On writing di Stephen King, commenti di IoScrittore, sanità mentale e il mio romanzo I

Nel periodo di Natale lessi On Writing di Stephen King, un piccolo manuale di scrittura creativa (nonostante lo stesso autore rabbrividirebbe nel definirlo tale). Mi era stato descritto come ‘imperdibile’ fonte di ispirazione per un giovane, aspirante autore. All’Università era nella lista dei libri facoltativi da leggere nel corso di scrittura creativa. Inutile aggiungere che nessuno lo sfogliò.

Ho sempre evitato di leggere manuali di scrittura creativa ma (un grande ma) ho sempre adorato Stephen King. Il primo libro che lessi senza che nessuno mi obbligasse a farlo (subito dopo Harry Potter) fu Misery all’età di quattordici anni.

Che trip.

Adoravo il fatto che l’intera storia si svolgesse nel piccolo spazio di una camera dentro una casa. Adoravo come i pensieri di Paul Sheldon occupassero il romanzo per ogni singola pagina e, cosa forse più importante, adoravo Annie Wilkes: l’aguzzina psicopatica che costringeva Paul a continuare i suoi romanzi incentrati su Misery.

Annie, al contrario di una nemesi come Voldemort, aveva una grande caratteristica: faceva paura. Faceva seriamente paura.

Chi avrebbe paura del signore oscuro che lancia incantesimi di magia nera quando Annie potrebbe tagliarti le gambe e fartele mangiare?

Quando Annie era da sola in stanza con Paul avevo legittimamente paura per lui; un’emozione che non mi era mai capitata prima (mai leggendo un romanzo perlomeno). Dopo Misery lessi molti dei suoi libri (la saga della Torre Nera, La bambina che amava Tom Gordon, Desperation, Joyland tra i miei preferiti) e, nonostante i manuali sulla scrittura non mi convincono, sapevo che il Re aveva (doveva avere) qualcosa di interessante da dire.

Sta scrutando nella tua anima. Ciò che vede non gli piace.

King comincia i primi capitoli del libro descrivendo la sua vita e di come abbia deciso di diventare un romanziere.

Il suo approccio con il mondo della narrativa cominciato con film horror di serie B; un cofanetto pieno di racconti brevi di H.P. Lovecraft; una tendenza ad isolarsi nella finzione; la carriera nel giornalino scolastico; il primo racconto venduto all’età di otto anni; le esperienze di bullismo che diedero l’ispirazione per il suo primo romanzo pubblicato Carrie e le centinaia (se non migliaia) di lettere di rifiuto: il percorso di Stephen King è costellato di piccole vittorie ed enormi fallimenti prima di raggiungere la fama di ‘Re dell’horror’ come è internazionalmente conosciuto. Prima di Carrie, King scrisse quattro romanzi che venivano periodicamente rifiutati. La fonte di guadagno proveniva dal suo lavoro come addetto delle pulizie in una lavanderia automatica (poi successivamente come insegnante di inglese), brevi racconti pubblicati in riviste sconosciute e non (una delle sue storie venne inserite su Playboy Magazine) e da piccoli lavoretti qua e là per arrotondare. Una delle cose in cui trovava più conforto era la scrittura: come lui stesso ammette, buttare giù almeno duemila parole al giorno era una droga.

Stephen King aveva la convinzione che un giorno sarebbe diventato un grande scrittore nonostante le molteplici battute di arresto che la sua carriera ha dovuto affrontare prima di decollare.

Stephen King scriveva dappertutto: nella sua casa, a scuola, nei tavoli dei fast-food (da quanto mi ricordo). Ogni minuto della giornata in cui non scriveva, King leggeva. Non poteva farne a meno e, come lui spesso ricorda, la lettura è una delle abitudini più importanti per gli scrittori poiché senza non si hanno sufficienti strumenti per costruire una storia degna di tale nome.

Come lui stesso dice:

‘Da ragazzino divoravo Ray Bradbury e scrivevo come lui, ricalcandone la spontaneità, lo stupore e la venata nostalgia. non appena passai a James M. Cain comincia a usare uno stile duro, essenziale e sincopato. Con Lovecraft, la mia prosa diventò corta e ridondante. Da adolescente buttai giù racconti dove queste influenze si fondevano, dando origine a un buffo pastrocchio. Si tratta di un passaggio obbligato per sviluppare il proprio stile, ma non succede per caso. Dovete leggere di tutto, continuando nel frattempo a correggere e riformulare i vostri lavori.’

Il Re non è cambiato e anche oggi segue una routine molto scrupolosa con una media di pubblicazione di due libri all’anno (probabilmente con il tempo che ho impiegato per scrivere questo post, King ha pubblicato un bestseller già in vetta alla classifica del New Yorker da due settimane).

Ovviamente ciò non è stato facile. Quando ricevi continui rifiuti la tua autostima potrebbe vacillare. E quando ricevi troppo successo insieme potresti inebriarti a tal punto da diventare dipendente da altre abitudini e dipendenze molto più pericolose oltre a quella dello scrivere (che è già pericolosa di per sé). L’unica cosa che si può fare in questi casi è continuare per la propria strada, fare del proprio meglio e sperare (avere la certezza) che qualcosa di buono prima o poi accadrà. O almeno questo è quello che ho recepito nel leggere quelle pagine.

Oltre a leggere e scrivere molto (e divorare ogni forma di narrazione compresi i fumetti, il cinema e le serie televisive), King consiglia (o, per meglio dire, implora) di ridurre tutto all’osso, avere uno stile semplice e diretto e di evitare inutili giri di parole. Non dire con due parole ciò che puoi dire con una… o qualcosa del genere.

Ovviamente ci sono molte varianti per questo consiglio ma sono assolutamente d’accordo. Sono davvero pochi a sposare un linguaggio d’altri tempi ed aulico senza apparire pretenziosi.

‘La strada per l’inferno è lastricata di avverbi,’ dice King.

‘Stick to the basics!’ come diceva il mio coach di Boxe. Se non sei (ancora) capace di imitare Mohamed Alì non usare una guardia bassa: avrai delle brutte sorprese, champ.

Sembra impressionante (e lo è) ma non fatelo nel vostro primo incontro. No. Seriamente. Non fatelo.

La terza regola per la scrittura. Quella che preferisco di più. ‘Il talento è meno costoso del sale in tavola. Ciò che separa l’individuo di talento da quello di successo è un sacco di lavoro.’

Ora… non credo che la frase di Stephen King significhi che tutti possono diventare degli scrittori e che non esiste il talento (sarebbe una falsità bella e buona). Ciò significa, a mio parere, è che sia il talento che il duro lavoro siano fondamentali per l’avvio di qualsiasi carriera (soprattutto nel campo dell’arte e dello sport). Tuttavia il duro lavoro è più importante del talento per due motivi (almeno secondo me):

Uno: Se hai un talento mostruoso e non lo utilizzi è come non averlo affatto.

Due: Se una persona senza talento si impegna e scrive continuamente, un’occasione per arrivare al successo la avrà, poiché avrà diversi lavori da proporre e se anche uno dovesse piacere potrebbe diventare (in teoria) un successo commerciale. Non è raro trovare romanzi definiti ‘orribili’ dalla critica che riscuotono grande popolarità tra il pubblico (non faccio nomi, ognuno pensi a chi voglia pensare).

Romanzo e ambizione

Forse ho una visione troppo ottimistica ma credo che chiunque abbia la capacità di compiere grandi imprese in questo mondo. Ciò che blocca (sin troppo spesso) è il lasciarsi divorare dal proprio dubbio e dal proprio senso di inferiorità causato da esperienze negative; ma il fatto è che questi eventi capitano alla maggior parte della gente e coloro che hanno successo sono gli stessi che lavorano maniacalmente alla loro arte senza curarsi (troppo) delle influenze passive e negative che incontrano nella loro via verso il successo. Ci vuole tempo per arrivare alla vetta. Ci vuole tempo per avere dei risultati. Essere consapevoli che un giorno potremmo avere ciò che vogliamo può fare tutta la differenza del mondo. Non tutti quelli che lavorano duramente hanno avuto successo, però, tutti quelli che lo hanno avuto hanno lavorato duramente.

Una delle cose più importanti che ho dedotto da On Writing è di lavorare non solo sulla propria arte (qualsiasi essa sia: scrittura, pugilato o altro) ma di dare primaria importanza alla propria sanità e forza mentale: che sia una sconfitta o che siano mille sconfitte, non bisogna diventare dei mostri pieni d’odio e risentimento ma puntare in alto cercando di correggere i propri errori a ogni piccolo tentativo.

Quando subisco una sconfitta o una delusione faccio un piccolo gioco mentale: immagino di essere Guts che continua il suo viaggio nell’oscurità senza mai arrendersi.

Nel post precedente avevo parlato del torneo di IoScrittore e di come io lo abbia perso poiché il mio incipit non ha raggiunto la media desiderata. Però c’è un premio di consolazione: avere accesso ai dieci commenti che hanno letto le prime pagine del tuo romanzo. Non nascondo che avevo molta paura nel leggerli. Dato che ho perso sapevo già che non sarebbero stati molto lusinghieri (alcuni utenti si sono lamentati della crudezza e della brutalità di alcuni commenti delle loro opere). Però è andata meglio di quanto pensassi. Voglio esorcizzare le mie paure e li posterò qui. Più si scappa da un qualcosa, più incrementa la paura di quel qualcosa per come la vedo. Meglio fare come Guts e affrontare tutto subito. Il dolore passa prima e ci si può concentrare subito sul futuro.

  • Sinossi molto sintetica ma esauriente. Peccato che non ci dica come va a finire, è una sinossi non una seconda di copertina che deve lasciare il mistero.Un testo scritto benissimo, al punto che il racconto finisce in secondo piano. Uno stile particolare che si distacca dalla banalità ricorrente. Ha tutto per essere un ottimo scrittore.La storia non mi è sembrata originale, ma è costruita così bene che si fa accettare anche nei passaggi disgustosi (leggi: quando lecca il sangue)Se proprio debbo trovare qualcosa di negativo, sono alcuni refusi qua e la, ma presi dalla lettura passano inosservati. E magari l’eccessivo utilizzo di “cazzo”, fa parte del linguaggio vivo, ma a volte sembra forzato e non aggiunge nulla alla scrittura molto bella.
  • Scrivi in un modo abbastanza disturbante ed accattivante!Sono riuscito in poche pagine ad entrare in questo ragazzo disturbato ed a sentire il sapore del sangue nella bocca…Vorrei leggere il resto, e credo che questo sia il goal da raggiungere in questa fase, bravo!Attento a non entrare nel “caricaturale” ovvero nel troppo esagerato o gia’ sentito o “americanata”.AUGURI!
  • Il ritmo narrativo è molto buono, con un incipit cruento che cattura subito l’attenzione. Il protagonista è delineato con attenzione: il flusso di coscienza ci mette subito in contatto con le sue pulsioni che sembrano essere il motore dell’azione.L’introspezione psicologica emerge a poco a poco: Struggler non è un adolescente comune, così come non sono comuni le sue idee, le sue routine. La violenza come istinto animale innato a cui da voce, corpo e soprattutto lucido pensiero.I personaggi secondari sembrano delineare il background, più che avere (per ora) parte attiva nella vicenda.Lo stile è curato e pulito da giochi di retorica che avrebbero appesantito la narrazione. Nel complesso il giudizio è positivo, sarà interessante leggere l’evolversi dei fatti.
  • L’incipit è scritto in modo vivido e fluido e la scelta di un narratore in prima persona è azzeccata per la storia raccontata. Anche il flusso di coscienza si presta bene ed è efficace, lascia che il lettore segua in modo naturale il pensiero del protagonista in tutti i suoi meandri. I dettagli della vita di Struggler (anche se per il momento il suo nome è sicuramente un altro ma al lettore non viene dato sapere quale) vengono dati in modo metodico e efficiente (i.e. l’excursus sul patrigno) in modo da non appesantire la narrazione. Il senso del tempo e del luogo restano confusi, potrebbe essere una scelta intenzionale dell’autore che intende creare un mondo “altro”, distopico o fantastico, ma la mancanza di chiarezza su questi e altri punti essenziali lascia il lettore in un’inutile ambiguità. Il riferimento ai greci quando il motto della scuola è in latino andrebbe corretto. Il personaggio principale appare modellato in parte su uno dei cavalieri dello zodiaco, in parte su Patrick Bateman di American Psycho, ma la voce non è convincente per un sedicenne. Il consiglio sarebbe di lavorare di più sulla psicologia del personaggio e sui dialoghi che presentano delle debolezze evidenti (poco realistici).
  • L’incipit del romanzo “Heaven’s night” introduce direttamente nei meandri di una mente contorta e disturbata, suscitando efficacemente nel lettore emozioni contrastanti che vanno dalla curiosità al ribrezzo. La forza dei dettagli utilizzati e delle descrizioni si manifesta nell’immedesimazione del lettore che non vive gli accadimenti con distacco, ma ne viene coinvolto direttamente. La scrittura è articolata e scorrevole, coinvolgente, non banale e non eccessivamente perfetta. I dettagli sono scelti con accuratezza ed è evidente che l’autore conosce ciò di cui narra. Nell’incipit la trama si sviluppa solo in un paio di episodi di relativa rilevanza, per quanto sconcertanti, ma è evidente che si arricchirà più tardi. La curiosità del lettore a proseguire la lettura è stimolata principalmente dalle caratteristiche così singolari e sconvolgenti del protagonista più che dagli accadimenti. Ciò che manca è un inquadramento del protagonista e della sua personalità nella storia che aiuti il lettore a capire il motivo di alcuni suoi pensieri o quanto meno la loro evoluzione. Quando, come e perché è diventato così crudele, così spietato, così disturbato. Cosa lo ha portato ad assumere queste caratteristiche. Introdurre questi aspetti aiuterebbe a conferire maggiore autenticità ed efficacia alla storia. Una psicologia così contorta non può non avere un origine. Al contrario la mancanza di spiegazione a questo tipo di personalità, ha l’effetto a suo modo efficace di lasciare il lettore ancor più sconvolto e interdetto.
  • Nel giudicare gli altri incipit che ho letto finora, alcuni davvero pessimi, altri più meritevoli, ho avuto poche esitazioni nel formulare e nell’esprimere un giudizio, per quanto possa valere la mia modesta opinione ovviamente. Questo però mi lascia perplesso, sono abbastanza sicuro del fatto che riceverà giudizi tra loro contrastanti.Partiamo subito con gli aspetti puramente tecnici. L’incipit in questione è scritto davvero bene, l’aspetto prettamente narrativo è forse il migliore tra quelli che ho finora esaminato. Non vi sono praticamente errori se non una o due sciocchezzuole, la sintassi è pressoché perfetta, gli ambienti e i personaggi sono davvero molto ben descritti e caratterizzati. Nella votazione destinata alla grammatica e l’ortografia assegnerò certamente un 9 oppure un 10, ci devo pensare ancora un attimo. Sotto questo aspetto il testo merita ampiamente il passaggio alla fase successiva del concorso.Veniamo ora invece alla storia vera e propria. Il romanzo viene presentato come un fantasy, anche se non ho ben realizzato quali dovrebbero essere gli elementi fantasy né dall’incipit né dalla sinossi, che mi permette di avere le idee più chiare sugli sviluppi della trama. Può darsi che il fantasy sia più che altro simbolico. Ci sono alcuni elementi da cui posso dedurre che l’autore sia un appassionato di manga, anche se il protagonista non mi sembra per ora affine a nulla che viene presentato nell’ambientazione di Berserk. Mi ricorda molto piuttosto un ragazzino di nome Nishi nel manga conosciuto come Gantz.Il romanzo in questione chiaramente non è destinato a tutti, e molte persone potrebbero trovarne i contenuti poco accettabili o del tutto inappropriati. Io sono di ampie vedute, credo che il testo dovrebbe passare alla fase successiva del concorso e ricevere una votazione che possa tener conto della trama nella sua completezza. Nell’incipit “Struggler” mi ha ricordato il Nishi di Gantz, ma dalla sinossi ho trovato molti parallelismi con il film “E ora parliamo di Kevin”. Mi ricorda molto anche un personaggio minore di “IT”, presente solo nel romanzo, di cui ora non ricordo il nome.In questi casi specifici la psicologia dei personaggi viene esaminata in modo approfondito fin dalla prima infanzia, consentendo al pubblico di poter comprendere o quanto meno immaginare cosa abbia generato una mentalità tanto deviata. La mia paura è che per Struggler la cattiveria mostrata risulti del tutto gratuita e fine a se stessa. Credo che sia fondamentale esaminare più a fondo la sua psicologia e quindi motivare le sue deviazioni.Questo romanzo potrà essere maggiormente apprezzato se si riuscirà a creare un’empatia verso il protagonista. Un’immedesimazione da parte del lettore. Da ciò che si evince nell’incipit, Struggler vive con un certo complesso di inferiorità e medita la sua rivalsa con la violenza gratuita. Non è proprio per tutti.Darò in ogni caso buoni voti, il giudizio dev’essere fatto sull’opera completa.
  • Ho fatto fatica a leggere tutto l’incipit e dare un giudizio su questo romanzo fantasy.”Il vento passa attraverso le ossa e i peli del mio nuovo amico producendo una strana (ma intensa) melodia. C’è ritmo. C’è passione. Molta più passione di gran parte delle canzoni che ascolto alla radio”. Non ha un gran senso, come molte delle immagini accostate a delle situazioni:”La bocca sta vomitando sangue su tutto l’asfalto. Mi ricorda la lava del vulcano di cartapesta che ho creato per il progetto di scienze in terza elementare”.Il consiglio che mi sento di dare all’autore è che rischia di scatenare un effetto comico involontario. Per azzardare frasi ad effetto bisogna padroneggiare il regno delle emozioni, altrimenti è molto facile cadere nel ridicolo. Musahi, prova a mettere delle emozioni in ciò che descrivi, anche se è solo fantasy.
  • Il lessico è spesso inappropriato ed irritante – vedi l’utilizzo del termine ritardato. La trama è orribile, e il contesto e i personaggi, così come i dialoghi, sono spesso farciti con dettagli inutili tanto da risultare fastidiosi.
  • Genere violento. Dal punto di vista formale è ben scritto e il personaggio – per il fatto di essere così negativo – è originale. Forse gli manca un po’ di spessore: è un po’ troppo ossessionato da pensieri di prevaricazione e di invidia mista a disprezzo verso quelli che riescono ad ottenere il “prestigio sociale”. Sembra un po’ un adolescente in difficoltà, questo va benissimo ma ci vorrebbe una descrizione più accurata del contesto, diversamente somiglia a un diario di pensieri (incubi) intimi e privati, più che a un romanzo.
  • Ben scritto e ben strutturato, ma onestamente, nella mente del serial killer , non é uno dei miei temi preferiti. Nel complesso é interessante e se amassi il genere probabilmente lo leggerei per intero. Purtroppo per me non mi piace il genere.

Che dire… mi aspettavo molto peggio. Sono grato di tutte le persone che hanno trovato il tempo di commentare il mio incipit e sono grato tanto per le recensioni positive quanto per quelle negative (avrei solo voluto che ampliassero le loro critiche in maniera tale da capire cosa c’era di tanto sbagliato). Comunque sia sono grato. Cercherò di fare del mio meglio e punterò alla vittoria. Per chi fosse interessato alla trama: un ragazzo di sedici anni (Struggler) uccide i suoi genitori e fa un massacro nella sua scuola senza motivo. Va in prigione e viene violentato dal detenuto più potente e influente della prigionie, soprannominato ‘Dio’. Attirerà le simpatie del ‘diavolo di Shibukawa’, un ex-campione di MMA rinchiuso sotto falsa accusa. Grazie a un allenamento fisico e mentale, Struggler tenterà di sopravvivere e capire cosa significa essere realmente forti mentre escogita un piano per prendere il posto di Dio nella scala gerarchica della prigione.

Bella luna là fuori. È tardi e ho appena finito questo articolo con la vecchia colonna sonora di Berserk del ’97 sullo sfondo(Earth-link qua sotto). È una sensazione molto pacifica. Buona notte o buona giornata, fellow Strugglers.

Appunto per me stesso: leggere Gantz.

Tournament of power- Ioscrittore, Pugilato e Musashi Miyamoto

Gira voce che Musashi Miyamoto sia stato l’unico ronin (samurai senza padrone) in tutta la storia del Giappone a non essere mai stato sconfitto. Un uomo la cui storia si confonde con la leggenda: si sa davvero poco di Musashi. Venne addestrato nell’arte della spada sin da giovanissimo. Era un solitario che disprezzava l’igiene personale, il genere femminile e la debolezza. A 13 anni sconfisse un maestro samurai attaccandolo a sorpresa con la sua spada di legno. Da lì il nome di Miyamoto continuò a crescere. Trascorse gli anni dell’adolescenza con un cartello di legno appeso al suo collo: ‘chiunque voglia sfidarmi sarà il benvenuto’, recitava.

A 16 anni prestò il suo servizio al clan Mitsunari nella famosa battaglia di Sekigahara. Il clan Mitsunari venne sconfitto e Miyamoto riuscì miracolosamente a sopravvivere. Da quella battaglia, Miyamoto decise di perseguire la via della spada e diventare lo spadaccino più forte della storia. Ancora non è chiaro se Miyamoto vinse ogni singolo duello (un fatto davvero improbabile) ma una cosa è certa: morì in età avanzata (probabilmente intorno ai 61 anni) stroncato da un tumore allo stomaco. Considerando che la vita media di un guerriero del Giappone nell’età feudale si aggirava verso i trent’anni.

people watching two men in fighting arena
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Un vecchio che sopravvive in un lavoro in cui si muore giovani potrebbe sapere una cosa o due sulla vita. Miyamoto scrisse della sua esperienza di vita nella sua opera più conosciuta, ‘Il libro dei cinque anelli’. Il libro è suddiviso in cinque parti: il libro della terra, il libro dell’acqua, il libro del fuoco, il libro dell’aria e il libro del vuoto. Ogni sezione indica il corretto comportamento che un aspirante guerriero deve adottare per trionfare sui suoi nemici: le tecniche di scherma, la supremazia fisica e mentale e la psicologia fanno tutti parti della ‘via della solitudine’ (la via che ogni guerriero deve percorre poiché solo nella solitudine si può trovare la via per la vittoria).

Questi sono i nove dogmi che elenca:

1: Non coltivare cattivi pensieri

2: Esercitati con impegno

3: Studia tutte le arti

4: Conosci anche gli altri mestieri

5: Distingui l’utile dall’inutile

6: Riconosci il vero dal falso

7: Percepisci ciò che non vedi con gli occhi

8: Non essere trascurato

9: Non abbandonarti in attività inutili

Musashi pensava che la via del successo fosse percorribile da tutti, ma che, allo stesso tempo, non tutti fossero capici di percorrerla. Spiego questa orribile frase: tutti potrebbero (in teoria) avere la capacità per raggiungere la grandezza ma sono davvero poche le persone che si impegnano con tutta la loro volontà e sacrificano la propria vita all’insegna del loro sogno.

Se un uomo non sacrifica i piaceri del presente e non dedica ogni minuto della propria vita al proprio futuro, ha poi ragione a lamentarsi se non raggiunge la vetta? Riuscirà ad essere abbastanza maturo e intelligente per dire, ‘è colpa mia e solo mia se ho fallito?’

Musashi ha colto nel segno. Solo con una grande fermezza mentale e un desiderio bruciante si può raggiungere la via del successo in qualsiasi campo.

Il pugile Mayweather non è mai stato sconfitto (si potrebbe definire il Musashi dei nostri tempi). Ma qual è stato il prezzo? Una routine disumana che ben pochi pugili possono riuscire a fare:

Tre round di shadowboxing. (ricordo che ogni round dura tre minuti)

Quattro round ai pads.

Due round focalizzati ai colpi al corpo.

Quattro round (12 minuti) al sacco.

E così via. Per quaranta round. Un totale di centoventi minuti. Senza contare il minutaggio di riposo, la corsa, lo sparring e la dieta ferrea. Come dice lui stesso: ‘Studio ogni avversario che combatterò. Se il mio avversario corre otto chilometri ogni mattina, io corro dieci chilometri. Se lui corre dieci chilometri, io corro 12 chilometri.’

Mayweather è il migliore per una ragione: antepone il suo allenamento, la sua carriera e il suo sogno a qualsiasi cosa. Il pugile, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

Prendiamo un uomo molto diverso ma dallo stesso successo.

Stephen King ha un ritmo di scrittura di duemila parole al giorno, trascorrendo quattro ore sulla macchina da scrivere e le altre ore a leggere romanzi di narrativa. Tutto questo mentre lavorava come insegnate di inglese e lavorava come addetto alle pulizie a una lavanderia di Bangor, nel Maine. Lo scrittore, per diventare tale, non ha abbandonato la via.

E questo ci porta alla parte finale di questo articolo. Ho partecipato al torneo di Ioscrittore quest’anno. Per chi non lo sapesse, Ioscrittore è un ‘torneo’ di scrittura in cui mandi le prime venti pagine del tuo manoscritto al sito e dieci persone a caso (partecipanti anche loro del torneo) lo valutano. Tu fai la stessa cosa e leggi dieci opere di altri aspiranti scrittori. Dai un voto da 1 a 10 sui vari aspetti del romanzo che hai letto (un voto per i personaggi, trama, storia e grammatica) e scrivi un giudizio complessivo. Se le pagine del tuo romanzo raggiungono una certa media puoi passare alla fase successiva.

Ieri hanno annunciato i nomi dei vincitori della prima fase e io non ero tra quelli. Lo sapevo ancora prima di inviare le pagine che non avrei vinto. Il mio romanzo è in inglese. Per partecipare al concorso ho dovuto tradurre 40 pagine dall’inglese all’italiano in meno di sei ore (come sempre mi ero ridotto all’ultimo). Alla fine della quinta ora non avevo neanche la forza di rileggerlo per quanto duramente avevo lavorato per mandare quelle pagine al concorso. Quando le inviai sapevo di aver fatto un lavoro frettoloso e pieno di errori. Tuttavia, poco prima di sapere i risultati, una parte di me sperava di aver vinto. Anzi, ne ero sicuro… per quanto stupida fosse quella sicurezza.

Il fatto è che se non sono riuscito a nel mio intento devo maledire solo me stesso. Non i giudici troppo cattivi (suppongo siano stati anche troppo buoni), non il fatto che avessi poco tempo (avevo più di un mese per prepararmi), non il fatto che nessuno mi apprezza (forse sono davvero troppo scarso).

strong man with naked torso and tattooed body showing katana
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In ogni caso la colpa è mia: per il fatto di essere troppo pigro nel rileggere quello che scrivo, per non metterci dedizione, per non lavorare ogni istante della mia vita per realizzare il mio sogno. Forse non sono neanche degno di chiamare la mia ambizione ‘sogno’.

Ma c’è sempre tempo per dedicarsi alla via del guerriero. Il tempo è dalla mia. Anche se non dovessi avere il talento necessario, ho speranza e resilienza. E per il momento è tutto ciò di cui ho bisogno.