Little death (short story fragment)

It’s 2 am and all I can think about is killing myself.  It is the most reasonable conclusion to end all of my problems. It’s dark and I can’t see a single thing. I visualize every object inside of my bedroom. A desk, a chair, a closet, a pile of dirty clothes that looks like a Christmas tree.

 Christmas.

I vividly remember my Christmas day two years ago. I was alone in a house in the middle of nowhere. I bought vanilla ice-cream, chicken breast and one kilo of rice. I watched something on tv sipping a can of beer like a fine dry gin. Seems like yesterday. I had a good time. For some reason I cannot remember last year Christmas. Memory is a funny thing.

It’s too dark. I open my eyes and I close them. No difference. It doesn’t even seem I am living. I am in another dimension, floating inside a pool of negative emotions. I am almost sure I am not in the real world. It’s similar to the distorted vision of the hotel in Murakami’s novel or in Silent Hill II. There are no noises outside the window. My body is silent. It seems I forgot how to breathe.

Is there a solution for this?

Of course there is. I could stop drinking Monster. I could start by having a positive attitude. I could open up a little bit. Or I could die, living in this ethereal world made of darkness and silence. It’s not that bad. Nothing good will ever happen but, at the same time, nothing bad will happen. The risk is too big. At least for me.

This is the time I feel alive the most.

A place in the heart of darkness made only for me. No job, no talking, no duties… but also no happiness, no catharsis and no life. Mere relief. Maybe this is the reason why I don’t sleep at night. This is where I belong. I don’t want to wake up and join nonfictional life.

I want to stay in this distorted hotel of mine. Every time  I am forced to leave it I experience a little death. I decide to get up from the bed. It’s like I have chains all over my wrists but somehow I manage to get up. I dress and I leave my room. Ii put my headphones on. ‘Little Dark Age’ is the first song on my playlist and I press ‘play’ without hesitation. It’s 3 am and it’s raining outside.

I am going out for a walk.

Notte insonne I

Osservo la lunghezza della crepa sul soffitto che taglia in due parti uguali la stanza in diagonale. Il contorno della crepa è gialla. Sospetto sia a causa dell’umidità. Dall’interno della crepa fuoriesce un ragno piccolo dalle zampe esili ma immensamente lunghe. Cerco di soffiare verso il ragno ma è troppo lontano.

Non si muove neanche. Si limita a restare fermo. Forse anche lui mi osserva. O forse si sta ambientando nella nuova dimensione della camera. Deve essere un’esperienza terrificante trovarsi sopra il soffitto di una camera così grande. Abituato alla superfice stretta, buia e accogliente dell’interno dell’intonaco, il ragno deve sentirsi spaesato e impaurito. Forse non immaginava che il mondo la fuori fosse così vasto. Il respiro appannato e ritmico del mio compagno di stanza  mi ricorda che è notte e dovrei dormire. Lo so perché il mio compagno di stanza non chiude mai la bocca quando è sveglio. Allungo la mano verso il comodino e afferro il telefono.

Sono le due e un quarto del mattino.

 Cosa dovrei fare? Andare in cucina? Leggere? Masturbarmi? L’indecisione mi deprime e non ho la forza neanche per ascoltare il respiro del mio compagno di camera. Il solo percepire che è vivo è una grande fonte di disturbo per me. Mi limito a restare fermo, lo sguardo fisso sul ragno. Che strana creatura. Ha un corpo piccolo, insignificante simile a un punto disegnato con la matita su un foglio A4. Le gambe sono ridicolamente lunghe. Dalla mia prospettiva sembrano chilometriche. Lontane anni luce dal corpo.

Come fa un essere del genere a muoversi? Forse vorrebbe tornare all’interno della crepa ma non ha idea di come riuscirci. È in uno stallo. Non può andare avanti e non può tornare indietro. Guardo l’orologio.

Le due e mezza.

È ora di scegliere, amico. Cosa vuoi fare? Non puoi rimanere lì fermo, non pensi? Sei un ragno o no? Comportati come tale. Scegli. Ti avventuri nell’ignoto o torni da dove sei venuto? In qualche modo puoi rientrare nella crepa. Da come sei uscito così puoi rientrare. Oppure preferisci esplorare questo mondo Lovecraftiano popolato da giganti che non hanno la forza di alzarsi?

Le tre.

Il coinquilino/compagno di stanza comincia a russare. Ciò mi ricorda che domani devo andare a lavoro. Non ho idea come le due cose siano connesse ma così è. Il ragno cammina (forse ‘fluttua’ sarebbe un verbo migliore?)  lungo il soffitto, allontanandosi dalla crepa.

Buon per te, amico. Vivi la tua vita.

Dopo un po’, forse dopo cinque minuti o cinque mesi, si ferma completamente. Torna indietro verso la crepa.

Le quattro. I primi raggi del sole cominciano a farsi strada attraverso le verande.

Amico mio, torna dentro la crepa. Non vuoi affrontare questo giorno. Torna nell’oscurità. Lo farei se ne avessi la possibilità. Portami con te se puoi.

Le quattro e mezza. Comincio a sbadigliare. Ho sonno. Finalmente. Guardo il ragno per l’ultima volta e mi rigiro su me stesso. Chiudo gli occhi. È solo un incubo.

Le cinque. Il suono di una cascata. La sveglia suona.

‘Buongiorno!’ quasi grida il mio coinquilino.

Non riesco a capire se sono sveglio o meno. Tutto sembra la copia di una copia di una copia. Oggi è ieri. Ieri è oggi. Oggi è domani.

Guardo sul soffitto. Il ragno è sparito probabilmente all’interno della crepa.

Qualcosa che vorrei dire anche per me.

Un altro giro (racconto breve)

La superficie della mia scrivania alle 23:00 si presenta con una bottiglia d’acqua da mezzo litro, una lattina di pepsi, un quaderno, un laptop con un documento di word aperto sul desktop e musica di Youtube da una finestra seminascosta su Chrome.

Di solito a quest’ora ho sonno ma impongo al mio corpo e alla mia mente di restare sveglio. Se dormissi adesso mi ritroverei al mattino seguente confuso e disorientato come se qualcuno avesse voltato la pagina di un romanzo o se avesse tagliato una scena di un film per andare a quella successiva.

La notte è quel piccolo ritaglio di tempo che appartiene solo a me. Non riesco a ragionare con lucidità e tutto assume un contorno onirico. Scrivo ma le parole che compaiono su Word non sono veramente mie. Sono un misto della musica che ascolto (in questo momento una colonna sonora), stanchezza, forse speranza e forse odio.

Vado avanti così fino a quando mi è possibile; di solito fino alle tre del mattino o fino a quando la sveglia non suona. Ogni secondo della giornata che passo nel mondo reale (al lavoro, al di fuori, al contatto con tutte le altre persone che non siano me) penso alla notte.

Penso al gusto della pepsi che si scioglie sulla lingua, la musica nelle cuffie, il freddo sguardo del documento bianco su Word e, forse cosa più importante, il fatto che io sia troppo stordito per apprezzare tutto questo.  A volte mi capita di addormentarmi ma succede solo per pochi secondi. Poi mi risveglio. Faccio molti sogni e la concezione del tempo si perde completamente.

A volte faccio un sogno molto lungo. Quando mi risveglio mi preoccupo subito che io abbia dormito troppo ed è già mattina. L’orologio in basso a destra dello schermo mi tranquillizza.

‘È solo l’una, Struggler. Continua il tuo viaggio. L’alba è ancora lontana.’

Non so bene chi sia a parlare ma le parole mi confortano. Mancano cinque ore alla sveglia. Sei ore all’alba. Nel mio mondo, di notte, cinque ore equivalgono a dodici ore. Sorrido.

Posso restare ancora.

Il mondo reale può aspettare.

Guts’ theme (racconto breve)

C’è una palestra all’aperto vicino al posto dove lavoro.

Non che due sbarre di metallo arrugginito, un sacco da boxe di gomma piuma sventrato e una panca per gli addominali possano essere definiti come una ‘palestra’ ma sono grato di essere a due passi da tutto ciò. È un angolino nascosto nel cuore del parco pubblico di S. e nessuno, se non gli abitanti del quartiere, sa della presenza della ‘palestra’. Il sole è alto e la farmacia in fondo la strada informa i passanti che ci sono ventotto gradi.

È l’una e il mio turno inizia all’una e mezza. Mi tolgo la camicia e resto in jeans stretti. Il sudore mi cola sulla fronte per il solo sforzo di respirare. Mi appendo alla barra e comincio a fare dieci trazioni. Il cuore comincia a battermi forte. Non perché faccio fatica a portate la mia testa sopra la sbarra ma perché la mia mente è rivolta al turno di lavoro che mi aspetta tra poco.  Invece di fermarmi e riposare, faccio altre cinque trazioni per schiarirmi la mente. Ora sono abbastanza stanco per poter pensare lucidamente.

Ogni ora prima di lavorare mi prendono i crampi allo stomaco. Immagino sia un meccanismo di autodifesa del mio sistema immunitario. Da bambino mi succedeva la stessa cosa prima di andare a scuola. Crampi allo stomaco e nausea per tutto il giorno. Non è cambiato assolutamente nulla da quando avevo 12 anni. Ora sono passati dieci anni e ho ancora la nausea.

Attacco di nuovo con le trazioni. Ne faccio dieci e poi ne faccio due con una sola mano. Lo sforzo è così grande che per un singolo istante la mente si schiarisce e sorrido al nulla. Un mese fa non sapevo farne neanche una di trazione a mano singola. Questo mi da la convinzione (o l’illusione) che con il tempo anche la mia vita possa cambiare. Un passo alla volta, giusto?

Cammino fino al sacco e tiro un jab molto pigramente. Il sudore vola sull’erba secca. Il sacco si sposta a malapena. La gomma piuma che penzola dal sacco vibra impercettibilmente. Questa è ormai la mia routine da un mese. Dirigermi al lavoro due ore prima del mio turno e passare mezz’ora nella ‘palestra’, un luogo che appartiene solo a me, distaccato dalla realtà. Qui posso essere ciò che voglio. Qui non sono prigioniero della realtà. Ci sono solo io.

A volte mi viene da pensare che cosa accadrebbe se restassi in quel parco per sempre. Confinato nella stretta superficie della ‘palestra’. So già la risposta. Non accadrebbe nulla di importante.  Il mio telefono squillerebbe un paio di volte (immagino due o tre chiamate dall’ufficio). Poi arriverebbero i messaggi. Poi le vibrazioni nella tasca dei miei jeans.

Poi il nulla.

Arriverebbe la sera e i grilli comincerebbero a cantare indisturbati dalla mia lunga ombra proiettata sulle sbarre di ferro. Probabilmente nessuno si accorgerebbe più della mia assenza. Forse qualcuno ne sarebbe persino rallegrato. Il mio corpo diventerebbe parte integrante di quella ‘palestra’ e osserverei anche io le persone che vagano nel parco cercando di dimenticare il passato e scappare dal presente modellare la propria schiena con qualche trazione di troppo.

Questo pensiero mi fa sorridere. Guardo l’orologio. È quasi ora. Mi incammino verso il posto di lavoro a torso nudo senza degnare di uno sguardo la camicia. Devo cambiarla in ogni caso.

Are you God?

Come al solito la canzone non ha nulla a che vedere con ciò che scrivo. Solo musica di sottofondo. Ma visto che ho aperto l’argomento… recuperatevi la saga di Silent Hill. Ne vale davvero la pena.

Sono sicuro (più che sicuro) che la ricchezza fa accedere a sentieri invisibili per le altre persone. Due sere fa passeggiavo per il quartiere del Duomo. Mi sono fermato su una panchina e ho tirato fuori dallo zaino ‘il sole 24 ore’ che ho comprato al Mondadori Megastore al primo piano.

La mia conoscenza finanziaria è ridicola perciò sto cercando di rimediare studiando ogni materiale che mi capiti a tiro. Sono certo che ci sono grandi opportunità in quella vastità di articoli e carta del giornale ma il fatto di non saperli riconoscere mi riempiva di un senso di frustrazione incredibile.

Ho lasciato a metà un articolo che riguardava la crisi della Brexit nel settore dell’ospitalità (a quanto pare serve personale nei ristoranti e nei locali ma nessuno vuole lavorarci… probabilmente perchè il 95 percento di quel settore era occupato da immigrati europei) e mi sono guardato intorno. Non aveva senso continuare la lettura per quel momento. Il puzzle era troppo complesso per il me dell’altro ieri (probabilmente lo è anche per il me di oggi). Troppe informazioni da cui ricavare idee.

Centinaia di persone facevano shopping camminando con flemma, le buste di articoli firmati che pendevano dalle loro mani. Completi eleganti, vestiti impeccabili e semplici magliette monochrome si distrecavano tra la folla. Una persona in particolare ha colpito la mia attenzione. Un uomo anziano, direi sui settant’anni, camminava circondato da quattro ragazze che erano il doppio più alte di lui e con (forse) meno della metà dei suoi anni. Forse erano modelle considerato che superavano abbondantemente il metro e novanta con i tacchi. Sembrava fossero i suoi bodyguard. L’uomo indossava una giacca nera pesante con una camicia e una cravatta nonostante il caldo. Le ragazze avevano decisamente meno vestiti e attiravano più di uno sguardo.

Una scena del genere può, di sicuro, essere soggetta a molteplici punti di vista e significati. Non sempre ciò che si vede corrisponde alla realtà ma il pensiero che mi è subito balenato in mente è stato: ‘Voglio essere come lui.’

Ho fantasticato molto sulla possibile identità di quel signore. Mi sono chiesto cosa abbia dovuto fare alla mia età per ottenere così tanto adesso. Mi sono chiesto se anche lui ha avuto dubbi nel costruire la sua vita.

Ogni volta si vede il risultato ma non il processo che c’è dietro. Forse ha vissuto in povertà per tutta la sua vita e ha avuto la sua rivincita tardi. Forse è nato così. O forse le mie impressioni su di lui sono completamente errate e la sua vita è meno fantastica di quel che la mia fantasia voglia farmi credere In ogni caso, ho aperto una lattina di Monster alla sua salute e ho continuato a leggere il mio ‘Sole 24 ore’ e, all’improvviso, mi sono sentito più ottimista. Ho letto ogni articolo sulle obbligazioni, sui bond, sulle criptovalute e aulle azioni maggiori su cui dovrei dare uno sguardo più approfondito. Il solo fatto di aver visto quel signore ha riaccesso in me la voglia di continuare la mia crociata personale dopo cinque minuti in cui l’avevo interrotta. Forse non mi porterà a nulla ma almeno ho più materiale da includere nel mio romanzo.

The golden age/Età dell’oro

The very first page of my novel to become the very best like no one ever was. Prima pagina del romanzo a cui sto lavorando. Celebrating my 50th post on this blog.

Part one: Good luck, Struggler (The Golden Age)

STARRING:

  • A kid who curses his fate
  • Takamura -A kid who has it all- Lawson
  • Lilith -A clueless girl who is looking for a fight
  • Jeff -A veteran lucky enough to have survived the war- Wells
  • An absent mother

SPECIAL THANKS TO:

  • Maid number three

                                                   1

In this world, is the destiny of mankind controlled by some transcendental entity or law? Is it like the hand of God hovering above? At least it is true that man has no control; even over his own will.Berserk by Kentaro Miura

I had to persevere because this was my life. This championship, this was the stuff I dreamt of all my life, and I wasn’t gonna be denied.” Mike Tyson

Boom

Boom

Crash (X3)

Boom (refrain)

Scream

Crash

Silence.              At last.

But it is still moving. Its mouth is vomiting red all over the road. It reminds me of the lava coming from the volcano I created for my science project. It wasn’t actually lava but a mix between baking soda, vinegar, and water. The legs are bent into 90-degree angles. I can see the bones standing out from the fur. It seems like those ancient Roman ruins I have seen in my art class. The wind is rising. It can talk to me. The wind, I mean. But I also mean the dog. I cannot understand a single word. I kick it (I am fairly sure it is a Boston Terrier) in the belly.

“What did you say? What did you say to me?!”

Now it also stopped moving. The wind passing through my new friend’s bones produces a strange kind of melody. There is a rhythm. There is passion. Way better than most of the songs I listen to.

Yeah… I would say the comparison between the carcass and the Roman ruins is appropriate. Ruins filled with the lament of ghosts. A dead body tormented by the indifference of the wind. I take a better look. The head is split open but there is no sign of the brain. I can only see parts of the skull. My hands are covered in sweat and my bat drops on the road. I barely notice the sound of it dropping on the ground. This is beautiful. This is beautiful for the only reason that is not beautiful. This is art. This is beauty. How was that old saying?

Beauty never comes from happiness.

“Did you want to tell me this? Is this what you meant before?”

The thing stopped vomiting blood. It looks peaceful now. No more pain. No more struggle. Just peace and love. Just like what I feel inside right now. The adrenaline is gone now. Yes, this is what he wanted to say.

“I forgive you.”

I can see my breath condensing into small puffs. I feel the wounds on my arms the dog made to me to defend himself. It’s going to rain very soon but I am only wearing a t-shirt. It’s cold but I am feeling so good. I am so glad I am alive. I carefully look around me. There is no one here around. I clean my hands on my jeans and I pick up my bat. First, however, I bow to the carcass of the dog (my personal, special, little pantheon), I touch the blood on the street and I put a finger in my mouth.

It is cold and delicious. Just as I thought. I notice a wooden collar around its neck. Axel. I smile. I have never seen such an appropriate name.

There is nothing for me here. I envy the people who would walk in my temple. I would not be here to see the surprise on their faces. But this is what being an artist means. Your creations will always survive you. Nothing you can do about that. I look at my watch. I raise my eyebrows. I am slightly late. Being late is a clear sign of indifference and disrespect towards my duties, my school, and my parents. I have to wake up earlier if I want to work on my art.

Time for school.

Heaven’s night (racconto breve)

Un racconto che ho scritto due anni fa come progetto universitario. La versione originale è in inglese (in fondo al testo) e questa è la traduzione. Più che altro è un esercizio personale. Era il periodo in cui ero fissato con American Psycho e The Neon Demon. Non che questa sia cambiata con il tempo. Due delle mie opere preferite su cui baso molto del mio lavoro. In ogni caso:

Heaven’s night

Da qui posso vedere le luci al neon accendersi, spegnersi e accendersi di nuovo. La ‘t’ sembra avere qualche problema: sembra essere più luminosa delle altre lettere. Questo è il tipo di posto che penseresti esista solo nei film. La musica all’interno del locale fa vibrare i lampioni della luce sulla strada.

Heaven’s Night

Osservo il mio riflesso nel vetro opaco della discoteca. Due occhi ghiacciati incorniciati da una cascata di capelli d’oro. Le luci al neon attraversano il mio abito Missord prom con paillettes e orlo a sirena con mono spalle e cut out  di Armani completamente bianco con bordi platinati. È così stretto che posso a malapena respirare. Sono meravigliosa. Più che meravigliosa. Sono divina. Troppo divina per stare in fila fuori da una discoteca.

Oggi è il mio primo giorno. C’è ancora tempo.

Forse mi piace un po’ troppo ciò che vedo allo specchio perciò dirigo il mio sguardo altrove. La musica cambia. La ragazza carina di fronte a me comincia a urlare, alzando le braccia e muovendole a ritmo. La sua amica (non-così-carina) si unisce a lei timidamente.

Anche io sarei timida se assomigliassi a lei.

Le porte della discoteca si aprono e, per un singolo istante, possiamo vedere l’interno di Heaven. Le luci rosse accarezzano la superficie completamente bianca del pavimento. Una ragazza in topless, tanto alta quanto penseresti lo sia Dio, fa per bere un bicchiere d vino di fronte a un gruppo di ragazzi per poi sputarglielo addosso subito dopo. I ragazzi del gruppo lottano fra di loro per ingoiare la saliva della ragazza. Le ragazze di fronte a me sogghignano ed entrano all’interno di Heaven.

Spariscono nel Nulla fatto di musica, alcol e corpi che ballano.

Il ritmo della musica cambia ancora. Le porte si chiudono di nuovo.

Sono la prossima ad entrare.

‘Chi sei?’ mi chiede un uomo vestito di nero che presumo sia il buttafuori del locale. La sua coda di cavallo e il suo profumo dozzinale che mi riempie le narici mi fa chiudere gli occhi per un momento. Non è di questo paese.

‘Chiunque tu voglia che io sia…’ gli dico mordendomi le labbra.

‘Carta d’identità.’

‘Non ne ho bisogno,’ gli dico sorridendo.

‘E perché?’

Alzo la mano sinistra affinché possa vedere il marchio. Ho uno ‘smile’ proprio sotto l’avambraccio.

🙂

‘Sono con Manyu!’

Il buttafuori non sembra troppo sorpreso quando apre le porte di Heaven per me.

‘Quanta carne ci sarà stasera?’ chiedo con un sorriso, toccandogli la spalla.

Non mi risponde. Il  sorriso muore sulle mie labbra.

Perché non ride? Perché non è carino con me? Lo odio. Vorrei che morisse di fronte a me. Sto avendo difficoltà a respirare mentre mi osserva con i suoi occhi privi di intelligenza. In questo momento darei la mia vita per farlo soffrire. Vorrei conficcargli le unghie nella gola e bere il suo sangue. Ma non lo faccio. Invece, gli dico:

‘Ci vediamo dall’altra parte!’

Le porte finalmente si aprono. Ora è il mio turno a Heaven. La musica è inebriante e il ritmo aumenta sempre di più.  Conosco la canzone. È un vecchio remix di ‘I don’t care anymore’ di Jim Collins. Invece della chitarra, ci sono i bonghi.

Hai persino scritto una canzone per dimostrare a tutti che non ti importa del tuo divorzio… non deve davvero importartene nulla come dici.

‘I TUOI PENSIERI SONO FELICI COME AL SOLITO…’ Un corpo muscoloso e asciutto ricoperto a malapena da una semplice camicia azzurra slim fit di Ralph Lauren (o Fratelli Rossetti) mi afferra per la vita.

‘PERCHÉ MI HAI FATTO ASPETTARE IN UNA FILA, MAINYU ?!’ Gli urlo addosso cercando di farmi sentire contro il patetico sfogo di Phil Collins.

‘OH-OH-OH!’

‘OH-OH-OH, COSA?!’ Gli chiedo irritata.

‘OH-OH-OH, MA GUARDATI! Sei appena entrata nell’industria e vuoi subito un trattamento speciale! Hai davvero del fegato, bambolina!’

‘SONO MEGLIO DI CHIUNQUE! TU STESSO LO HAI DETTO!’

‘NE PARLIAMO DOPO, LILITH!’ Mi interrompe. Mi mordo le labbra talmente forte da farle sanguinare. ‘VOGLIO FARTI INCONTRARE GLI ALTRI MEMBRI DEL SABBATH AL LOUNGE!’

‘ANCHE LORO SONO MODELLI?!’

Non mi degna di una risposta. Perché non mi risponde? Perché nessuno mi prende sul serio. Il mondo è ingiusto e io sono la più grande vittima di tutti.

‘OH-OH-OH!’

‘CHIUDI QUELLA CAZZA DI BOCCA! CREDEVO FOSSIMO AMICI!’

Mainyu mi trascina al bancone del bar in fondo alla discoteca. Sto per dirgli che ho voglia di un drink ma poi penso che avrò tempo per bere al lounge. Spero solo che lì le persone sappiano chi sono. La musica cambia ancora. Questa volta c’è la Demon Dance di Julian Winding. Amo quella canzone. Il mondo appare subito un po’ più colorato.  Ancora una volta ho di nuovo fede nella vita nonostante le esperienze traumatiche che ho subito da quando sono entrata a Heaven.

Mainyu mi porta verso le scale e accediamo alla parte superiore del locale al lounge. Alla fine della rampa di scale, un buttafuori , che indossa un giacchetto di pelle studiatamente rovinato e un paio di jeans blu scuro Tobago si inchina nel momento stesso in cui vede Mainyu. Non mento.

Questa cosa mi eccita.

Mi chiedo quanto dovrò aspettare prima che le persone mi riservino lo stesso trattamento.

Prima di entrare nel lounge, Mainyu mi tocca la spalla. Osservo la massa informa di carne ballare sotto di me. Rido. Le luci di Heaven cambiano al ritmo della musica riflettendo su ogni superficie del locale.

Rosso. Blu. Rosso. Di nuovo blu. Questo è mio. Questo è tutto mio.

‘Ancora no, Lilith. Ancora non è tutto tuo. Cerca di fare una buona impressione.’ Mi sussurra mentre la Demon Dance si dissolve lentamente.

‘Questa è la tua opportunità per sfondare. Vuoi essere una vera modella, non è vero? Forse anche un’attrice… chi lo sa?’

‘Farei di tutto,’ sussurro bagnandomi le labbra con la lingua.

‘Così mi piaci.’

Il buttafuori si fa da parte e ci lascia entrare. Non vedo nulla. Tutto ciò che vedo è nero.

‘Sei cibo o sesso?’ una voce maschile mi chiede appena entro. Mainyu è dietro di me. Cerco istintivamente di stringergli la mano ma fa finta di non accorgersene.

‘Refn! Che cazzo! Non vedi che è una bambina?’ ribatte una voce femminile.

‘Una bambina, eh…?’

Heaven’s Night.  Tutto ciò che vedo è luce. Le luci al neon fanno brillare il simbolo di Mainyu in ogni parete del lounge. Lo smile. Mi concentro su chi ha parlato. Un uomo sulla quarantina che indossa un completo Ted Baker. Basso. Occhiali. Accento di New York.

Forse ebreo?

Mi volto verso la voce femminile: una donna che indossa un completo semplice di Lani Dress tanto scuro quanto la sua pelle. Ora è rosso. Ora è blu.

‘Non sono una bambina…’ sussurro. Mi odio. Posso percepire da sola l’incertezza nella mia voce.

‘Questo è ovvio. Le bambine non indossano quell’abito Missord prom Bodycon…’

Sto cominciando a tremare. Io sono migliore di loro. Sono al di sotto di me. Non ho nulla da temere. L’intero mondo è al di sotto di me. Anche Dio è al di sotto di me. Non ho nulla per cui essere insicura. Mainyu ride mentre mi da un colpetto sulle spalle.

‘Lei è Lilith! Sarà la prossima grande star!’

La donna mi sorride, ‘Primo Sabbath?’ mi chiede.

‘Di sicuro non l’ultimo!’ le rispondo mentre Mainyu mi dice di sedermi accanto l’uomo chiamato Refn. Conosco Refn di fama. Tutto il mondo sa chi è.

‘Bella risposta…’ mormora Refn mentre versa quattro calici con Champagne Dom Pérignon Rosé direttamente  dalla scatola regalo della versione limitata uscita nel 2005. Premo le labbra sul bordo del bicchiere e osservo l’impronta del mio rossetto.

Cazzo, realizzo subito. Sto evitando il contatto visivo.

‘Ora… solo per essere chiari,’ parla Mainyu. ‘Abbiamo venti minuti per il banchetto. Le porte di Heaven saranno completamente chiuse.  Le mura sono insonorizzate. Lilith sarà con me. È la sua prima volta. Refn e Miki saranno insieme. Ci incontreremo di fuori. Dubbi?’

Nessuno parla. Avvicino il bicchiere alle labbra per bere quando Refn mi ferma la mano. Mi mostra una pillola sul palmo della mano.

‘Vuoi davvero fare festa senza Devi-Devi?’

Prendo la pillola e sussurro un debole, ‘Grazie.’

‘Buttala giù con un po’ di champagne.’ Miki mi consiglia con gentilezza. ‘Proprio come una medicina.’

Mi tratta come se fossi sua figlia. Mi viene un tic nervoso all’occhio sinistro ma è solo per un attimo. Io sono divina. Ingoio la pillola e la mando giù con Dom Pérignon. Non è così male. La pillola è tanto colorata quanto il mio futuro ed è tanto insapore quanto gli animali che ballano sotto di noi.

‘Guarda la sua faccia! È adorabile! E come una bambolina! Ti amo!’

‘Ti amo anch’io!’ urlo di rimando.

Gli altri fanno lo stesso. Mainyu, Refn e Miki ingoiano la pillola. All’inizio non ho notato alcun cambiamento. Ma adesso… il cuore sta cominciando a battermi forte. La musica è ancora più forte di prima e batte con il ritmo del mio cuore.

BOOM. BOOM. BOOM.

Il ritmo è ridicolamente veloce. È come se la mia anima stesse lottando per uscire dal mio corpo. Le luci di Heaven’s Night  sono solo rosse adesso. Osservo Mainyu e lui mi sorride. La massa di carne sotto di noi continua a ballare. Per loro non è cambiato nulla.

‘Beh… è una festa questa o cosa?’ Refn chiede all’improvviso. Fa fuori metà della bottiglia di Dom Pérignon e osserva le persone sotto il lounge. Poi, salta dalle scale. Miki fa lo stesso e salta nel cuore della folla. Mi chiedo che cosa le persone al di sotto di noi possano pensare in questo momento. Mi chiedo cosa pensino ora che le divinità hanno lasciato il monte Olimpo per unirsi alla loro miserabile gioia.

Sono sola con Mainyu.

‘Ho fatto una buona impressione?’ chiedo visibilmente preoccupata.

‘Troppo presto per dirlo.’ Mi dice. ‘Credo che piaci a Refn però. Ha un debole per le ragazze che non hanno avuto ancora il ciclo. Come tutti del resto. Ora che ci penso… piaci a tutti.’

‘Perfetto,’ sussurro sollevata.

Le persone sotto di noi continuano a urlare al ritmo della musica. Però il loro urlo è diverso da prima. Ora è più grottesco. C’è persino una nota di paura. È più viscerale.

‘Più ‘passionale’ suggerirei. L’arte viene sempre dalla sofferenza. La bellezza viene sempre dal sacrificio. Non dimenticarlo mai, bambolina.’

Tutte queste urla. Tutto questo rosso e questa musica. Non posso più trattenermi. Ne ho bisogno. Ho bisogno di far parte del Sabbath.

‘Ci uniamo alla festa?’ Mainyu sa chi sono adesso. Vorrei poter dire lo stesso per me.

‘Certo…’ gli dico. ‘E Mainyu?’

‘Si?’

‘Grazie per questo… tutto questo. Ma non farmi mai più fare la fila.’

Sorride.

Sorride ancora. Il suo simbolo è uno smile per una ragione.

Entro nel Sabbath e divento parte ufficiale di Heaven’s Night.

Heaven’s Night

I can see the neon lights turn on, then off, then on again. The “t” seems to have a problem or two: it is slightly brighter than the others. This is the kind of place you think exists only in the movies.

Heaven’s Night

I carefully observe my reflection in the dark glass of the building. Two frozen lakes under a cascade of blonde hair like gold. The neon lights shine through my red gold chain strap sequin plunge Bodycon dress by Armani.  It is so tight I can barely breathe. I am wonderful. More than wonderful. I am divine. Too divine to be in a queue.

I am just a beginner. There is time…

Maybe I like what I see too much so I look elsewhere. The music changes. The pretty girl in front of me screams, moving her hands in the air at the rhythm. Her not-so-pretty friend timidly joins her.

I would be timid too if I looked like that.

The doors open and we are suddenly allowed to check out the inside of Heaven. You can see the red lights caressing the completely white surface of the dancing floor. A topless girl, as tall as you would think God is, swallows a shot in front of a group of guys and she spits the liquid on them. Her white high heels are of the same color as her skin. The boys in the group punch each other fighting for her saliva. The girls in front of me giggle and they breach Heaven.  They disappear into Nothingness. Music changes.  The doors are closed once again. I am next.

“Who are you?” asks the man who I reasonably think is the bouncer. His ponytail and his cheap perfume make me think he is a bum.  

“Whatever you want me to be,” I tell him biting my lips.

“You look like 13.”

“So, what? Not young enough for you?”

“ID.”

I giggle as I say, “I don’t need one.”

“And why is that?”

I raise my left hand so he can see the mark. I have a smile that is projected just slightly above my elbow.

🙂

“I am with Mainyu.”

The bouncer doesn’t act too surprised as he opens the doors of Heaven for me.

“How much flesh is there going to be?” I ask with a smile. I didn’t want to talk to a bum like him but then I remembered that quote from that writer ‘If you want to see the true measure of a man, watch how he treats his inferiors.’ I am so kind. I want to see his face illuminated by the kind words of a goddess. 

 He does not answer. My laugh dies on my face.

Why is he not laughing?

I hate him. I wish he would die in front of me.  I am having difficulties to breathe as he is watching me without any expression of intelligence in his eyes. I’d gladly give my life to make him suffer. I would love to plunge my nails into his throat and drink his blood. But, I don’t. Instead, I say:

“See you on the other side!”

The doors are finally open. It’s my turn in Paradise now. The music increases its pace. I know the song. It is an old remix of the even older song “I don’t care anymore” by Jim Collins. Instead of the guitar, there are bongos.

You even wrote a song to show the world you don’t care about your divorce.

“SO FULL OF HAPPY THOUGHTS AS ALWAYS…” A hard-body with tinted blond hair wearing a black side-buttoned notched–collar wool jacket and a fitted cashmere turtleneck grabs my waist.

“WHY DID YOU MAKE ME QUEUE, MAINYU?”  I shout to him and Phil Collins as he directs me away from the crowd. 

“Oh-oh-oh!”

“Oh-oh-oh, WHAT?” I ask irritated.

“Oh-oh-oh, look at you! You just entered the industry and you already want the special treatment! You really have some guts, doll!”

“I AM BETTER THAN ANYONE ELSE! YOU SAID THAT!”

“SAVE IT FOR LATER, LILITH!” he interrupts me. I bit my lips hard enough to make them bleed. “I WANT YOU TO MEET THE OTHER MEMBERS OF THE SABBATH!”

“ARE THEY MODELS TOO ?!”

He doesn’t answer. Why does he not answer me? The world is unfair and I am the biggest victim of all.

“Oh-oh-oh!”

“Shut up! I thought we were friends!” I scream.

We reach the bar counter. I am on the verge of saying I need a drink, but I suddenly think that there are going to be plenty of them at the lounge. I just hope the people there know who I am.  The music changes into a remix of The Demon Dance by Julian Winding. I love that song and the world suddenly appears to be a little more colorful.  Once again, I have faith in life despite the horrible way people treated me.

As I try to forget the traumatic experience I have been through, we go upstairs and a bouncer who wears a Searls leather biker jacket and a Tobago patched jeans in blue waves bend the knee as he sees Mainyu. I get a little excited. It makes me wonder how long should I wait before people do that for me too.

Before entering the lounge Mainyu touches my shoulder. I can see the mass of people clubbing just beneath me. I grin. The lights of Heaven Night change color at the rhythm of the music. Blue. Red. Blue. Red. Blue. This is mine. This is all mine.

“This is not yours yet. Try to make a good impression,” he whispers to me as the Demon Dance begins to fade.

“This is our opportunity to make it big. You want to be a real model, don’t you?”

“I would do anything,” I whisper back passing the tongue on my lips.

“This is what I am talking about.”

The bouncer steps back and lets us enter. All I see is black.

“Are you food or sex?” someone asks me as I enter. Mainyu is just behind me. I try to reach his hand but he pretends not to notice.

“Christ! Refn! Can’t you see she is a girl?”

“So? There is a 50 percent chance…”

Heaven’s Night. All I see is light.The neon lights show the symbol of Mainyu all over the place. The smile. I can see them. Not entirely. The man wears a Ted Baker Tailored Fit Black Dress Suit. Short. Pair of glasses. New York’s accent. Maybe Hebrew?

The woman wears a Lani Dress as black as the color of her skin. Now it is red. Now is blue. Now is red again.

“I am not a girl,” I mutter.  I hate myself because I don’t sound confident enough.

“That’s obvious. Girls do not wear sequin plunge Bodycon…”

I can sense my own insecurity. I am better than them. They are beneath me. The entire world is beneath me. Even God is beneath me. I should not feel this way. Mainyu laughs as he introduces me.

“She is Lilith. She is going to be the next big star.”

The woman smiles at me, “First Sabbath?” she asks.

“But not last,” I reply as Mainyu tells me to sit just next to the man called Refn. I know him. The entire west coast knows who he is.

“Nice,” he mutters as he fills four glasses with Champagne Dom Pérignon  Rosé directly from the gift box in the limited edition released in 2005. I take my glass. I press my lips on the top the glass and I observe the print of my lipstick.

Damn, I realize with shock. I am avoiding eye contact.

“Now, just to make everything clear…” Mainyu says. “We have 20 minutes for the feast. The doors will be completely closed. The walls are soundproof. Lilith will stay with me. She is a first timer. Refn and Miki will be together. We will meet again outside. Doubts?”

No one says a word. I try to drink my champagne when Refn stops me. He shows me a pill in the palm of his left hand.

“Are you sure you want to club without Devi-Devi?”

I take the pill muttering a weak, “Thank you”. 

“Just swallow it with a sip of champagne,” Miki tells me gently. “Just like a medicine.”

She is treating me like a daughter. I am doing it all wrong. I do as she says. My eyes roll. I take my hand to my mouth. It is not that bad. It’s colorful just like my future. It’s tasteless just like the animals dancing beneath us.

“Look at her face! She is like a doll! I love you!” Refn screams.

“I love you too!”

The others do the same. Mainyu, Refn, and Miki take the pill. At first, I don’t notice a single change. Then, my heart begins to race. The music begins to be even louder than before. Boom. Boom. Boom. The rhythm is unbearably fast-paced. The lights of Heaven’s Night are now red and red only. I look at Mainyu and he smiles at me. The masses of flesh beneath us continue screaming at the music.

“Are we having a party or something?” Refn suddenly asks. He swallows half of the Dom Pérignon bottle as he stares at the people. Then, he jumps from the lounge. I see Miki reaching him jumping into the heart of the crowd. I wonder what the flesh is thinking right now. I wonder how do they feel now that divinities left the Mount Olympus to join them in their miserable fun.

Now there is just me and Mainyu.

“Do you think I made a good impression?” I ask visibly worried. There is my future at stake.

“It’s too early to tell,” he says. “But I can tell Refn likes you. He has a thing for girls who didn’t even have their periods.  Just like everybody else. Well, now that I think about it everyone likes you.”

“Perfect,” I whisper relieved.

The people beneath us continue screaming. However, their scream is quite different from before. It has more passion. More fear. More visceral.

“More ‘passionate’ I would suggest. Art always comes from suffering. Beauty always comes from sacrifice. Never forget that, doll.”

All those screams. All that red. All that music. I can’t stop myself anymore. I need it. I need to be part of the Sabbath.

“Shall we go?” Mainyu knows who I am right now. I wish I could say the same for me.

“Yes,” I say. “And Mainyu?”

“What?”

“Thank you for this but don’t make me stand in a queue ever again.”

He smiles.

No wonder his symbol is literally a smile. As I join the Sabbath I officially become part of Heaven’s Night.

Grattacielo

Posso vedere il grattacielo anche da qui. Osservo le luci rosse sopra le antenne accendersi, spegnersi e accendersi di nuovo.

Forse una delle due luci ha qualche problema dato che si accende con un impercettibile ritardo rispetto all’altra.

Forse hanno entrambe un problema.

Mi siedo sulla panchina del parco con lo sguardo fisso sul grattacielo, unica fonte di luce insieme alla luna. Apro una lattina di Monster Energy. Il ‘click’ della lattina rimbomba nel parco zittendo i grilli per un momento. Mi guardo intorno. Ci sono solo io.

Forse c’è anche qualcun altro.

Impossibile saperlo con certezza dato il buio che mi circonda. Prendo la lattina di Monster con entrambe le mani e la porto alle labbra. Mi sento già meglio. I grilli ricominciano il loro canto.

Ho sentito dire che nel grattacielo distribuiscono lattine gratis alle persone. Non c’è assolutamente nulla per me in questo parco. Solo fantasmi. Tutto quello che voglio è sopra a me.

‘Come posso vivere lì?’ domando a me stesso ai grilli.

‘Come posso abbandonare questo posto?’

Nessuna risposta. Non mi sorprende. Un fruscio di foglie cattura la mia attenzione. Mi volto ma è un’azione inutile. Non vedo nulla. Mi chiedo per un momento perché non ci siano lampioni in questo parco. La risposta è così ovvia che mi do dello stupido. Sento un movimento fluido accanto a me.

‘Come va?’

Un uomo deve essersi seduto accanto a me.

‘Bene.’

Forse dovrei chiedergli lo stesso? Decido di no.

‘Cosa fai?’

‘Guardo.’

‘Che cosa?’

‘Il grattacielo.’

‘Bello, non è vero?’

‘Già.’

‘Peccato che non ci arriveremo mai.’

‘Parla per te.’

Mi concedo un altro sorso di Monster. Lo sguardo si sposta sulla Luna. Non illumina neanche lontanamente quanto il grattacielo.

‘Cosa vuoi dire?’ mi chiede il tizio.

‘Voglio dire che ci arriverò.’

‘Incontro sempre persone come te. Lo giuro. Capitano tutti a me.’

Non rispondo. Perché si è seduto qui? Forse perché è l’unica panchina del parco. Ma come ha fatto a trovarla con questo buio? E io come ho fatto a trovarla?

‘E dimmi… come vorresti arrivarci?’

‘Non lo so.’

‘Cosa ti fa pensare che puoi arrivarci?’

‘Non lo so.’

‘Qual è il tuo piano?’

‘Non lo so.’

‘Sei anche peggio degli altri…’

‘Forse.’

Sento il suo giacchetto strusciare sulla superficie della panchina. Probabilmente si è alzato.

‘Grazie per avermi rovinato la serata,’ mi dice. ‘Addio.’

‘Senti…’ gli dico. ‘Tu non sei stanco di tutto questo buio?’

‘No.’

‘E perché?’ gli chiedo ancora.

‘Perché il buio non è una fantasia. Se impari a fartelo piacere non è così male.’

Sento i suoi passi scricchiolare sul manto erboso ricoperto di foglie. Constato con piacere che la lattina di Monster non è neanche a metà. Mi concentro sul grattacielo ancora una volta. L’unica cosa reale in questo mondo. Allungo la mano verso il grattacielo e la chiudo a pugno.

‘Eccomi,’ sussurro. ‘Ti ho preso.’

Non è una verità ma neanche una bugia. Riporto le mani sulla lattina fredda.

Forse sono bravo solo a parole.

Quando avevo 17 anni

In questa sottosezione ho deciso di condividere alcuni dei miei primi racconti e primi esperimenti di narrativa del periodo del liceo. Cercherò di produrre qualche mia ultima ‘composizione’ (chi mi credo di essere? Shakespeare?) ma saranno solo piccoli frammenti e storie fine a se stessi. Come da titolo, questo è un racconto che scrissi a 17 anni dopo aver finito di leggere la Torre Nera e durante il mio periodo western in cui ero fissato con Clint Eastwood. Non ho potuto fare a meno di distogliere lo sguardo in alcune parti ma l’ho trovato divertente… tutto sommato.

La mano di Dio

Le ombre dei pistoleri si proiettavano lunghe chilometri nella strada percorsa ogni giorno dalle innumerevoli diligenze appena fuori città. Le Colt erano pronte a sparare, le dita pronte ad armare: John teneva la mano destra al di sopra della fondina attaccata alla cintura, mentre il matricida una volta noto con il nome di Leon stiracchiava dolcemente i polpastrelli della sinistra, disegnando nella calura del meriggio piccole ellissi. La mano destra non l’aveva più da tempo. Il primo pensiero che percorse la sua anticamera del cervello quando venne privato dello strumento di morte destro fu: ‘fortunatamente mi masturbo con la sinistra’ . Un ombra di un sorriso apparve su quel volto solcato dalle rughe, incorniciato da capelli lunghi e crespi più tendenti al grigio che al nero, nonostante avesse superato da poco la soglia dei venticinque anni. Lo allarmò scoprire con quanto noncuranza avesse espresso quel pensiero. Non molto tempo fa, quello stesso uomo che si era ridotto a bere urina di cavallo per non morire disidratato nel deserto e a cui era stata tagliata la mano dai pellirossa (per fortuna non il suo scalpo, dice grazie) e che stava per affrontare la resa dei conti finale, aveva la fama di essere un vanitoso seduttore: Aye, se lo ricordava come se fossero passati pochi anni (nonostante ne fosse passato uno solo).

Spendeva la maggior parte del tempo a incipriarsi il volto, già pallido per natura, facendosi bello per le rinomate donne di alto borgo che frequentavano  la locanda gestita da suo cugino. Prostitute le avrebbe chiamate quella santa di sua madre, ma ora lei non c’era più, l’aveva uccisa lui stesso con l’ultimo di una serie di proiettili che ricevette in eredità da suo padre: uno di quelli d’argento. Appena sparato il colpo si dispiacque…per il proiettile, non per la madre, per lei non poteva che trarre un sospiro di sollievo. Non uno dei suoi più bei ricordi, bisogna ammetterlo, ma questo e tanti altri episodi attraversarono come un lampo il cervello del pistolero, grazie all’accavallamento e al contatto dei suoi neuroni ceppati, i quali non erano più in grado di commettere come un tempo (bisogna ammetter anche questo). John era di tutt’altro temperamento. Non pensava a niente se non al compito che gli sarebbe toccato da li a cinque secondi. Quattro secondi… e prima del quattro? Avrebbe scommesso sulla santa Trinità che ci fosse il tre, Aye!

2,

1,

DING,DONG          

Le campane cominciarono a suonare, e poco più sotto di una trentina di metri le pistole dei masnadieri cominciarono ad accompagnarsi alla melodia con una canzone ben diversa. Leon fu il primo (e ultimo) a unirsi alla sinfonia: scostò con la mano sinistra il suo poncho impolverato ce nascondeva la sua Colt 45, la impugnò, armò il grilletto, mirò al torace  e sparò. Tutto questo portò via al pistolero meno di quattro secondi, quegli stessi secondi che John –o la sua carcassa, per meglio dire-   impiegò per riversarsi a terra. Un rivolo di sangue scivolò dalla sua stella da sceriffo e si andò a infilare sotto la cintura.  Leon, con lentezza estrema, fece scivolare la sua unica amica nella fondina e si avviò a lunghe falcate verso il cadavere di suo fratello. Lo esaminò tasca per tasca. Un rotolo di banconote da cinquecento dollari, una foto della loro madre e un carillon fu tutto quello che trovò, e tutto quello che ricevette dal suo fratellino in tutta la sua vita. La sua eredità. Gli tornò alla mente il sorriso di sua moglie e il carillon con cui si dilettava il figlio. Accantonò con freddezza quei ricordi. Loro non erano più in questo mondo e ora neanche i loro assassini. Pensò che un fratricida e un matricida come lui fosse destinato con ogni probabilità al cerchio più buio dell’Inferno e che neanche Gesù e Cristo in persona potessero cambiare ciò. Pazienza. La sua ultima tappa del viaggio sarà anche riservata alla tana di Satana , ma di certo non ci sarebbe passato per El Paso. Prese lo stallone di suo fratello -dello sceriffo e del complice di sua madre dello sterminio di sua moglie e sua figlia- e cavalcò verso il tramonto. A fargli compagnia nel cielo infinito, gli avvoltoi.

Bukowski, Moody, forse John Fante e The promised Neverland

Dopo aver ascoltato il tema di Hank di Californication l’altro giorno, ho sentito il bisogno di riguardarmi il pilot della serie. Non era assolutamente niente male (per essere l’episodio pilota). Veniamo a conoscenza del Chad per eccellenza, il maschio alpha Hank Moody: un uomo che solo nel primo episodio va a letto con quattro donne diverse, si fuma quattro pacchi di sigarette e va a vedere al cinema il film tratto dal suo ultimo romanzo, ‘God hates us all’. Già questo ci porta ad empatizzare con il personaggio: chi non vorrebbe essere come lo scrittore Hank?

Ambientato nella città del vizio, Los Angeles, Hank è un lupo solitario in lotta con se stesso. Sin dalle prime battute (in cui si vede una suora che gli fa un servizio orale) Hank si rivela come un perfetto narcisista innamorato di se stesso. Ancora innamorato della sua ex, Karen, Hank cerca di annegare il vuoto che sente dentro tramite sesso e alcool. Non riesce più a scrivere e non riesce a mantenere un rapporto sano con sua figlia Becca.

Californication rappresenta uno dei miei generi preferiti poiché non c’è una vera trama: la serie televisiva si concentra su Hank mostrando la vita distruttiva di tutti i giorni che molte persone vorrebbero imitare… almeno le persone sotto i ventitré anni: tra cui io, Lone Struggler.

Serie estremamente consigliata: divertente ed educativa (forse non è il termine esatto) per chi è interessato alla scrittura. La serie è piena di luoghi comuni, come lo stereotipo dello scrittore genio-alcolizzato che non è mai esistito se non nella funzione. La colonna sonora è di ottima qualità. Esclusivamente rock con milioni di riferimenti a varie cantanti di cui lo stesso Hank è un fan (Kurt Cobain e Warren Zevon).

Beh… ottima serie: divertente, introspettiva e dall’animo rock. C’è dell’altro? Si… la parte di Bukowski nel titolo. Lo scrittore viene citato in continuazione nell’opera. Lo stesso nome ‘Hank’ è un riferimento all’alter-ego letterario di Bukowski, Hank Chinaski. Il primo romanzo di Hank Moody è stato ‘South of Heaven’ altro chiaro riferimento a ‘South of no north’, una raccolta di racconti del vecchio Bukowski. Cosa hanno i due in comune oltre alla passione per il gentil sesso?

Uno: Hank Moody ha sempre avuto movimento nella sua vita al contrario di Bukowski, il quale ha ottenuto però la sua vendetta in età più avanzate (a questo proposito, consiglio ‘Women’ in cui Bukowski spiega per filo e per segno ogni sua piccola relazione quando divenne mediamente famoso come scrittore). A Bukowski sarebbe piaciuto Californication? Ne dubito ma forse si sarebbe sentito onorato nel guardarlo.

Due: Sono entrambi pessimisti con un amore per la bottiglia.

Riguardo il tema ‘pessimismo’… non c’è miglior modo di approfondire questo aspetto se non tramite la lettura di ‘Ham on Rye’ (‘panino al prosciutto’): a mio parere il libro più bello di Bukowski. Il titolo del romanzo può ricordare ‘The Catcher in the rye’ (‘Il giovane Holden’ in italiano): infatti, entrambi i romanzi narrano la vicenda dalla visione del mondo dei protagonisti.

In una rissa, però, avrebbe vinto il buon Hank. A mani basse.

L’intero romanzo è narrato tramite il punto di vista di Hank Chinaski da bambino. Un tono velato di ironia e depressione accompagna tutto il romanzo: un bambino nato in una famiglia di ceto medio-basso, picchiato dal padre, tempestato dall’acne, emarginato da molti dei suoi compagni. Con il tempo, seguirà un disprezzo per la società, per il conformismo e tutto ciò che ne consegue. Ciò che adoro di questo romanzo, tuttavia, è la caratterizzazione di Hank. Nonostante il protagonista abbia una vita estremamente dura, raramente si rifugia nell’autocommiserazione. Realizza ben presto che il mondo raramente è giusto, tuttavia cerca sempre un modo per reagire e cogliere l’ironia nella tragedia. Hank Chinaski, all’età di otto anni, è molto più maturo e meno vittima di molte persone che hanno avuto una vita più agiata di lui. Il tema della perseveranza (seppure molto sottile) è presente nel romanzo. La stessa perseveranza che portò Bukowski a non abbandonare la scrittura nonostante migliaia di rifiuti. Hank rappresenta la disillusione verso il mondo e la voglia di essere diverso. Tuttavia, a mio avviso, racconta anche una gloriosa storia un bisogno viscerale di essere accettato da quella stessa società da cui cerca di fuggire.

Questo ci porta a John Fante, una delle ispirazioni maggiori per Bukowski. John Fante era uno scrittore (no shit, Sherlock). Ha esplorato molti temi cari a Bukowski come la narrazione del romanzo attraverso il suo alter-ego letterario (nel caso di fante, Bandini). Non conosco Fante bene come Buk. Per il momento, ho letto: La strada per Los Angeles, Full of Life e Ask the dust. Sono tutte ottime letture con un giovane Bandini che sogna di diventare scrittore… eccetto Full of Life: un resoconto romanzato dei giorni in cui sua moglie era incinta. Noioso e privo di ironia al contrario dei suoi altri romanzi, ma è solo una mia opinione. Dei tre, consiglierei ‘La strada per Los Angeles’: divertente, energetico e con uno stile narrativo asciutto e senza giri di parole.

Questo ci porta a The Promised Neverland, un anime che ho iniziato da poco. Non c’entra nulla con il resto dell’articolo ma dato che il blog è incentrato sugli anime… ho deciso di includerlo qui. Ottimo mistery, ottimo thriller, ottima premessa. Una cinquantina di bambini trascorrono giorni felici e spensierati in un orfanotrofio. Tuttavia, lo scopo per cui vengono cresciuti nasconde un’orribile verità. Ne parlerò in seguito con maggiore approfondimento.