsi con lui e vivere in un mondo di soli demoni. Ryo, infatti, è innamorato di Akira.

Akira, ovviamente, rifiuta e decide di combattere contro Ryo-Satana. Akira recluta tutti i Devilmen del mondo (coloro che hanno i poteri dei demoni ma con l’anima umana ancora intatta). Lo scontro dell’Apocalisse ha inizio. Akira contro Satana. Bontà contro malvagità. Potenza divina contro rabbia e odio. Tuttavia… questa battaglia era decisa sin dall’inizio. Satana è troppo potente. Inconcepibile come si possa anche solo pensare di batterlo. Mentre demoni e Devilmen si massacrano tra di loro, Ryo e Akira giungono alla fine del loro scontro di amore e di odio. Tutto è silenzioso. Nessuno parla se non Ryo che è sdraiato su una spiaggia assieme al suo amico Akira.

Primo piano.

Vediamo solo i volti dei due.

Ryo spiega ad Akira perchè tutto è silenzioso: sono tutti morti- demoni, umani, devilmen. Sono solo loro. Ryo continua e dichiara i suoi sentimenti ad Akira. “L’amore non esiste o così credevo. Se non esiste l’amore e neanche la tristezza… perchè sto piangendo, Akira?” Il primo piano svanisce. La camera si allontana e rivela il cadavere di Akira diviso a metà. Satana ha vinto la battaglia. Stringe il cadavere di Akira a se e piange mentre Dio invia gli angeli a punire Satana per ciò che ha fatto e a creare una nuova vita in cui la storia viene ripetuta. Ancora. Ancora. E ancora. In un eterno loop con lo stesso finale. Satana uccide gli esseri umani, si innamora di Akira Fudo, si pente e ricrea il circolo. Che Dio lo faccia per punire Satana? Lo vuole punire perché ha scelto l’odio al posto dell’amore? Ryo prenderà mai il baton da Akira? E chi può dirlo. So solo che un finale del genere è perfetto per sintetizzare l’anima dell’umanità: siamo impegnati a cercare scontri e guerre inutili in cui non c’è mai un vincitore ma solo vinti.

Voto personale: Undici su dieci (caratterizzazione dei personaggi ottima; soundtrack indimenticabile; stile artistico originale; storia semi-banale che si trasforma gradualmente in un capolavoro).

Voto obiettivo: Otto su dieci (incertezze tecniche; disegni discutibili – soprattutto la caratterizzazione dei demoni; buchi di sceneggiatura; cambio di storia tra la fonte originale che convince in alcune parti ma fa un cattivo lavoro in altre. In poche parole: un capolavoro tecnico discutibile che non mina però l’intera esperienza.)

Holyland- la violenza che crea legami

Holyland è senza dubbio uno dei migliori manga che io abbia mai letto (subito dopo Berserk) ed è il numero uno per quanto riguarda le arti marziali. Kamishiro Yuu è uno studente del liceo (che sorpresa!)che è stato costretto ad abbandonare gli studi per i ripetuti atti di bullismo di cui è preda.

Diventa un NEET, una figura che sta diventando ormai tristemente nota in tutto il Giappone e in gran parte dei paesi occidentali. NEET è un acronimo di lingua inglese che significa: “Neither in Employment nor in Education or Training” (Persona, soprattutto di giovane età, che non ha né cerca un impiego e non frequenta una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale.)

Molto spesso queste persone, come nel caso di Kamishiro, vivono nelle case dei loro genitori, chiusi nelle loro camere e non escono quasi mai se non per assoluta necessità. Kamishiro vive passivamente preda delle voci nella sua testa, meditando costantemente il suicidio.

Però (c’è sempre un però, non è vero?) un giorno decide di reagire, imparando da autodidatta le nozioni base del pugilato nella sua camera grazie a un libro.

Nelle ore trascorre in solitudine nella sua camera, Kamishiro pratica i due pugni base del pugilato. Il jab (diretto mano sinistra); il cross (diretto mano destra). 5000 volte ogni giorno.

Kmaishiro resta chiuso in casa per più di un anno fino a quando non riesce a fare sue queste tecniche. Poi, si addentra nella sua personale Holyland: “la strada”.

Esce ogni notte negli oscuri vicoli di Tokyo per provare alle persone- e a se stesso- che lui ha ogni diritto di fare quello che vuole. Ben presto, si ritroverà preda della stessa persona che lo tormentava al liceo. Kamishiro riesce a tenergli testa, sfruttando il potere della combinazione base composta da jab e cross. Da qui inizia la leggenda del “cacciatore di teppisti”, un ragazzo che esce di notte per sconfiggere facilmente chiunque gli si pari davanti.

Da qui, inizia anche la trasformazione di Kamishiro, il quale incontrerà altri praticanti di arti marziali che si dedicano allo street-fighting e la sua continua evoluzione della sua tecnica di combattimento e della sua umanità.

Vi chiederete: “com’è possibile vincere uno scontro con due pugni?” La stragrande maggioranza delle persone non sa come combattere (come il tizio qui sopra). Osservate come carica il pugno in direzione di Kamishiro. Non c’è ragione per caricare il pugno all’indietro. Il sinistro e il destro sono i colpi più “diretti” per colpire l’avversario. Scaricare il peso di tutto il corpo sui tuoi pugni, essere veloce ed avere tempismo ha molto più senso che dare un colpo forte ma lento che lascia la tua guardia scoperta. Il manga è colmo di consigli pratici (e reali) su come gestire uno scontro da strada.

Kamishiro acquisterà sempre più fiducia in se stesso. Ma ha molto da imparare. Non ha gioco di gambe. Non sa come gestire una persona che sa utilizzare i calci. Ogni notte uscirà per le strade di Tokyo per trovare se stesso e diventare più forte. Il suo passato lo perseguita e sa che non troverà mai un suo posto nel mondo continuando a scappare dai suoi problemi. Nutrirà il rancore, l’odio e la rabbia dentro di lui fino a quando si sentirà finalmente al sicuro. Ma non può farlo da solo. Fortunatamente, nelle strade di Tokyo esistono anche persone decenti che lo aiuteranno a sviluppare la sua forza.

Boxing. Kickboxing. Judo. Karate. Full contact karate. Kendo. Wrestling. Le persone che hanno più prestigio nella strada sono gli artisti marziali.

Kamishiro sa che non può tirarsi più indietro. Il suo passato da vittima lo tormenta ogni notte e qualcosa dentro di lui sa che non potrà riposare in pace se non mettendosi costantemente alla prova. Ma Holyland è molto più di questo. Ogni persona che trova il suo posto nelle strade di Tokyo ha qualcosa da raccontare: un passato da cui cercano disperatamente di scappare rifugiandosi nell’uso della violenza. Persone che hanno abbandonato il liceo, che hanno avuto una perdita, che hanno un trauma irrecuperabile. Kamishiro non è troppo diverso dai suoi bulli, tormentati anch’essi da gravi traumi.

Holyland insegna che c’è un confine molto sottile tra preda e predatore dato che entrambi- a un certo punto della loro vita- ricopriranno entrambi i ruoli. Ma i legami che si formano grazie alla lotta restano. Kamishiro capisce che non è più solo e che non deve più esserlo. Il suo stile di combattimento misto diventerà l’unione di tutti gli stili che i suoi amici gli hanno insegnato. E, poco a poco, si lascerà alle spalle il passato, lì, nella terra santa in cui le bande giovanili si massacrano a mani nude.

Come Kamishiro, anche io sono entrato nel mondo delle arti marziali imparando il pugilato. Come lui, anche io ho qualcosa da dimostrare cercando di scappare da ciò che mi è accaduto prima. Grande esempio di Struggler: Kamishiro insegna che a volte bisogna combattere per se stessi e trasmettere la propria forza agli altri senza divenire preda del passato.

Ogni volta che perde, il senso di dimostrare qualcosa lo fa tornare in piedi. Non ha paura della sconfitta ma la accetta e va quasi a cercarla. Come dice la prima frase della sigla iniziale di Baki: “Voglio conoscere la sconfitta per il solo motivo di combattere”.

In conclusione (come scrivo sempre nei saggi in cui non ho idea di come concludere), Holyland ha il grande pregio di esplorare i traumi e le insicurezze del genere umano sotto la lente dello scontro fisico. In più, cosa non da poco per un manga, ha un tono realistico e le tecniche delle varie arti marziali vengono descritte con grande accuratezza senza drammi non necessari.

Kamishiro. Nel più cuore c’è spazio anche per te proprio accanto a Guts e Ryo.

My Hero Academia: cosa si è disposti a fare per realizzare il proprio sogno?

C’è chi sogna di dominare il mondo e chi dedica tutta la vita alla creazione di una spada. E se c’è un sogno a cui sacrificare tutti se stessi, c’è anche un sogno simile a una tempesta che spazza via migliaia di altri sogni. Non centra la classe, né lo status, e neppure l’età. Per quanto siano irrealizzabili, la gente ama i sogni. Il sogno ci dà forza e ci tormenta, ci fa vivere e ci uccide. E anche se ci abbandona, le sue ceneri rimangono sempre in fondo al cuore… fino alla morte. Se si nasce uomini, si dovrebbe desiderare una simile vita. Una vita da martiri spesa in nome di un dio chiamato sogno

Griffith

Devo essere sincero. Questo post è perlopiù ispirato dalla visione di My Hero Academia. Non parlerò qui della mia opinione sulla serie (bella… ma un filino sopravvalutata). Non cercherò di fare un parallelismo con Berserk: sarebbe più inutile di Sakura. Tuttavia, osservando Midoriya (Deku) dedicarsi ogni singolo giorno alla realizzazione del suo sogno, mi ha portato a riflettere per l’ennesima volta su cosa realmente significhi vivere per un sogno. Ora, non fraintendetemi: il tema della perseveranza, del duro lavoro, dei sogni, della redenzione e della crescita personale sono comuni all’ottanta percento dei manga. Risulterebbe impossibile non leggere anche solo un’opera all’apparenza superficiale come Dragon Ball senza percepire un desiderio continuo di “spingersi oltre il proprio limite“. Ma è proprio per la mia passione per i manga che il tema del sogno è talmente radicato in me da essere parte della mia filosofia.

Incominciamo con My Hero Academia: in un futuro vicino, la maggior parte della popolazione nasce con un “quirk” che gli permette di compiere azioni straordinarie. Tutti sognano di essere supereroi e, adesso, questo sogno può finalmente diventare realtà. Non ci è dato sapere perché ci sia stata questa improvvisa “esplosione” di supereroi, tuttavia è così. In questo mondo, un bambino vuole disperatamente essere come All-Might, il supereroe simbolo della giustizia… ma (c’è sempre un ma, non è vero?) il ragazzo in questione fa parte del venti percento della popolazione che è nata senza quirk. Senza poteri, allontanato dai suoi coetanei, vittima di bullismo, ossessionato da un qualcosa che è decisamente fuori dalla sua portata.

Midoriya, soprannominato “Deku” (inutile)

Tutto questo fino a quando non incontra finalmente il suo eroe, All Might, che riconosce il valore di Midoriya e gli “trasmette” il potere “One for All”… tuttavia, questo potere è ben differente dal morso del ragno di Peter Parker o il bagno nei rifiuti radioattivi di Bruce Banner: infatti, il giovane Midoriya, dovrà sostenere un duro programma di allenamento che metterà a dura prova la sua mente e il suo corpo, rendendolo così degno di ereditare il One For All.

Come dice All Might stesso: “C’è una grande differenza tra chi nasce con un’abilità e chi si fa il culo per ottenerla…” (più o meno il senso è quello). Ed è così che nasce la storia di Midoriya e di come abbia completamente cambiato se stesso per arrivare più vicino al proprio sogno. Ho letto molte critiche riguardo questo aspetto. A quanto pare, My Hero Academia, è percepita da alcuni come una favola irrealistica che dipinge una realtà che potrebbe mai accadere. Non tutti coloro che seguono i propri sogni, infatti, li realizzerebbero al contrario di quanto questo anime insegni.

Midoriya (quello che fa fatica a sollevare 30 chili di panca piana) si spacca di brutto cercando di diventare come il suo eroe, All Might (a destra)

Non è questo il punto di My Hero Academia (neanche quello di Naruto, Dragon Ball, Baki…). Il punto è che tutti i sogni sono alla portata di chiunque. Tuttavia, pochi sono disposti a sputare sangue per ottenerli. Pochi sono disposti a impazzire e ad abbandonare la propria sanità mentale per raggiungere quel punto di non ritorno in cui la maggior parte delle persone semplicemente abbandona. Questo è qualcosa che vedo ogni giorno.

In palestra, quando le persone cercano di attenersi a quella ridicola lista di buoni propositi che hanno creato due ore prima la mezzanotte del capodanno e comprano una di quelle “membership” bimensili foderate in plastica scintillanti destinate a prendere polvere nei portafogli. Negli studi, quando si preferisce Netflix ai libri per poi rischiare di perdere l’anno. E così via. Il punto, quindi, è che i sogni sono sì alla portata di tutti ma sono talmente poche le persone che sono disposte ad annullarsi per seguire il proprio sogno che è praticamente dire lo stesso di: “Non tutti possono fare tutto”. Ovviamente, chiunque può avere i propri momenti di debolezza.

Sempre per citare All Might: “Un vero eroe non è quello senza debolezza. Un vero eroe è colui che agisce e prende una posizione combattendo le proprie debolezze.” (Più o meno. Leggo in inglese perciò le mie traduzioni non sono fedeli al cento per cento.)

Deku e All Might: anche loro sono degli ottimi esempi di Strugglers.

Torniamo all’inizio del post. Ho scelto una frase emblematica di uno dei personaggi più odiati del mondo della narrazione. Griffith: il motivo per cui Guts ha incominciato il suo viaggio.

SPOILERS PESANTI SU BERSERK:

Colui che ha sacrificato l’intera Squadra dei Falchi per la realizzazione del suo sogno. Il super-uomo descritto da Nietzsche: libero da ogni morale, libero da ogni stupida legge terrestre degli uomini. Il suo sogno sembra davvero così grande da spazzare via ogni cosa che incontra. Sembra la personificazione androgina del protagonista di Delitto e Castigo. Dato che questo voleva essere un post-lampo (come una piccola Blitzkrieg), non mi soffermerò sull’analisi di questo personaggio tanto complesso quanto frainteso. Per tutti coloro familiari con l’opera di Berserk, vi chiedo di essere sinceri con voi stessi: non avreste fatto le stesse azioni di Griffith ai tempi dell’Eclissi? (Caska a parte) Stiamo parlando di un individuo completamente distrutto (mentalmente per la perdita di Guts, fisicamente per un anno ininterrotto di tortura). Il sogno per cui viveva è evaporato come neve sotto il sole. Stiamo parlando di una persona che ha persino contemplato il suicidio pur di non essere un peso per la Squadra dei Falchi. Fino a quando il behelit appare di nuovo dandogli nuova speranza.

Se non avesse sacrificato i suoi amici, la morte di tutti coloro uccisi nei campi di battaglia sotto il vessillo del sogno di Griffith non avrebbero avuto alcun senso. Anche lui ha dovuto scalare la gerarchia sociale per arrivare dove era arrivato. Anche lui, come Deku, ha sputato sangue (letteralmente) per arrivare dov’era. Un sogno che era diventato realtà per poi perderlo… per poi acquisirlo nuovamente. Ad essere sincero, dubito avrei avuto il coraggio di Griffith di sacrificare i miei amici, ma non me la sento di condannarlo. La sua scelta può di sicuro essere discutibile, ma ha senso e posso comprenderla molto bene.

Detto questo, dal nome del sito, penso si possa evincere con facilità chi sia il mio personaggio preferito nello yin e yang che prendono il nome di Griffith e Guts.

P.S: Questo signore, JaxBlade, gestisce un interessante canale di Youtube in cui approfondisce per filo e per segno ogni tipo di allenamento introdotto dalla maggior parte degli anime. In questo video, ad esempio, spiega come allenarsi come Deku. Ogni persona che si è sentita ispirata ad allenarsi guardando gli anime dovrebbe ringraziare JaxBlade.