Sognando con Silent Hill II: infanzia e traumi

Era il 2006. All’epoca avevo 9 anni e frequentavo la quarta elementare. Non era un bel periodo della mia vita. Vivevo in una cittadina lontano da casa. Mi sentivo solo. Non avevo nessuno con cui parlare.  I giorni erano grigi e trascorrevano allo stesso modo: sveglia, scuola, sport, studio e così via. Immagino sia una routine comune per un bambino di quell’età. Le giornate erano così identiche che non riuscivo neanche a distinguerle.

Ma in fondo a questo grigiore senza fine, c’era una luce. Avevo la Playstation 2 e una pila di giochi ereditata dal mio vicino di casa, oltre che alla mia scorta personale. Un titolo tra tutti spiccava. Silent Hill II è un nome che è comparso spesso in queste pagine. Difficile trasmettere le emozioni che provai per la prima volta. Ero confuso, spaventato, disorientato. Non avrei descritto quel gioco come una bella esperienza.

Le lunghe camminate per le strade di Silent Hill immerse nella nebbia più fitta, i mostri dall’aspetto sin troppo umano e la natura brutale e sessuale di alcune scene, mi facevano percepire una forte sensazione di disagio e, a volte, di sporcizia. Un’ulteriore conferma di come Konami abbia svolto un lavoro magistrale nel dipingere un quadro psicologico di una tale complessità.

Non capivo perfettamente la storia. Non afferravo i chiari riferimenti a Carl Jung e David Lynch. Una cosa avevo capito: un tizio cercava la moglie morta in una cittadina piena di mostri. E la trama, almeno all’apparenza, è proprio così.

James Sunderland riceve una lettera da Mary, la moglie deceduta tre anni prima a causa del cancro, che lo prega di tornare e incontrarla a Silent Hill, la città che simboleggiava il loro “posto speciale”. Confuso, James parte alla volta della città ma, una volta giunto, non trova più l’idilliaca Silent Hill di cui conservava un caro ricordo.

Qui tutto è marcio, devastato e abitato da creature, mostri disgustosi ed esseri umani. Nel suo viaggio verso questo inferno, James incontrerà diverse persone. Prima tra tutte è Angela Orosco, una ragazza mentalmente instabile dallo stato emotivo profondamente danneggiato dalle continue violenze sessuali subite dal padre e dall’abuso psicologico della madre.

Silent Hill: purgatorio e ombre del passato

Con il proseguire della trama, James incontra Eddie Dombrowski, un ragazzo in forte sovrappeso che ha avuto gravi problemi di autostima a causa del bullismo. Qui si comincia a percepire qualcosa che non va.

Come mai tutti gli esseri umani che James incontra sono indifferenti al caos che regna a Silent Hill? Perché nessuno è preoccupato dall’avanzare dei mostri deformi che compaiono in ogni luogo della città? Un ulteriore interrogativo viene sollevato quando James incontra Laura, una bambina di 8 anni senza genitori che vaga liberamente per le strade di Silent Hill.

Come si scoprirà, Laura era amica di Maria, la moglie di James, ed è venuta a Silent Hill apposta per vederla di nuovo. Qui c’è decisamente qualcosa che non va. Sembra quasi che i personaggi si muovano in una differente versione di Silent Hill e che questa città richiami un certo tipo di persone.

Una delle spiegazioni più comuni è che Silent Hill ha la funzione di un purgatorio, un luogo in cui chiunque non sia riuscito a superare un forte trauma viene costretto ad affrontarlo. Un purgatorio mutaforme che assume l’aspetto delle paure e delle frustrazioni dell’individuo.

L’arte dietro il concept è stata ispirata ai lavori dell’artista Hans Bellmer

James si sente ancora in colpa per la morte della moglie e non riesce a liberarsi della sindrome del sopravvissuto. Ogni mostro che incontra è pregno di significati allegorici sessuali. Ad esempio mannequin, forse simbolo dell’immaginario collettivo di Silent Hill, un esempio della chiara frustrazione sessuale di James quando Mary lottava contro il cancro. O Pyramid Head, il mostro senza volto che prende con la forza ciò che vuole. Il personaggio di Maria è altresì degno di nota. Maria è la copia fisica di Mary, ma il suo carattere è completamente diverso. Maria è la spogliarellista di Heaven’s Night di Silent Hill. Maria potrebbe rappresentare lo sdoppiamento di personalità di Mary, nonché il desiderio di James.

Ancora in quella città

Cosa dire? Silent Hill II è un viaggio nella profondità della psiche umana che non lascia indifferenti. Non mi stupisce che un gioco talmente pieno di metafore, odio, traumi e redenzione mi donasse una sensazione di sporcizia da bambino.

Il viaggio di James lo porterà finalmente alla verità, al “posto speciale” condiviso con Mary. Sei sono i finali disponibili. Nessuno è canonico. Io posso semplicemente parlare del finale che ho avuto nella mia run che ho completo per la prima volta (non ho mai finito il gioco da bambino) pochi mesi fa. Il finale è intitolato Leave: James ha l’occasione di affrontare il suo passato una volta per tutte e parla con sua moglie per l’ultima volta. James lascia finalmente Silent Hill con Laura. Ha guadagnato il diritto di elaborare il trauma e di abbandonare la città. Silent Hill ha un’anima in meno da tormentare.

Sono grato di aver avuto accesso a questo finale: gli altri epiloghi hanno avuto uno sviluppo decisamente più tetro da quello che ho letto. Eppure, una parte di me sarà sempre legata a quella città. Forse ho abbandonato Silent Hill per il momento. Ma a volte riesco a vederla nei miei sogni. James ha compiuto il suo viaggio. Per me credo che ci voglia ancora un po’.

Ma non mi dispiace.

Nel bene o nel male, io sono ancora a Silent Hill.  

The Boys: uomini contro dei

Le storie con i supereroi come protagonisti non mi hanno mai convinto.  Non perché io voglia fare il radical chic e affermare che i cinecomics siano spazzatura (anche se non sarebbe del tutto errato), ma per il concetto alla base della parola “supereroe”. Come si potrebbe definire? Un eroe dalla capacità sovrannaturali che mette a frutto suddetti poteri per rende la società un posto migliore. Mi sembra calzante, ma un qualcosa del genere non potrebbe esistere. Non con un essere umano, perlomeno.

In una struttura gerarchica altamente complessa come la nostra basata sulla iper-competitività in cui ogni persona sfrutta ogni suo minimo vantaggio per emergere, cosa accadrebbe se ci fossero alcuni individui dotati di poteri così grandi da elevarli al grado di divinità? Cosa impedirebbe a un uomo capace di distruggere una città con uno schiocco di dita di utilizzare i suoi poteri per un bene comune? Perché un uomo potente, un Dio, dovrebbe anche solo importare ciò che pensa un essere che non ha le sue stesse capacità?

Perché un leone dovrebbe curarsi di una gazzella? Pensandoci bene non ci sono motivi logici. Il più forte uccide il più debole. Le persone più capaci progrediscono, lasciando alle spalle l’80% della popolazione insieme ai loro fallimenti. Molte persone sarebbero dei manipolatori sociopatici… se solo avessero le armi per farlo. È un qualcosa a cui pensavo spesso: le persone che si definiscono buone e pacifiste in realtà lo sono perché non hanno scelta: non possono permettersi di essere aggressive perché in un vero conflitto ne uscirebbero perdenti. Qual è dunque il modo migliore per evitare di perdere? Abbassare la testa e sperare che il peggio passi. Per essere dei veri pacifisti bisogna sapere come combattere ma scegliere di non farlo. Sono davvero poche le persone così in questo mondo.

Uno dei temi che adoro di più di The Boys è proprio questo. Se si ha accesso a un potere smisurato anche l’uomo più comune può diventare ciò che in realtà è sempre stato ma che non ha mai avuto occasione di essere: un sociopatico infantile e guerrigliero pronto a far del male a chiunque osi mancargli di rispetto. Nel mondo di The Boys, i supereroi (o per meglio dire i Supes) sono reali, osannati e venerati da tutto il mondo. Ognuno di loro ha i propri film, il proprio merchandise e la propria fanbase da cui percepiscono una percentuale delle vendite. Sono i Sette, i paladini della giustizia senza macchia che difendono i più deboli. Ma questo ovviamente solo negli occhi dei media. La realtà è ben diversa, come sta per scoprire Hughie.

I ragazzi dell’unità The Boys dopo una discussione costruttiva con i Sette

Hughie Cambell ha una vita mediocre: lavora come commesso in un negozio di elettronica e vive ancora con il padre. In questo grigiore c’è però Robin, la ragazza di cui è perdutamente innamorato. Un giorno, camminando con lei insieme per strada, accade l’impensabile: il supereroe A-Train, l’uomo più veloce del mondo, corre letteralmente attraverso Robin, sviscerando e uccidendola all’impatto (succede questo quando correndo si frantuma la barriera del suono). A-Train, apparentemente, era troppo di fretta e non ha fatto in tempo a vedere Robin. Ciò lascia Hughie catatonico. La sua vita era finita di fronte a lui senza che potesse fare nulla per impedirlo. A-Train decide di concedere a Hughie un risarcimento di 40.000 dollari per insabbiare la vicenda una volta per tutte ma in lui scorre il desiderio di vendicarsi. Hughie viene così reclutato dal vigilante Anti-Supe Billy Butcher, tanto cattivo quanto inglese.

L’ambiguità morale di The Boys

Billy Butcher spiega a Hughie che incidenti simili a quelli di Robin per opera dei Supes sono all’ordine del giorno e, ogni volta, la passano liscia senza ripercussioni. Butcher è un uomo senza superpoteri che ha un obiettivo ben preciso in testa: farla pagare ai Supes e dimostrare loro che non sono al di sopra dei normali esseri umani.

Un’impresa non da poco considerando che Homelander, il Supe a capo dei Sette, ha il potere di scatenare una Terza Guerra Mondiale se solo volesse. Ed è così che Hughie entra a far parte dei “The Boys”, l’unità investigativa contro i supereroi. La serie tv è meravigliosa, sporca, reale e rivoltante. L’intreccio narrativo riesce a far capovolgere la solita lotta degli eroi contro i malvagi in qualcosa di più simile an uomo comune animato dal senso di giustizia contro una divinità capricciosa e malvagia. Il confine tra bene e male oscilla e non è mai marcato ma sempre indefinito. L’unità investigativa “The Boys” dovrà venire meno alla propria moralità più di una volta nella loro assurda quanto romantica impresa di far fuori i Supes. D’altronde, come diceva Nietzsche: “Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro.”

Una serie televisiva come non ne facevano da molto tempo. Assolutamente consigliata.

Il principe nell’alta torre III – Il Conte di Montecristo e Mike Tyson

La biografia di Mike Tyson è un piccolo capolavoro della letteratura, nonché uno dei miei libri preferiti. Un uomo che si eleva al grado di Dio dopo che la vita gli ha riservato più di un colpo basso, per poi cadere in una spirale di autodistruzione causata dell’ego e, infine, risorgere dalle proprie ceneri divenendo uno dei filosofi più influenti del ventunesimo secolo: il viaggio di Iron Mike è davvero imperdibile.

Cosa ascolto quando scrivo parte III

Ogni episodio e aneddoto della sua biografia possano essere tranquillamente incisi in pietra con caratteri dorati per essere lasciati in eredità alle generazioni future, ma una storia rimane la mia preferita. Un po’ di contesto: all’età di 27 anni, Mike Tyson viene arrestato per il presunto stupro dalla reginetta di bellezza Miss Black Rhode Island Desiree Washington.

Nonostante la scarsità delle prove, Tyson è costretto a scontare una pena di dieci anni ma che viene ,fortunatamente, ridotta a tre anni per buona condotta. Durante il suo soggiorno in carcere, Mike ha avuto modo di esplorare il mondo della letteratura. Tra gli scrittori menzionati da lui stesso vi sono: Hemingway, Fitzgerald, Tolstoj, Macchiavelli e Voltaire.

Il Conte di Montecristo: prigione, vendetta e crescita personale

La sua lettura preferita rimane però uno dei romanzi più famosi dello scrittore Alexandre Dumas: il Conte di Montecristo. La trama in due parole: un uomo viene incarcerato ingiustamente. I suoi nemici prosperano mentre l’uomo in questione, Edmond Dantès, rimane inerme a veder passare gli anni della sua vita dietro le sbarre. Edmond non perde tempo e decide di imparare la storia, la letteratura e le scienze dal suo dotto compagno di cella che lo renderà un uomo forte, brillante e capace di ottenere la propria meritata vendetta contro il trattamento subito.

Non è difficile capire perché questo sia il romanzo preferito di Tyson. Posso immaginarmelo: un gigante di cento chili che legge le sventure di Dantès con la schiena appoggiata al cancello della sua cella. In maniera simile a Dantès, Mike Tyson decide di migliorarsi e affrontare la prigione con un forte spirito di stoicismo senza imprecare contro gli dei per il destino avverso ma per rendersi un uomo migliore. Se Dantès non avesse mai messo piede in quella cella, forse la sua vita avrebbe avuto un corso più felice ma è proprio grazie a quell’esperienza che ha avuto modo di viaggiare per il mondo e diventare il famigerato conte dell’isola di Montecristo. Da qualcosa di orribile c’è sempre la possibilità di far crescere qualcosa di buono.

Negatività e pressione

Il desiderio di vendetta è profondamente umano. La rivincita è un tema fondamentale, nonché genesi della giustizia: chi la ottiene è in grado di proseguire nella propria vita; chi non la ottiene è ancorato al passato con un senso di frustrazione tanto grande quanto il suo ego ferito. Ma c’è una terza via: usare tutto quell’odio e rancore per costruire qualcosa che non si interamente negativo. Il passato non può essere cancellato ma il futuro può essere costruito.

Non ha senso perdere la propria vita per un evento negativo. Ma per quanto riguarda chi ha fatto del male per primo? È forse giusto perdonarlo? È forse giusto che prosegua la sua vita normalmente mentre ha distrutto quella di altri? Non è una risposta semplice. A volte si è impossibilitati ad avere giustizia per circostanze al di fuori del nostro controllo. La realtà del mondo è spesso deludente. Ma ciò potrebbe essere un ottimo modo per diventare una persona migliore, il che, già per esso, è un atto di dolce vendetta.

Nelle parole di Edmond Dantès, il Conte di Montecristo: “Servono le sventure per scavare certe miniere misteriose nascoste nell’intelligenza umana; serve la pressione per far esplodere la polvere.”

Nelle parole di Mike Tyson: “God lets everything happen for a reason. It’s all a learning process, and you have to go from one level to another.”

Aggretsuko, un incubo kawaii

Scegli di svegliarti alle 7 del mattino. Scegli di vestirti bene. Scegli di andare a lavoro. Scegli di prendere il treno. Scegli di lavorare con persone che non ti piacciono. Scegli di essere una piccola ape operaia. Scegli di immortalare i momenti più significativi della giornata su Instagram e scegli di tornare a casa a dormire per poi continuare questo ciclo fino alla morte. Non è l’intro di Fight Club né un’introduzione a Trainspotting. Sto parlando di Aggretsuko: un anime con una simpatica e timida panda rossa come protagonista che lavora come impiegata in un ufficio contabile.

Retsuko ha 25 anni e ha finalmente trovato un lavoro stabile nella contabilità ed è pronta per essere un membro rispettabile della società. Inizialmente contenta del suo impiego, mese dopo mese, comincia pian piano a detestare il proprio lavoro. Le ore interminabili, i pettegolezzi in ufficio e la misoginia del suo capoufficio Tom (il fatto che sia rappresentato come un maiale non lascia troppo spazio all’immaginazione) rendendo la vita di Retsuko un inferno quotidiano che è costretta a ripetere ogni giorno con l’eccezione del fine-settimana.

Aggretsuko non si regola

Questo spin-off isekai anime kawaii di Fantozzi ha il preciso compito di descrivere la vita media di un impiegato giapponese. Non so quanto questo possa rispecchiare la verità dato che non sono mai stato in Giappone, ma osservando l’indice di suicidi ciò porterebbe a farmi pensare che, forse, un fondo di verità c’è. In effetti, sono molte le persone anche in Italia che potrebbero rispecchiarsi in una routine senza significato come quella descritta all’inizio del post. Tuttavia, la vita di Retsuko non è formata solo da passività e lavoro da ufficio.

Per sfogarsi delle piccole umiliazioni quotidiane, Retsuko è solita passare le notti al karaoke dove canta a squarciagola canzoni metal in cui sfoga la rabbia per la sua esistenza. Accidenti. E io che volevo semplicemente guardare un anime non troppo impegnativo… mio malgrado, sono stato trascinato in questo incubo esistenziale dai toni e dai colori kawaii. Ma Aggretsuko non è solo un potente riflesso dell’individuo medio nel ventunesimo secolo. Retsuko troverà dei validi alleati che la aiuteranno a sviluppare il suo carattere e la sua personalità. Avrà a che fare con amori, passioni e amicizie che la porteranno ad allontanarsi sempre di più dalla sua visione pessimistica della vita.

Nonostante i disegni che strizzano l’occhio al design di Hello Kitty e l’assenza di un linguaggio scurrile, Aggretsuko si rivela una sorpresa sotto ogni punto di vista raggiungendo a volte le vette di pessimismo filosofico di Bojack Horseman, offrendo una critica velata alla società senza tuttavia diventarne prigioniera. Un personaggio creato apposta per rappresentare noi stessi. So bene cosa significa arrivare a pensare: “C’è dell’altro?”. Non passo i giorni al karaoke ma guardo le serie tv e ascolto podcast di Joe Rogan. Non è forse la stessa cosa? Un anime raccomandato letteralmente per tutti, con la premessa che solo in pochi potranno apprezzarlo a pieno.

Dopo aver visto le prime tre stagioni di Aggretsuko posso finalmente tornare alle mie attività da Sigma: finire la terza stagione di The Boys, che non senza sorpresa , non mi ha preso come la terza stagione di Aggretsuko.

Vinland Saga, perdono o odio?

È davvero possibile cambiare come persona? Può un essere animato da puro odio e vendetta diventare un pacifista? Vinland Saga è stata una piacevole sorpresa. Dopo la quinta visione di The Northman avevo sete di storie di vendetta. Uno dei primi risultati su Google è stato Vinland Saga, un manga ambientato nell’era dei vichinghi. La trama era tanto semplice quanto quella di The Northman. A uccide B e C cerca vendetta per B con il chiaro intento di uccidere A. Non è un caso se la maggior parte delle storie che hanno per protagonisti i vichinghi hanno come tema il regolamento dei conti. Una delle divinità più importanti è rappresentata da Víðarr che incarna il concetto stesso di vendetta.

“Fra cespugli cresce, ed erba alta,

la terra di Viðarr, e fra boscaglie;

là si farà il fanciullo, a dorso di cavallo, abile,

per vendicare il Padre.”

(Dal Canzoniere Eddico)

Il dio Víðarr prenderà parte al Ragnarǫk, la fine del mondo, e il suo compito sarà quello di vendicare il padre Odino. Non esiste nulla come la vendetta per salvare il proprio onore e il proprio ego. Ma la vendetta non è solo un qualcosa di interamente negativo. Fare del male a coloro che hanno fatto del male alla fin dei conti non è altro che giustizia. Temere una rappresaglia per aver commesso un’ingiustizia ha altresì la funzione di stroncare un crimine prima che esso possa nascere.

Se non si pagasse per i reati commessi, quanti di noi si macchierebbero delle colpe più gravi? Sospetto in molti. E se si parla di pagare per un torto subito, il concetto di “perdono” non sarebbe forse un affronto per le vittime? Come potrebbe essere possibile perdonare qualcuno che ha recato una grave offesa a un proprio caro? Un furto, una violenza, un’umiliazione, un omicidio? Si potrebbe controbattere che il vecchio e caro concetto di “occhio per occhio” possa portare solo più disperazione e odio, il quale porterebbe a una nuova rappresaglia, in un ciclo di vendetta senza fine. Si deve essere davvero delle persone incredibilmente forti (o incredibilmente deboli) per lasciare le proprie fantasie di vendetta e concentrarsi sul futuro.

Questo è l’enigma di Thorfinn, il quale ha visto il padre morire per mano di un mercenario senza alcun motivo apparente. Da bambino sorridente e amabile, Thorfinn lascia che la rabbia e l’odio prendano il sopravvento e medita vendetta. È solo un bambino di sei anni ma comincia il suo allenamento. Askeladd, l’assassino di suo padre, vedendo del potenziale in lui, gli fa una proposta: unirsi al suo esercito, dimostrare il proprio valore in battaglia, e guadagnarsi il diritto di affrontarlo in un duello per vendicare suo padre. Perché Thorfinn non intende tagliare la gola ad Askeladd nel sonno. Non sarebbe onorevole: deve vendicare suo padre vincendo onestamente in un duello. Ed è così che il giovane Thorfinn inizia il suo apprendistato sotto il comando dell’assassino del padre.

“Il più forte vive e il più debole muore” diventa il suo nuovo mantra e agisce di conseguenza, unendosi ai Danesi e razziando le città della Gran Bretagna. Fino a quando, per una circostanza fortuita, il suo desiderio di vendetta gli viene rubato. Ciò lo fa diventare un guscio vuoto. Senza vendetta, Thorfinn non è nulla. Qui inizia il suo cammino verso la guarigione, ma non è mai interamente possibile sfuggire dal passato (un tema molto caro anche all’ultimo God of War che non a caso tratta della mitologia norrena). Forse è impossibile essere dei non violenti in un mondo del genere. Un manga assolutamente consigliato che si avvicina all’ambiguità morale di Berserk e Vagabond.

Thorfinn di Vinland Saga, Mushashi di Vagabond e Guts di Berserk intorno a un fuoco parlando delle proprie cicatrici. Grazie a chiunque abbia creato questo video (The MMV Maker).

Il principe nell’alta torre – Una riflessione su The Northman

Il cinema è diventato un santuario per me. Ci vado dalle cinque alle sette volte alla settimana e rigorosamente di sera intorno alle 21:00. C’è qualcosa di estremamente confortevole nello sprofondare nella poltrona del cinema, guardare 10 minuti di pubblicità ogni volta (tanto che a volte mimo con le labbra le parole dei vari spot) e perdersi nel mondo creato da qualcuno tanto insoddisfatto dalla realtà quanto me. Forse l’abbonamento da 20 euro che comprende un’entrata al cinema al giorno per un mese ha fatto di certo la sua parte. Alcune volte vado in sala anche quando non c’è nulla che mi interessi solo per non sprecare un giorno dell’abbonamento.

A volte, questa strategia, mi ha fatto scoprire dei bellissimi gioielli come Nostalgia di Mario Mortone, che probabilmente non avrei mai visto se avessi dovuto pagare un biglietto intero. Altre volte, me ne sono pentito amaramente come nel caso di Memoria: uno dei più grandi sprechi di cellulosa che esistano. È un po’ come giocare ad azzardo: a volte vinci e a volte perdi. E a volte fai jackpot, il colpo della vita. Questo è ciò che mi è capitato guardando The Northman per cinque volte in sala, alzando da solo l’indice di incasso totale in Italia del 50%.

The Northman: odio e ancora odio

La trama di The Northman è quanto di più semplice possa esistere. Nell’anno 895, il re Aurvandill Corvo di Guerra torna al suo regno dopo una sanguinosa battaglia che lo ha visto vincitore. Aurvandill si ricongiunge con il figlio Amleth e la regina Gudrún, sua moglie. Il re si rende conto di essere prossimo alla morte e decide di preparare Amleth al suo destino come futuro re. Un giorno, Fjölnir, fratello di Aurvandill, tende un’imboscata al re e a suo figlio: il suo obiettivo è la corona ed è disposto a uccidere persino suo fratello per prenderne possesso. Aurvandill muore per mano di Fjölnir ma Amleth riesce miracolosamente a fuggire. Dopo aver ucciso il fratello, Fjölnir si insedia nel regno prendendo con la forza la regina Gudrún come moglie.

Per sfuggire al trauma che lo ha perseguitato riesce a ripetere solo il mantra: “Ti vendicherò, padre. Ti salverò, madre. Ti ucciderò, Fjölnir.”

Gli anni passano. Amleth privato del suo regno si è unito a una banda di saccheggiatori e guerrieri Berserkr e passa il suo tempo a depredare villaggi e venderne gli schiavi ai principali mercati dell’Occidente e dell’Oriente. L’odio e la sete di vendetta per ciò che ha subito tormentano i suoi sogni fino a quando non gli si presenta l’occasione di tenere fede al giuramento.

La crociata di Amleth diventa così la crociata dello spettatore che diventa testimone di un mondo brutale e violente e che non può fare a meno di immedesimarsi con Amleth. Il concetto di vendetta (giustizia) è profondamente radicato nel cuore dell’essere umano. Chiunque, almeno una volta nella vita, ha sognato di potersi vendicare nei confronti di un torto subito (o presunto tale). Questo genere di storie è viscerale. Non a caso, The Northman è ispirato dalla stessa storia che ispirò Shakespeare nella scrittura di Amleto (non a caso, il protagonista si chiama Amleth). Il racconto in questione venne ispirato da Saxo Grammaticus, uno storico danese vissuto nel XIII secolo.

Ma le storie che ruotano intorno alla vendetta di un torto subito si possono ritrovare agli arbori della civilizzazione. In conclusione, la vendetta e la violenza fanno parte del nostro retaggio ancestrale. Ed è uno dei motivi per cui un film così brutale, semplice e primitivo riesce a far breccia nell’immaginario collettivo di (quasi) ogni persona che abbia avuto il piacere di vederlo nelle sale. Il finale, inteso come un meraviglioso lieto fine in cui l’eroe si guadagna il suo posto nel Valhalla, è una dei momenti più commoventi e catartici della storia del cinema e di tutti i media. Non si parla della ricerca del perdono, di cercare uno scopo nella vita dopo l’affronto subito o andare avanti.

Si parla di vendetta come giustificazione divina per mantenere il proprio onore. Un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario. Lontano dalla giustificazione morale di Old Boy, The Last of Us II o, per rimanere nel tema dei vichinghi, The Vinland Saga, The Northman è forse uno dei pochi film quest’anno che non ha avuto paura di piegarsi all’opinione del pubblico.

Stolen Childhood (A day in 2006)

I look in the mirror.

.Rorrim eht ni kool I

No. Seriously.

I look in the mirror.

I have blond long hair, lively eyes that look like brown bottoms. A genuine smile with a major crooked tooth, a molar. I have a red t-shirt with a shark surfing in Ray-ban. Ripped short jeans, red snickers. I like what I see but it seems like there is something off. I know it’s me but it’s not the ‘me’ I am used to. I seldom smile and I never watched myself doing that. Suddenly I feel stupid. I try to assume a more serious look. This seems more like me. I brush my teeth. I spit water and blood. I brush my teeth again. I splash some water on my face to stay awake. Tonight is the night.

I leave the bathroom and I am disoriented. I know this place but it seems foreign to me. I know where I am and where every room is. It seems like I lived in this house a long time ago. I direct myself to my room that is just next to the bathroom.

I am on the second floor.

I tried to burn the wall of my room.

I live in a residence.

My best friend tried to kill himself.

I am in grammar school.

All these thoughts come randomly to my head. I am not sure if I should scream or simply stay quiet. I choose the second option. There is a particular thought that seems vaguely interesting.

I am on the second floor.

So it means there is a first. Maybe a third. Including the bathroom and my room (which I deliberately choose not to enter yet), there is a second room. I open the door. It’s all dark. I turn on the light.

A two-sized bed, a window, a television screen and a giant wardrobe is all there is.  I notice a painting of a man with wings, covering his face with his elbows just above the bed. I assume he is an angel even though he seems angry for some reason. Before leaving the room I decide to walk all the way to the window. I can’t see a single thing. It’s all dark. Not really dark now that I think about it. There is some movement. Something completely grey sometimes appear simply to vanish the second after. It reminds me of a broken tv. It seems night but it’s impossible to tell. It could be early morning or it could be a late afternoon in winter.  I look some more until my interest fades away.

I decide to walk down the stairs. There is a huge living room with a big television screen. A table made of crystal (or maybe crystal-like). There are no windows here.

I am home alone.

No one will be here until tomorrow.

You have dinner in the fridge.

No one cares about you.

You have a spare pair of keys.

Fridge. If there is a fridge there is a kitchen. I walk all the way to the main door, a giant portal. I try to look through the door hole.  It’s the same as the view from the bedroom. Black and white. I almost can hear the buzzzzz from the television. But I can picture what it seems to be a garden. I try to open the door.

You can’t open it yet.  

I try to push the door handle. Then I try to push it.

You can’t open it yet.

I give up. Maybe I could get in trouble if I go outside. On the left of the main door there is another door. I open it. A kitchen. A relatively small kitchen compared to the other parts of the house. A fridge, a gas station, a small table, a window, some storages boxes. I open the fridge. It’s empty.

No, it’s not. There is a bowl of rice and a plate with some chicken inside on the far left. There is also a can of coke at the bottom. I take everything and, for a moment, I have no idea where to eat.

Your room. Second floor.

I go upstairs. It’s pretty hard to walk with all that food on my hands. The door is ajar. I kick it a little and it’s open. There is a bunk bed, a television, some comic books  on the floor (mainly Dragon Ball) and a desk with a chair. The desk is full of videogames.

The television is turned on. Black and white. Like outside. I sit on the chair and I eat my food but I can’t. I forgot my fork.

There is a fork beneath Dragonball number 7.

I pick up from the floor Dragonball 7 and there is (with my moderate surprise) a fork. I start to eat slowly. Then a sound.

It’s impossible to describe. It seems like a symphony but I cannot recognize the instruments. I look at the tv. 7 small spheres (at least they look like spheres) move in circle. The first thing it comes to my mind is they are souls. Then the spheres disappear. Letters take their places.

PlayStation 2

I look at it mesmerized.  Did I turned on this thing?   

I stop eating. I open the can of Coke. I drink a sip. There is a controller beneath other comic-books (I recognize Saint Seya). I pick it up. Now there are other words. They are foreign and I have some trouble reading them. I only recognize Konami. Then other music. Then other words. Then other music again and two words that stay for a long time on the screen.

Silent Hill 2.

It’s raining. Can’t tell if it’s the game or outside but I don’t care. I press X.

You are having fun.                          

Everything is alright.

Enjoy it while it lasts.

I start to play. Those thoughts I had gradually stop and I live here again. In the present. I smile.

Life is not so bad.

Little death (short story fragment)

It’s 2 am and all I can think about is killing myself.  It is the most reasonable conclusion to end all of my problems. It’s dark and I can’t see a single thing. I visualize every object inside of my bedroom. A desk, a chair, a closet, a pile of dirty clothes that looks like a Christmas tree.

 Christmas.

I vividly remember my Christmas day two years ago. I was alone in a house in the middle of nowhere. I bought vanilla ice-cream, chicken breast and one kilo of rice. I watched something on tv sipping a can of beer like a fine dry gin. Seems like yesterday. I had a good time. For some reason I cannot remember last year Christmas. Memory is a funny thing.

It’s too dark. I open my eyes and I close them. No difference. It doesn’t even seem I am living. I am in another dimension, floating inside a pool of negative emotions. I am almost sure I am not in the real world. It’s similar to the distorted vision of the hotel in Murakami’s novel or in Silent Hill II. There are no noises outside the window. My body is silent. It seems I forgot how to breathe.

Is there a solution for this?

Of course there is. I could stop drinking Monster. I could start by having a positive attitude. I could open up a little bit. Or I could die, living in this ethereal world made of darkness and silence. It’s not that bad. Nothing good will ever happen but, at the same time, nothing bad will happen. The risk is too big. At least for me.

This is the time I feel alive the most.

A place in the heart of darkness made only for me. No job, no talking, no duties… but also no happiness, no catharsis and no life. Mere relief. Maybe this is the reason why I don’t sleep at night. This is where I belong. I don’t want to wake up and join nonfictional life.

I want to stay in this distorted hotel of mine. Every time  I am forced to leave it I experience a little death. I decide to get up from the bed. It’s like I have chains all over my wrists but somehow I manage to get up. I dress and I leave my room. Ii put my headphones on. ‘Little Dark Age’ is the first song on my playlist and I press ‘play’ without hesitation. It’s 3 am and it’s raining outside.

I am going out for a walk.

A day in the life (novel fragment)

There is something surreal and magical in a classroom when everyone is gone. No one talks, no one breathes, no one is here. The sun is about to set and the walls assume a colour similar to orange. I can see the dust filtered by the sunlight moving across the entire class. I am always the last to leave. Staying here and listening to some music it’s a sensorial experience. Right now, my phone (a Huawei last model) is playing “Shiki no Uta” from Nujabes to increase the sense of wonder this place brings me. Suddenly, I remember my BC-41 inside my backpack. I grasp the knife and I put it just under my desk. It’s so beautiful. Just passing the cold iron on the palm of my hand makes me feel strong.
Outside the window, I can see the high road flowing like a river cutting the park into two halves. The students are returning home. I guess it’s time for me to go and join them but I have no desire in going home now. There is nothing for me there anyways. Sometimes, I imagine how wonderful it could be if something like an apocalypse happened. Become the last man on earth. Or maybe there could be survivors too. Everything would be decided by the good, old law of violence. No police, no rules. If you are strong you make the rule.
No… what am I thinking?
This is already the case. This is how this world works. It is subtle but the law of violence is what determines this world. The survival of the fittest. Just because the concept of physical strength is not relevant anymore, social prestige is what gives you strength. Look at Takamura. He has social approval that brings him to be the favorite to everyone. He is the real definition of ‘strength’. More fame brings to more money that brings to more women.
I want to be you, Takamura…
Everything is so quiet down there. So quiet. Even the melody of the Nujabes suddenly sounds like it’s played in slow motion.
‘Sorry, have you seen my wallet?’
I cannot breathe for a moment. I turn towards the voice. A short combed over haircut is all I can see. It’s all messy now. He probably used a low-quality glue since only six hours are passed from the first lesson. I look with my hand for my earphones. Takamura must have removed it from my ear.
‘No, I did not see it!’ I almost scream.
Suddenly, I remember I have a knife on my lap. Instinctively, I push my knuckles in the BC-41. Takamura is not the kind of guy who pretends not to see something. He probably didn’t see it. But still…
‘Ah… that’s a pain! There was no money on it but I need the documents for today. You know… I have the official weigh-in.’
Weigh-in? For soccer?
‘You don’t say! Have you tried looking under your desk?’ I ask trying to sound as sincere as I can. I don’t want him to be around me now. What kind of retard asks someone if they have seen their wallets? I could be a thief for all he knows.
‘Yeah… you are right.’ He walks all the way to the first desk, the one in front of the professor’s desk. My grip tightens. His expression is so worried and confused. It puts me in such a good mood. I put my phone and my earphones in my pocket and I walk towards him. The knife is small enough to fit my pocket and I hide it inside. I decide to follow him.
‘Did you find it?’ I ask.
‘No…’
‘Don’t be too hard on yourself, my friend. Everybody loses something every now and then. When that happens to me, it really helps to remember where I put the thing I lost before losing it. It may sound like an obvious thing but it’s not. Where do you usually put your wallet?’
His head is still under his desk. I remove my knife from my pocket and I simply shake the point in the air. This knife is just too beautiful not to use it. The dust filtered by the sunlight gently moves from my cutting blows.
Should I hit with the point of my blade? Or maybe I could start the game with a single punch. It’s been ages since I hit something with brass knuckles. I never hit a person. I wonder what expression he could do if I just punch his neck. I wouldn’t be able to see it. However, I am sure he will scream something in his pathetic low-pitched voice. The loss of blood would actually help him with his weigh-in. You always win, don’t you? Fucking Takamura.
I am so close to him I can perceive his nose breathing. That’s a smart choice. I guess this is how the mind of a winner works. Nose breathing doesn’t allow you only to have a better cardiovascular system: it’s a good habit that helps you to have prominent facial features like a striking chin and a perfectly shaped jawline. As to prove my point, I look directly at his neck. You could cut glass with his jawline.
Fuck it. I am just going to punch him to death.
It’s almost there.
There should be no problems. If he starts to scream too loudly or if someone gets close I could switch the brass knuckles to the blade version and end him with one shot. One and clean.
The knife is approaching Takamura’s neck.
I want to punch him just to break the ice but it’s like if the knife had a brain on his own; and it already decided to kill him. I can picture him smiling after winning his match, his trophy or whatever. I can picture him smiling and point the finger to the sky as if his success is not really his merit but it a will of some God. People like him make me sick. He should not be allowed to exist.
‘Hey man! You were right! It was under my desk!’
He turns around towards me so suddenly, his right eye faces the point of my blade. I would say there is a gap between one or two inches. His wallet falls on the ground. Everything becomes so detailed. I am focused on his eyes. They are black and small. It kinda reminds me of Mickey Mouse. He doesn’t seem to have any cornea; just an infinite extension of a black pupil. I pass the tongue on my lips. I have never been more excited in my life. All of a sudden, the insecurity I had while I was talking to Lilith is gone. I wish she could see me now. She will definitely be impressed by me.
Still thinking about other’s opinions?
‘Shut the fuck up,’ I say but I cannot recognize my own voice.
My gaze shifts to his lips. They are shivering.
‘What did you say, Takamura?’
He doesn’t talk. He doesn’t move. I guess Takamura is one of those. Lots of people think there are only two ways to deal with a potentially dangerous: the good, old ‘fight or flight’. However, many people just freeze and they do nothing at all. It’s a curious strategy. I always thought that in the moment you can’t avoid a fight you could always fight back. Even if you lose, at least you tried since they are gonna kill you in both cases.
‘Takamura…’ I claim his attention once again. ‘What the fuck did you say?’
‘Nothing,’ he finally manages to say.
I lower the point of the knife. He still isn’t moving. I slowly get closer to him, so our noses can touch. I have to crouch a little since he is shorter than me. His breathing is warm and irregular.
‘What are you doing?’ He asks me in his trembling voice. If this was a real fight, he would have already lost.
I lick his cheek. He has no taste. How disappointing.
‘What do you want to do, Takamura? Be honest with me. Am I pissing you off? Are you willing to die, right here right now, just in order to prove your superiority to me? Want to try punching me in the face? Are you having that kind of fantasies in your head? Wanna hurt me?’
‘I j-just want to go…’
I sadly nod, ‘Yare, yare. I thought you were like me. I guess you are like the rest of them. I should have expected nothing from you.’
He is still not moving but he is not shivering anymore. Did he stop taking me seriously?
I grab him by his left hip, I cover his mouth with my hand and I cut his cheek with the knife. It’s not a deep cut. Only deep enough for some blood to come out. Of course, the guy is screaming. Good thing I was provident enough to silence him. I lick the blood from his cheek.
Yes, now there is taste. Now there is passion. Just like Axel. Nothing good comes from peace. Art never comes from happiness. Fighting is the only real way to live this life. I quickly remove my hand from his mouth and I kiss him. There is a whole world of difference. The metallic taste of his blood is intoxicating. In a good sense.
‘Stop screaming or I’ll cut you for good. Don’t think you can outrun me. You sure are a prodigy when it comes to endurance running, but I can assure you I can beat you when it comes to sprinting. Do you understand? Move your head if you understand.’
He moves his head.
‘Good.’
I slowly let him go.
‘Of course, it comes only natural that you will never talk about this to anyone. Not a single person. Or I’ll hurt you. There is no need for you to worry about me. I got what I wanted. You are dead to me and I’ll never talk to you again. Is it all good, Senpai?’
He moves his head.
‘You can talk now.’
‘It’s all good,’ he says muttering. He is going to leave the classroom. I’m almost sad. It was a while since I didn’t feel lonely. I guess I should thank him.
‘Don’t forget your wallet, Senpai!’ I grab his wallet and I throw it at him. He takes it. His hand is still shaking. ‘I hope your weight-in goes all smooth! See you when I see you!’
He finally walks away from the classroom. I return to my desk and I pick up my phone. I notice with a smile on my face that the Nujabes are still playing “Shiki no Uta” inside of my Huawei. I put my earphones on. Amazing how even music sounds better with Takamura’s blood still inside my mouth. I sit once again. The sun is not set yet and the classroom has never appeared so quiet before.
So magical.

Notte insonne I

Osservo la lunghezza della crepa sul soffitto che taglia in due parti uguali la stanza in diagonale. Il contorno della crepa è gialla. Sospetto sia a causa dell’umidità. Dall’interno della crepa fuoriesce un ragno piccolo dalle zampe esili ma immensamente lunghe. Cerco di soffiare verso il ragno ma è troppo lontano.

Non si muove neanche. Si limita a restare fermo. Forse anche lui mi osserva. O forse si sta ambientando nella nuova dimensione della camera. Deve essere un’esperienza terrificante trovarsi sopra il soffitto di una camera così grande. Abituato alla superfice stretta, buia e accogliente dell’interno dell’intonaco, il ragno deve sentirsi spaesato e impaurito. Forse non immaginava che il mondo la fuori fosse così vasto. Il respiro appannato e ritmico del mio compagno di stanza  mi ricorda che è notte e dovrei dormire. Lo so perché il mio compagno di stanza non chiude mai la bocca quando è sveglio. Allungo la mano verso il comodino e afferro il telefono.

Sono le due e un quarto del mattino.

 Cosa dovrei fare? Andare in cucina? Leggere? Masturbarmi? L’indecisione mi deprime e non ho la forza neanche per ascoltare il respiro del mio compagno di camera. Il solo percepire che è vivo è una grande fonte di disturbo per me. Mi limito a restare fermo, lo sguardo fisso sul ragno. Che strana creatura. Ha un corpo piccolo, insignificante simile a un punto disegnato con la matita su un foglio A4. Le gambe sono ridicolamente lunghe. Dalla mia prospettiva sembrano chilometriche. Lontane anni luce dal corpo.

Come fa un essere del genere a muoversi? Forse vorrebbe tornare all’interno della crepa ma non ha idea di come riuscirci. È in uno stallo. Non può andare avanti e non può tornare indietro. Guardo l’orologio.

Le due e mezza.

È ora di scegliere, amico. Cosa vuoi fare? Non puoi rimanere lì fermo, non pensi? Sei un ragno o no? Comportati come tale. Scegli. Ti avventuri nell’ignoto o torni da dove sei venuto? In qualche modo puoi rientrare nella crepa. Da come sei uscito così puoi rientrare. Oppure preferisci esplorare questo mondo Lovecraftiano popolato da giganti che non hanno la forza di alzarsi?

Le tre.

Il coinquilino/compagno di stanza comincia a russare. Ciò mi ricorda che domani devo andare a lavoro. Non ho idea come le due cose siano connesse ma così è. Il ragno cammina (forse ‘fluttua’ sarebbe un verbo migliore?)  lungo il soffitto, allontanandosi dalla crepa.

Buon per te, amico. Vivi la tua vita.

Dopo un po’, forse dopo cinque minuti o cinque mesi, si ferma completamente. Torna indietro verso la crepa.

Le quattro. I primi raggi del sole cominciano a farsi strada attraverso le verande.

Amico mio, torna dentro la crepa. Non vuoi affrontare questo giorno. Torna nell’oscurità. Lo farei se ne avessi la possibilità. Portami con te se puoi.

Le quattro e mezza. Comincio a sbadigliare. Ho sonno. Finalmente. Guardo il ragno per l’ultima volta e mi rigiro su me stesso. Chiudo gli occhi. È solo un incubo.

Le cinque. Il suono di una cascata. La sveglia suona.

‘Buongiorno!’ quasi grida il mio coinquilino.

Non riesco a capire se sono sveglio o meno. Tutto sembra la copia di una copia di una copia. Oggi è ieri. Ieri è oggi. Oggi è domani.

Guardo sul soffitto. Il ragno è sparito probabilmente all’interno della crepa.

Qualcosa che vorrei dire anche per me.