Murakami depressing af II- A sud del confine, a ovest del sole

A diciannove anni partii per Londra con un biglietto di sola andata.

Lo so.

Non è originale come meta ma penso sia la prima destinazione che ti viene in mente quando non hai molta esperienza e non hai le palle per andare oltre oceano. Comunque sia, partii verso settembre e alloggiavo in una camerata d’ostello condivisa con altre sette persone. Immaginatevi otto uomini chiusi in una stanza grande quanto un salotto con quattro letti a castello, una doccia, uno specchio e un lavandino. Dormivo sul letto di sopra posizionato accanto alla finestra che si affacciava su un cimitero così grande che si andava a perdere nell’infinito, da qualche parte, all’orizzonte. Era uno spettacolo fantastico: le tombe gotiche si confondevano tra i rami spogli degli alberi di inizio autunno, il terreno era ricoperto da un manto soffice di foglie che scricchiolavano sotto i passi dei visitatori. Ho passato più di una notte insonne a osservare quel cimitero, il quale mi riempiva di una grande sensazione di pace e di melanconia.

Alcuni dei tramonti più belli li ho visti proprio lì. Mi ricordo che uno dei miei sette compagni di stanza mi offrì una lattina di Monster sul finire del pomeriggio (preciso momento in cui sviluppai una dipendenza da energy drink) e guardammo insieme il tramonto. Per un momento, non c’erano preoccupazioni per il futuro né ansie sociali inutili: solo due persone appena conosciute che si godono il sole tramontare sulle tombe con la fredda aria settembrina londinese a scompigliarci i capelli e le luci dei lampioni accendersi lentamente.

Leggere Murakami mi offre quelle stesse sensazioni: malinconia, stupore, meraviglia, accettazione, un certo senso di familiarità e un certo senso di solitudine.

Mi sono messo in testa di leggere ogni suo singolo libro e credo di essere a buon punto. Ultimamente ho letto ‘A sud del confine, a ovest del sole’: un volume smilzo di appena 200 pagine.

La malinconia di Murakami

Hajime è un bambino solo costretto a rapportarsi con la solitudine sin dall’infanzia. Ogni suo compagno di classe ha almeno un fratello o una sorella. Nel Giappone del dopoguerra era molto raro essere figli unici. Hajime fa di questa sua solitudine una fortezza impegnandosi nella scuola e nello sport senza però instaurare alcun legame. Tutto questo cambia quando conosce Shimamoto, una bambina tanto sola quanto lui. I due cominciano a conoscersi e a condividere le proprie passioni tra cui la lettura e la musica. Dopo le elementari, Shimamoto cambia casa e scuola ma Hajime riesce comunque a trovare il modo per vederla. Il rapporto non si evolve dalla semplice amicizia con cui era nato tuttavia entrambi sentono un legame profondo, speciale e fisico l’uno per l’altra.

Con il passare del tempo le visite si fanno sempre più rade. La vita va avanti e Hajime si convince a non mantenere i contatti. Lui stesso è insicuro di questa decisione. Forse ha paura di essere ferito. Forse ha paura che Shimamoto non voglia la sua compagnia. Sia quel sia, Hajime, si ritrova ben presto al liceo dove esplora se stesso tramite una relazione con una ragazza di nome Izumi e che tradirà con sua cugina. Il tradimento di Hajime provoca un collasso emotivo a Izumi che si rinchiuderà in se stessa tagliando ogni contatto con Hajime.

Gli anni vanno avanti. Hajime è sempre solo e ripensa costantemente all’unica persona con cui abbia avuto una connessione speciale: Shimamoto. A volte pensa di tentare a ricontattarla ma qualcosa lo blocca. Decide che è meglio concentrarsi sulla propria vita. Conclude gli anni all’Università, trova un lavoro insoddisfacente in una casa editrice e, a trent’anni, si sposa con una ragazza incontrata in un viaggio (ovviamente) in solitaria: Yukiko.

Hajime rimane folgorato da Yukiko, dalla quale avrà due bambine. Apre un locale in cui si suona musica jazz dal vivo e ottiene una certa fama a Tokyo. Ha una vita fortunata ma, come lui stesso ammette, a tratti appare vuota e artificiosa. Non ha mai avuto sogni o ambizioni, né provato grandi gioie. La vita semplicemente scorre fino a quando non ritrova Shimamoto nel suo locale. Sono passati più di due decenni ma lui la riconosce subito.

Con lo sfondo della malinconica musica jazz del locale, i due parlano per ore. Qualcosa in Hajime si riaccende e (forse) si interroga su come sarebbe stata la sua vita se avesse continuato a frequentare Shimamoto.

Lungi dall’essere una storia d’amore, ‘A sud del confine, a Ovest del sole’ di Murakami è la cronaca di un uomo indeciso non tanto sotto l’aspetto del romanticismo quanto sul trovare un significato alla propria vita. Tutto appare malinconico e senza scopo per lui. L’esistenza delle ragazze che ha avuto (Shimamoto, Izumi e Yukiko) scandisce il senso del tempo passato a vivere passivamente.

Forse Yukiko (sua moglie) corrisponde al presente. Izumi è un fantasma del passato e dei suoi errori. Shimamoto, invece, è un grande ‘forse’; più la personificazione di un concetto che una donna. L’idea di Shimamoto (e il fatto di averla incontrata dopo molti anni) aiuta (forse) Hajime a scappare da un passato insoddisfacente e da un presente mediocre.

Leggere Murakami è sempre una esperienza agrodolce. Lo spirito di questo libro è lo stesso che permea le pagine di Norwegian Wood, L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Kafka sulla spiaggia e, in minor parte, la fine del mondo e il paese delle meraviglie. Lo stile di scrittura è semplice e raffinato con ben pochi giri di parole. Ormai leggere Murakami, per me, è come parlare con un amico osservando insieme il sole sorgere in un cimitero: un’esperienza bellissima e melanconica.

Assolutamente consigliato.

Haruki Murakami- depressing af

Stavo guardando un vecchio video di Filthy Frank. Avete presente, no? Pink Guy? Nessuno? Eppure è stato un fenomeno di youtube nell’età dell’oro della piattoforma (referenza a Berserk). Se non lo conoscete, andate a cercarlo. Ad ogni modo, in quest’altro video Frank spiega nel dettaglio che cosa costituisce un weeabo. Per chi non lo sapesse: un weaboo è quella persona talmente ossessionata dagli anime e dalla cultura giapponese da immedesimarsi con la loro lingua, la loro storia e le loro credenze nonostante non siano giapponesi, non sanno parlare il giapponese, hanno visto sei serie anime e credono di sapere tutto sul Giappone. Sicuro avete presente chi sono queste persone.

La prima cosa che mi è balenata in mente è: ‘Di sicuro non parla di me.’ Ovvio che non parla di me. C’è un’enorme differenza tra chi semplicemente ama i manga e gli anime e chi si appropria di una cultura che non è la sua. La statuetta sulla mia scrivania di Yumeko senpai concorda con me. Ovviamente non dovete fidarvi della parola della mia waifu.

Accidenti. Troppo tardi.

Ovviamente si scherza qui. Non ho una statua di Yumeko sulla mia scrivania e non credo di essere giapponese solo perché adoro il loro intrattenimento (manga, anime, letteratura, cinema). Non voglio imparare il giapponese e non ho una waifu. Non che ci sia niente di male ad avere qualche action figure della propria serie animata preferita. Tuttavia, è bene capire quando una passione o un hobby diventa un ossessione. A tale riguardo, mi sento di consigliare un video musicale dal carattere provocatorio. MEMEME! Andate oltre il fan service e le numerose scene di sesso e provate a immedesimarvi con il personaggio principale di questa storia. Il personaggio principale è un Hikikomori (di cui ho scritto sul post dedicato a Holyland). Non lascia mai la sua casa, ha un’insana dipendenza da anime e pornografia che gli impediscono di vivere una vita normale. Il ragazzo è prigioniero di un mondo che non esiste.

Nonostante non mi sia mai trovato nella posizione del protagonista del video musicale, posso capirlo. D’altronde il mondo reale è così noioso, crudele e senza soddisfazioni… tanto vale rifugiarsi in un mondo animato, vero? Sbagliato! Se c’è una cosa che gli anime ci insegnano è di non arrendersi mai, trasformare la propria insoddisfazione in qualcosa di produttivo. Prendete Naruto: un ragazzino emarginato da tutti, senza genitori, che vuole provare il suo valore. Naruto ha due scelte:

Numero uno: eccellere nella via del ninja e provare riuscire ad avverare il suo sogno.

Numero due: chiudersi in casa con la sua waifu immaginaria per poi ritrovarsi a quarantanni a pentirsi delle proprie scelte.

Forse non è proprio questo il senso di Naruto, ma avete capito il punto. Il fatto è che, per citare Joe Rogan: ‘Tutti gli uomini devono scegliere tra due dolori: il dolore della disciplina (fare qualcosa di costruttivo), o il dolore del rimorso (scegliere la via più semplice e pentirsi in futuro)’. Vi chiedo di scegliere con grande saggezza.

Detto questo, cosa ci porta al titolo? Murakami è davvero deprimente? Si. Ma non del tutto. Per chi non lo sapesse, Haruki Murakami è uno scrittore ma non uno qualsiasi: uno dei scrittori orientali più famosi- e che ha venduto più libri in assoluto. Tra i suoi temi più cari troviamo l’alienazione, la depressione e l’indecisione. Wow. I protagonisti sono apatici a tutto ciò che li circonda e il loro malessere interiore, molto spesso, influenza il mondo in cui si muovono dando vita a una sorta di ‘realismo magico’: ovvero, un genere letterario in cui la magia si sposa in un contesto reale. Molto differente da un fantasy, poiché la magia ricopre un ruolo secondario esattamente come nei romanzi di Milan Kundera. Il libro in questione che ho letto è stato: ‘Colorless Tsukuru Tazaki and his years of pilgrimage’.

La trama è fantastica: Tazaki fa parte di un gruppo di amici -5 per l’esattezza- che si sono conosciuti negli anni delle elementari. Il gruppo è inseparabile: fanno qualsiasi cosa insieme e sono uniti da un profondo legame di amicizia. Un giorno, però, i quattro amici di Tazaki lo emarginano e tagliano tutti contatti con lui senza alcuna-apparente-ragione. Tazaki è devastato e porterà il malessere di essere stato escluso fino a quando diventerà adulto. Non riesce a stabilire più alcun contatto con le persone.

Il motivo per cui il protagonista è chiamato ‘colorless’: tutti i suoi amici hanno un cognome che rappresenta un colore. Tazaki è l’unico senza colore e, casualmente, è l’unico che è stato emarginato.

Il romanzo seguirà i pensieri, le emozioni e le azioni di Tazaki che vive annebbiato da uno spesso strato di apatia che gli impediscono di vivere la sua vita a pieno. A mio modesto avviso, il romanzo esegue uno splendido lavoro nel descrivere come la percezione di un evento possa completamente cambiare la percezione della vita. Tuttavia, è giusto dire che Tazaki è padrone delle proprie emozioni. Non esiste trauma abbastanza grosso da impedirci dal vivere una vita come vogliamo noi. Tazaki è distrutto dall’essere stato emarginato dai suoi amici perché lui ha permesso che questa emozione lo consumasse. Nel romanzo cercherà di cambiare questa attitudine e scoprire una volta per tutte il motivo per cui i suoi amici lo hanno abbandonato e finalmente andare avanti con la sua vita. Consiglio questo romanzo soprattutto a chi non ha l’abitudine di leggere molto. Lo stile della scrittura è scorrevole, il linguaggio è semplice e tutto è narrato in prima persona singolare. Il tema di non lasciare che un evento- per quanto negativo sia- influenzi la tua vita è affascinante quanto importante.

Lettura assolutamente consigliata. Come sempre, chiedo scusa per l’incapacità di andare dritto al sodo per ogni post che scrivo.