Rocky Joe: brucia mio cosmo!

“Non voglio fare come tanti che se ne restano a bruciare senza fiamma, di una combustione incompleta. Anche se solo per un secondo… voglio bruciare con una fiamma rossa e accecante! E poi.. quello che resta è solo cenere bianchissima… nessun residuo… solo cenere bianca.”

Joe Yabuki è un 15enne che ha vissuto passando da un orfanotrofio all’altro e vagabondando solo come un cane. Attraversando una Tokyo ancora scossa dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, Joe si imbatte in Dampei Tange, un ex pugile e allenatore di boxe con un occhio solo con problemi di alcolismo che non riesce a smettere di pensare alle vecchie glorie dello sport.

Dampei vede in Joe un potenziale campione del pugilato ma quest’ultimo non è interessato a combinare alcunché nella vita e vuole solo sopravvivere. I due si scannano subito di botte per un futile motivo e Joe ha la meglio. Ciò non fa che accrescere l’interesse di Dampei Tange per il giovane Yabuki… questo e il fatto che il ragazzino ha preso a pugni da solo un’intera comitiva di yakuza.

Joe, dopo i continui tentavi del vecchio, accetta la proposta di Dampei di diventare suo allievo e imparare le basi della boxe. Ma questo non è che un trucco: in realtà Joe vuole solo sfruttarlo e scroccare vitto e alloggio, approfittandosi della buona fede del vecchio, il quale smette di bere e si mette a fare due lavori per crescere il suo nuovo pupillo. Joe, nel frattempo, finge di allenarsi e fonda una banda con i bambini poveri del quartiere che usa per compiere vari furti e truffe.

 Ed è proprio una di queste truffe che lo porterà in riformatorio, dove farà la conoscenza di Rikiishi, giovane prodigio della boxe, che accenderà in Joe il fuoco dell’agonismo. Sulla base di queste premesse che inizia il viaggio immortale che accompagna Joe da trovatello senza scrupoli e morali a leggenda immortale della boxe che è pronto a morire pur di “bruciare con una fiamma rossa e accecante”.

Il manga ha avuto inizio dal 1968 e ha visto la conclusione nel 1973. Scritto da Asao Takamori (pseudonimo di Ikki Kajiwara) e disegnato da Tetsuya Chiba. La storia ha voluto illustrare una vicenda cruda, cupa e ruvida in cui viene mostrato che anche le persone con un passato turbolento come Joe possono ritrovare un riscatto grazie all’impegno, la costanza e la speranza di un domani migliore (non a caso le lezioni di Dampei per corrispondenza mentre Joe è in riformatorio si chiamano “per il domani”).

Tutti hanno diritto ad un futuro a dispetto delle condizioni sociali da cui siamo nati. La consapevolezza che magari, anche se non si vince, si può comunque avere la soddisfazione di aver dato tutti noi stessi per un obiettivo più grande. Joe rappresenta la massa, i perdenti, che non hanno voce in capitolo e che vengono pestati a sangue forse anche più dello stesso Joe nella storia: l’uomo comune che trova la forza per reagire.

Il manga è diventato così influente da diventare un simbolo per le rivolte studentesche giapponesi del 1968. Ma c’è di più: il potere della finzione è diventato così potente che quando nel marzo 1970 uscì il numero del manga in cui muore un personaggio particolarmente apprezzato, i lettori organizzarono un vero funerale per rendergli omaggio. Il messaggio del manga è profondo quanto spietato: è vero, non arrendersi mai può portare a enormi soddisfazioni, ma anche a orribili finali e, forse, anche alla morte. Un’opera che descrive spietatamente lo stato del Giappone del dopo guerra che cerca di rialzarsi dopo gli eventi traumatici subiti (e inferti).

Il ring di Joe diventa un luogo sacro in cui tutti, almeno per 20 round, sono uguali e il passato non ha importanza. D’altronde quando ci possono essere differenze con il nostro avversario se siamo su un quadrato ricoperti di sangue e sudore insieme a lui? Tutto si annulla: desiderio di ricchezza, di fama, di gloria e di amore. Resta solo il presente. Pochi minuti in cui si dà il tutto per il tutto e si può solo bruciare come una fiamma.

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