Denti da squalo: stand by me ricordi di un’estate incontra Non essere cattivo

Sono affascinato, come molti, dalle storie che pongono la criminalità al centro. Quando andavo alle medie, una delle serie tv che creava più discussione tra i vari gruppi che componevano la gerarchia sociale delle classi era senza dubbio Romanzo Criminale, trasposizione televisiva della storia della Banda della Magliana, un gruppo di criminali realmente esistito con il sogno di conquistare Roma.

Alcuni di noi, se non quasi tutti, guardavano con ammirazione le loro gesta: d’altronde quel tipo di vita risulta particolarmente affascinante per un bambino. Il fenomeno di eroicizzare figure criminali in Italia ha raggiunto forse il suo apice con Gomorra: al liceo era d’obbligo guardarlo. Ma la lista continua con Breaking Bad, The Wolf of Wall Street, I Soprano, Quei bravi ragazzi. C’è qualcosa in queste storie che parla ad ognuno di noi a un livello personale e credo che tutti, almeno una volta, nelle più oscure fantasie, ci siamo immaginati più simili a questi personaggi tanto brutali quanto carismatici che compongono la vasta narrativa crime.

Denti da squalo: tra criminalità e formazione

Denti da squalo parla di come questa vita da criminale composta di paura, rispetto e gloria venga percepita dal punto di vista di un bambino che si riflette in noi spettatori. Tutto comincia quando Walter, 13 anni, perde suo padre Antonio in un incidente al depuratore. Rimasto solo insieme alla madre, questa sarà la sua prima estate senza la figura paterna. In una delle sue traversate in bicicletta lungo il litorale romano, Walter si introduce furtivamente in una villa all’apparenza abbandonata con un’enorme piscina. Come ogni bambino di tredici anni che si rispetti, Walter non ci pensa due volte a tuffarsi dentro… per poi trovarsi uno squalo all’interno. Walter farà la conoscenza di Carlo, custode temporaneo della villa appartenente al temuto boss criminale Corsaro.

Ed è così che nasce un’improbabile amicizia tra i due. Carlo introdurrà Walter alla piccola vita criminale locale nella gang con a capo Tecno. Tra le prime rapine, estorsioni e momenti di dialogo e riflessioni a bordo piscina in compagnia dello squalo, Walter sembra ricalcare le ombre del padre. Ma questa vita non è facile. Come rivela lo stesso Corsaro: “Non è per tutti essere uno squalo”. Walter si rende conto presto di come l’adrenalina della criminalità possa sfociare in poco tempo ad una privazione dei propri obblighi morali e della libertà stessa.

Al contrario di altri film di questo genere, Denti da squalo è un racconto di formazione che a tratti funge da meravigliosa fiaba urbana in cui la criminalità è solo un pretesto per esprimere al meglio l’inquietudine e la difficoltà del passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

I riferimenti cinematografici sono molteplici: da Stand By Me a Dog Man fino ad arrivare a Non essere cattivo. Nonostante nel finale si perda un po’, forse per colpa di un minutaggio troppo esiguo, l’opera prima di Davide Gentile si rivela un film originale con una grande intuizione cinematografica. La caratterizzazione dei personaggi è fortemente ispirata e le location del litorale romano sono una cornice perfetta per inquadrare una storia di speranza mista a malinconia.

I Guardiani della Galassia III: l’anima di un procione si rivela nell’esperienza più orribile della sua vita

L’altro giorno mi sono visto I Guardiani della Galassia III. Non è esattamente il tipo di film che vedo solitamente, ma i primi due non erano affatto male e James Gunn è un regista che sa il fatto suo: adoro il senso di caratterizzazione dei personaggi che ha donato alla sua trilogia e il suo tocco inconfondibilmente emotivo e malinconico mi ha sempre fatto commuovere in più di una occasione. Protagonista indiscusso della pellicola è Rocket, o per meglio dire il suo passato, che è sempre stato accennato nei film precedenti ma mai esplorato nel modo che meritava.

Prima di arrivare a questo punto, però, vorrei spendere un paio di parole sul perché ho adorato i Guardiani sin dal primo film. Il tono scanzonato, provocatorio, divertente e sopra le righe mi ha fatto subito innamorare dell’opera. La scrittura è divina se paragonata al filone dei film della Marvel. La regia meravigliosa. Ma è nella storia che accade la vera magia: soprattutto nel lato umano della pellicola.

Nel concreto: un essere umano, un’aliena verde, un procione parlante, un albero senziente e Dave Bautista (categoria a parte) si ritrovano insieme per puro caso e, nonostante le differenze, trovano in ognuno di loro un qualcosa che è sempre mancato nella propria esistenza: una famiglia. Nonostante il tono del film che mira ad un pubblico molto giovane, ognuno dei Guardiani è prigioniero del proprio passato e, a causa di orribili esperienze subite, non riescono ad andare avanti con le loro vite. Sono una banda di reietti, ladri, assassini, guerrieri che hanno sempre fatto del loro meglio per sopravvivere ma che hanno sempre peccato del fatto di non avere uno scopo nella vita: uno scopo che ritrovano nella formazione dei Guardiani della Galassia.

rocket guardiani della galassia

Siamo venuti a conoscenza del passato di Quill, Drax, Gamora ma non di Rocket: non del personaggio che ha sofferto di più. Il tema dell’andare avanti grazie alle connessioni che si creano tramite l’amicizia è uno dei più importanti nei Guardiani. Ma a volte è impossibile scappare da ciò che abbiamo passato e bisogna farci i conti per tutta la vita come afferma l’opening di Full Metal Alchimist. Detto questo non bisogna affrontare quei demoni per forza da soli. Dopo un tentativo di rapimento da un essere misterioso, Rocket è in fin di vita e toccherà al suo team, ancora profondamente scosso dagli eventi accaduti in precedenza, a soccorrerlo.

Ed è qui che il film si divide in due parti distinte: l’escursione nel passato di Rocket, il motivo per cui è un procione che parla, il fatto che possieda un quoziente intellettivo di 250 e la ragione dietro le cicatrici sulla schiena; e, infine, il viaggio dei Guardiani che faranno di tutto per non perdere un membro della loro famiglia. Uno splendido racconto sul superare e, inevitabilmente, convivere con i traumi della vita. Se proprio dovessi il trovare un difetto sarebbero i vari riferimenti delle opere al di fuori del franchising dei Guardiani. Nonostante io abbia visto gli altri due film, alcune cose erano completamente nuove per me: perché c’è un’altra versione di Gamora che non ricorda nulla del suo amore per Quill? Quando hanno detto che Mantis è la sorella di Quill? Sospetto che la risposta a queste domande sia in Avengers Infinity War ma, in fin dei conti, sono stati bravi a riempire queste lacune con qualche spiegone.

Ovviamente nulla da dire sulla colonna sonora e il mitico Awesome Mix III, vero e proprio coprotagonista della vicenda, che rispetto agli altri due capitoli precedenti assume toni più malinconici e cupi. Un film assolutamente consigliato e la degna fine di una trilogia che rappresentava l’anima della Marvel.

Megalo Box e la reincarnazione di Mugen

Niente motiva di più al mondo che un anime incentrato sulle arti marziali: Baki, Hajime no Ippo, Holyland, Shamo, Kengan Ashura… ognuna di queste storie vede la crescita di uno (o più) personaggi tramite un duro allenamento fisico e mentale che lo porta sul ring a misurarsi con i suoi avversari e (cosa più importante) con se stesso. Nonostante Hajime No Ippo sia stato il primo anime a convincermi a indossare i guantoni (grazie Takamura-san), Megalo Box è stata la scintilla che mi ha portato ad avvicinarmi a questo mondo per la prima volta.

Il suo aspetto e la sua filosofia di vita lo rende chiaramente un antenato di Mugen di Samurai Champloo

Megalo Box vede come protagonista Mugen Junk Dog, un megalo-boxer impegnato nella scena dei combattimenti truccati. Nonostante Junk Dog sia un pugile dalle grandi abilità, lui deve vincere o perdere di proposito affinché i criminali ai piani alti possano gestire le scommesse che riguardano i suoi match. Cos’è un megalo-boxer? Un semplice pugile che indossa degli speciali telai robotici nelle braccia affinché i suoi colpi siano più letali. Da questa premessa si intuisce che la storia è ambientata in un mondo futuristico, ma non troppo diverso da quello in cui viviamo noi. Il buon Junk Dog, tuttavia, ha ambizioni più alte e non vuole essere un burattino per sempre. Un giorno J.D (Junk Dog che non deve essere confuso con John Dorian di Scrubs) ha un match con Yur: il vero campione mondiale di Megalo Box.

Mugen, Fuu e Jin studiano una strategia su come battere il prossimo avversario

J.D decide di battersi al meglio delle sue forze fregandosene delle istruzioni dei piani alti… ma finisce per perdere. Tuttavia, Junk Dog si promette di diventare un vero campione di megalo-box lasciandosi alle spalle il suo passato da combattente di bassa lega. Qui comincia la scalata al vertice del mondo del pugilato che porterà Junk Dog, ora conosciuto con il nome di Joe, alla storia. Caratterizzato da una grande colonna sonora, uno stile grafico che richiama a volte gli anni 90 e una storia semplice che si concentra sullo sport, Megalo Box è uno dei migliori anime usciti nel 2018. Oserei persino consigliarlo a chiunque abbia dei pregiudizi sugli anime che hanno uno sport come tema centrale. Il pregio principale di questa opera, a mio modesto avviso, è il fatto che abbia tredici episodi e ogni match si conclude nell’arco di un episodio: la narrazione non viene inutilmente allungata o accorciata con episodi filler del tutto evitabili e questo è un grande punto a favore. Il protagonista J.D. è ben caratterizzato e carismatico: non spiccherà tra i grandi personaggi dell’animazione giapponese ma il suo carattere irriverente e caparbio assicura un posto nel cuore dello spettatore senza troppi sforzi.