Grattacielo

Posso vedere il grattacielo anche da qui. Osservo le luci rosse sopra le antenne accendersi, spegnersi e accendersi di nuovo.

Forse una delle due luci ha qualche problema dato che si accende con un impercettibile ritardo rispetto all’altra.

Forse hanno entrambe un problema.

Mi siedo sulla panchina del parco con lo sguardo fisso sul grattacielo, unica fonte di luce insieme alla luna. Apro una lattina di Monster Energy. Il ‘click’ della lattina rimbomba nel parco zittendo i grilli per un momento. Mi guardo intorno. Ci sono solo io.

Forse c’è anche qualcun altro.

Impossibile saperlo con certezza dato il buio che mi circonda. Prendo la lattina di Monster con entrambe le mani e la porto alle labbra. Mi sento già meglio. I grilli ricominciano il loro canto.

Ho sentito dire che nel grattacielo distribuiscono lattine gratis alle persone. Non c’è assolutamente nulla per me in questo parco. Solo fantasmi. Tutto quello che voglio è sopra a me.

‘Come posso vivere lì?’ domando a me stesso ai grilli.

‘Come posso abbandonare questo posto?’

Nessuna risposta. Non mi sorprende. Un fruscio di foglie cattura la mia attenzione. Mi volto ma è un’azione inutile. Non vedo nulla. Mi chiedo per un momento perché non ci siano lampioni in questo parco. La risposta è così ovvia che mi do dello stupido. Sento un movimento fluido accanto a me.

‘Come va?’

Un uomo deve essersi seduto accanto a me.

‘Bene.’

Forse dovrei chiedergli lo stesso? Decido di no.

‘Cosa fai?’

‘Guardo.’

‘Che cosa?’

‘Il grattacielo.’

‘Bello, non è vero?’

‘Già.’

‘Peccato che non ci arriveremo mai.’

‘Parla per te.’

Mi concedo un altro sorso di Monster. Lo sguardo si sposta sulla Luna. Non illumina neanche lontanamente quanto il grattacielo.

‘Cosa vuoi dire?’ mi chiede il tizio.

‘Voglio dire che ci arriverò.’

‘Incontro sempre persone come te. Lo giuro. Capitano tutti a me.’

Non rispondo. Perché si è seduto qui? Forse perché è l’unica panchina del parco. Ma come ha fatto a trovarla con questo buio? E io come ho fatto a trovarla?

‘E dimmi… come vorresti arrivarci?’

‘Non lo so.’

‘Cosa ti fa pensare che puoi arrivarci?’

‘Non lo so.’

‘Qual è il tuo piano?’

‘Non lo so.’

‘Sei anche peggio degli altri…’

‘Forse.’

Sento il suo giacchetto strusciare sulla superficie della panchina. Probabilmente si è alzato.

‘Grazie per avermi rovinato la serata,’ mi dice. ‘Addio.’

‘Senti…’ gli dico. ‘Tu non sei stanco di tutto questo buio?’

‘No.’

‘E perché?’ gli chiedo ancora.

‘Perché il buio non è una fantasia. Se impari a fartelo piacere non è così male.’

Sento i suoi passi scricchiolare sul manto erboso ricoperto di foglie. Constato con piacere che la lattina di Monster non è neanche a metà. Mi concentro sul grattacielo ancora una volta. L’unica cosa reale in questo mondo. Allungo la mano verso il grattacielo e la chiudo a pugno.

‘Eccomi,’ sussurro. ‘Ti ho preso.’

Non è una verità ma neanche una bugia. Riporto le mani sulla lattina fredda.

Forse sono bravo solo a parole.

Grattacielo (racconto breve)

Posso vedere il grattacielo anche da qui. Osservo le luci rosse sopra le antenne accendersi, spegnersi e accendersi di nuovo.

Forse una delle due luci ha qualche problema dato che si accende con un impercettibile ritardo rispetto all’altra.

Forse hanno entrambe un problema.

Mi siedo sulla panchina del parco con lo sguardo fisso sul grattacielo, unica fonte di luce insieme alla luna. Apro una lattina di Monster Energy. Il ‘click’ della lattina rimbomba nel parco zittendo i grilli per un momento. Mi guardo intorno. Ci sono solo io.

Forse c’è anche qualcun altro.

Impossibile saperlo con certezza dato il buio che mi circonda. Prendo la lattina di Monster con entrambe le mani e la porto alle labbra. Mi sento già meglio. I grilli ricominciano il loro canto.

Ho sentito dire che nel grattacielo distribuiscono lattine gratis alle persone. Non c’è assolutamente nulla per me in questo parco. Solo fantasmi. Tutto quello che voglio è sopra a me.

‘Come posso vivere lì?’ domando a me stesso ai grilli.

‘Come posso abbandonare questo posto?’

Nessuna risposta. Non mi sorprende. Un fruscio di foglie cattura la mia attenzione. Mi volto ma è un’azione inutile. Non vedo nulla. Mi chiedo per un momento perché non ci siano lampioni in questo parco. La risposta è così ovvia che mi do dello stupido. Sento un movimento fluido accanto a me.

‘Come va?’

Un uomo deve essersi seduto accanto a me.

‘Bene.’

Forse dovrei chiedergli lo stesso? Decido di no.

‘Cosa fai?’

‘Guardo.’

‘Che cosa?’

‘Il grattacielo.’

‘Bello, non è vero?’

‘Già.’

‘Peccato che non ci arriveremo mai.’

‘Parla per te.’

Mi concedo un altro sorso di Monster. Lo sguardo si sposta sulla Luna. Non illumina neanche lontanamente quanto il grattacielo.

‘Cosa vuoi dire?’ mi chiede il tizio.

‘Voglio dire che ci arriverò.’

‘Incontro sempre persone come te. Lo giuro. Capitano tutti a me.’

Non rispondo. Perché si è seduto qui? Forse perché è l’unica panchina del parco. Ma come ha fatto a trovarla con questo buio? E io come ho fatto a trovarla?

‘E dimmi… come vorresti arrivarci?’

‘Non lo so.’

‘Cosa ti fa pensare che puoi arrivarci?’

‘Non lo so.’

‘Qual è il tuo piano?’

‘Non lo so.’

‘Sei anche peggio degli altri…’

‘Forse.’

Sento il suo giacchetto strusciare sulla superficie della panchina. Probabilmente si è alzato.

‘Grazie per avermi rovinato la serata,’ mi dice. ‘Addio.’

‘Senti…’ gli dico. ‘Tu non sei stanco di tutto questo buio?’

‘No.’

‘E perché?’ gli chiedo ancora.

‘Perché il buio non è una fantasia. Se impari a fartelo piacere non è così male.’

Sento i suoi passi scricchiolare sul manto erboso ricoperto di foglie. Constato con piacere che la lattina di Monster non è neanche a metà. Mi concentro sul grattacielo ancora una volta. L’unica cosa reale in questo mondo. Allungo la mano verso il grattacielo e la chiudo a pugno.

‘Eccomi,’ sussurro. ‘Ti ho preso.’

Non è una verità ma neanche una bugia. Riporto le mani sulla lattina fredda.

Forse sono bravo solo a parole.

Sognando con Silent Hill II

Ho già parlato della mia speciale relazione con la musica mentre sono solo e studio qui.

All’università ascoltavo lo-fi in una biblioteca che sembrava uscita da un romanzo di Charles Dickens dalle 22:00 alle 05:00 del mattino. Non avevo bisogno di stare in quella biblioteca per così tanto tempo e di certo non studiavo per sette ore di seguito. Stavo lì perché adoravo stare da solo a guardare la piccola città di Bangor assopita e illuminata da lampioni che riflettevano le ombre dei rami degli alberi spogli sulle strade. 

Mi riferisco a questa biblioteca. Quando ci sei solo, di notte, seduto al lato della finestra,fa tutt’altro effetto.

Studiavo per due ore e mezza o tre e poi ascoltavo musica dal mio laptop guardandomi intorno e passeggiando nei lunghi corridoi della biblioteca. A volte aggiornavo il mio diario. A volte leggevo Murakami o Lovecraft. A volte scrivevo. Tutto con il sottofondo musicale coperta in parte dalla pioggia sempiterna (ma chi mi credo? Shakespeare?non so neanche che vuol dire) del Galles.

Eccetto il lo-fi ascoltavo le colonne sonore dei miei film e videogiochi preferiti: ‘L’ultimo samurai’, ‘ Requiem for a dream’, ‘Shadow of the Colossus’ (che ricordi…), Eternal Darkness: Sanity Requiem (che trip…) e, infine, Silent Hill II. All’epoca non ci avevo ancora giocato (l’ho recuperato un annetto fa) ma la colonna sonora risuonava direttamente nella mia anima. Osservavo la pioggia scendere lentamente dalla finestra a mosaico accanto a me con la compagnia di una Monster Energy ghiacciata e pagata il doppio in un distributore automatico. Erano bei tempi. Sognavo in grande ed ero fortemente ottimista. Adesso lo sono ancora di più e spero di continuare su questa strada.

È passato un anno e mezzo da allora ma alcune abitudini non sono cambiate. Ora sono a Milano, in un ostello e sono nella sala comune a scrivere queste righe. Non c’è nessuno. Solo la musica di Silent Hill II, una bottiglia mezza piena di Tè freddo al limone (chiunque preferisca quello alla pesca ha dei problemi), un laptop con il tasto della freccia ‘su’ rotto, un quaderno e una penna… sognando un futuro radioso e un passato meno deprimente: purtroppo non posso fare nulla per quest’ultimo ma posso fare molto per il futuro.

Menzione speciale per la mia compilation preferita di lo-fi.

The Wolf of Wall Street, Jordan Belfort e l’arte della persuasione

Stavo ascoltando questo meraviglioso remix che fa parte della mia routine di corsa ormai da un mese, quando il signor Jordan Belfort in persona ha interrotto il video con un annuncio tanto interessante quanto importante. Per chi non lo sapesse, Jordan Belfort è l’uomo che ha ispirato il film ‘The Wolf of Wall Street’: la sua leggendaria società di brokeraggio, Stratton Oakmont, ha creato parte della storia di Wall Street e si è imposta un ruolo nell’immaginario collettivo di chiunque si intenda di cinema.

In ogni caso, Jordan interrompe l’annuncio (nello stesso modo in cui vengono interrotti i video di youtube da persone che ti promettono metodi di guadagno discutibili, avete presente?): il buon Jordan pubblicizza il suo metodo personale per vendere ‘ghiaccio agli eschimesi’ come lui stesso dice. Ho guardato l’intero annuncio e ho emesso il mio indirizzo email per avere l’opportunità di vedere trentasei minuti buoni di contenuto esclusivo gratuito. Ero davvero incuriosito. Insieme a Donald Trump, Jordan Belfort è una delle figure che suscita più interesse in me. Chiunque abbia visto The Wolf of Wall Street e non ha desiderato essere come lui probabilmente mente o, se non mente, perlomeno non dice la verità.

Ecco cosa mi ha detto il buon Jordan in meno di un’ora:

Il vero Jordan Belfort a destra. Jordan Belfort interpretato da Leonardo DiCaprio a sinistra.

Jordan Belfort spiega che una vendita è simile a una linea retta. Si parte dal punto A (starting point) quando si cerca di vendere qualcosa o completare una trattativa. Si finisce al punto B (the promised land) quando si ottiene una risposta positiva. Piuttosto semplice, vero? Tuttavia ci sono mille ostacoli in questa piccola linea retta: curve che ti allontanano sempre di più dal punto B e che fanno perdere le tue probabilità di concludere un affare. Questo accade quando non si riesce a rispondere alle domande de clienti, quando non si è confidenti, quando il tono della voce ti tradisce. In questo caso si perde completamente il controllo e la fiducia del tuo potenziale cliente crolla. Sei stato dominato. Puoi avere anche il prodotto migliore del mondo ma se non sai venderlo… beh, è come non avere nulla da vendere (forse ancora peggio). Jordan spiega che la transizione con il cliente inizia appena si apre bocca. Già dalla presentazione, il venditore deve essere orientato verso il punto B. Non sei qui per farti un amico ma per vendere. Ogni tua azione dovrebbe essere motivata dall’obiettivo finale.

Jordan individua tre componenti principali accomunati da una precisa caratteristica in comune per concludere un affare: la sicurezza di sé e di ciò che si vende.

  1. Certezza assoluta nelle qualità del prodotto che si cerca di vendere.

2. Devi essere sicuro di te stesso, delle tue parole, della tua conoscenza verso il prodotto e verso le esigenze del cliente.

3. Devi essere certo della compagnia per cui lavori e di ciò che vende.

Se riesci a far trasparire una sicurezza cristallina verso un potenziale cliente in ognuno di questi punti… sei a posto.

Con questo si conclude la mini lezione gratuita di Jordan Belfort. Il suo pacchetto completo di formazione costa intorno ai trecento dollari. Ad essere onesto, sarei molto curioso a investire una cifra del genere per addentrarmi nella mente di una personalità di successo come Jordan. Le recensioni online sono (quasi) tutte generalmente positive e credo che Jordan sia cambiato da quando ha scontato la sua pena in prigione dopo i fatti narrati nel film. Per chi non lo avesse visto, consiglio caldamente la visione del film ‘The Wolf of Wall Street‘: è una storia fortemente motivazionale che ha il potere di ispirarvi a vivere una vita migliore. A volte mi immagino a percorrere la strada di Jordan e a vivere una vita completa come lui ha avuto l’onore (e la capacità) di ottenere. Una vita come la sua è il mio punto B, la mia promised land.

Non ho idea di come ci riuscirò ma lo farò.

American Psycho, manuale di crescita personale (film)

Non centra nulla. È ciò che ascolto mentre scrivo.

Oggi ho rivisto il film di American Psycho per la quarta volta nel corso della mia vita. Ogni volta è come se fosse la prima volta. Un film magistrale tratto da un romanzo che definisce la letteratura moderna insieme a Fight Club e Trainspotting. Patrick Bateman ha tutto nella vita: un lavoro ben retribuito a Wall Street, un attico nella zona più lussuosa di New York (ma che non si affaccia su Central Park… fottuto Van Allen e le sue prenotazioni al Dorsia), un fisico scolpito da allenamenti quotidiani nelle palestre più esclusive di New York.

Eppure Patrick è preda di una grande insoddisfazione personale. Odia il suo lavoro, odia le apparenze, odia i continui confronti con i suoi colleghi eppure sono questi ultimi su cui si basa la sua vita.

Prenota il locale migliore per la sera. Prendi il vestito migliore. Fatti di steroidi. Fatti una lampada due volte a settimana. Sii un membro produttivo, rispettabile della società. Per Patrick, però, non è abbastanza. Vuole essere il migliore sotto qualsiasi aspetto.

‘Se odi tanto il tuo lavoro perché non te ne vai?’ mi chiede Evelyn.

‘Perché voglio integrarmi…’

Ed è proprio il bisogno sfrenato di essere superiore e di essere accettato che porta Patrick alla follia. Tra un allenamento e l’altro, infatti, Patrick Bateman uccide e tortura diverse prostitute, senzatetto e amiche della sua Università. La sua facciata da ‘ragazzo della porta accanto’ si fa sempre più sottile rivelando una persona essenzialmente fragile e preda dell’opinione degli altri.

Il suo continuo mentire sulla sua presunta amicizia con Donald Trump ne è un chiaro esempio così come la sua frustrazione per non riuscire ad effettuare una prenotazione al locale più esclusivo di Manhattan, il Dorsia.

American Psycho parla delle ossessioni di un uomo che, semplicemente, non si sente abbastanza e della sua conseguente frustrazione su se stesso e su gli altri: Patrick è una vittima passiva di una società consumistica di cui diventa sempre più difficile far parte. Non riesce a vivere senza continuare ad ottenere di più per compiacere persone che disprezza. Non vuole essere lasciato in disparte. La soluzione? Scatenare il suo malessere con se stesso verso gli altri. Fantasie e azioni di violenza si mescolano alla sua routine fatta di palestra, bevute con gli ‘amici’, cocaina e concerti. Forse questo è l’unico modo in cui Patrick possa trovare sollievo nella sua missione per integrarsi.

Tuttavia Patrick è una persona di successo ma non riesce a vederlo. La sua visione è oscura e distorta dal perenne confronto con gli altri in questioni davvero banali da cui ne esce quasi sempre perdente. Ad esempio, il confronto dei format dei biglietti da visita in ufficio.

rectangular white table with rolling chairs inside room
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Eccetto la salute mentale, gli impulsi omicidi e la completa sociopatia di Patrick credo che ci sia qualcosa o due da imparare da lui; prima tra tutte, la voglia di vincere.

E, a mio parere personale, credo sia questo il messaggio di American Psycho: non criticare aspramente la società consumistica e yuppie ma di aspirare alla grandezza e alla ricchezza con una mentalità equilibrata e logica, senza lasciare che il giudizio degli altri (positivo o negativo che sia) ti trasformi in un mostro. Credo che questo messaggio non sia tanto rilevante quanto oggi. È difficile trovare un uomo di successo ma ancora più difficile è trovare un uomo equilibrato… ed è questo che porta realmente al vero successo.

Start again (Trump: the art of the deal)

Ieri ho viaggiato per la prima volta in pullman. La tratta era Roma-Milano e ci ho messo poco meno di dieci ore. Per chiunque voglia risparmiare e soprattutto per chi ha tempo da perdere consiglio caldamente una tratta in pullman. Il biglietto l’ho pagato ventinove euro e ho scelto la prima classe (non che abbia capito che differenza ci sia con la seconda.)

Ho prenotato un ostello per ventidue notti con l’idea in testa di fare qualcosa della mia vita. Forse la lettura di American Psycho, la biografia di Donald Trump e la serie tv dedicata a quest’ultimo mi hanno dato la spinta che avevo bisogno per ‘costruire’ qualcosa (qualsiasi cosa possa significare). Ho preso Trump: the art of the deal per farmi compagnia nell’interminabile viaggio sull’autobus.

Il libro inizia con una settimana tipo all’ufficio di Trump prima che diventasse presidente degli Stati Uniti.

La sua routine è composta essenzialmente da telefonate alle persone giuste, allo studio dell’economia e dei futuri affari e dalla creazione di network per creare nuovi legami e amicizie.

Donald Trump si sveglia ogni mattina alle 6 e passa una o due ore a leggere il giornale. Alle nove si reca nel suo ufficio. Non c’è giorno in cui Trump non faccia meno di 50 telefonate (che aumentano di numero fino ad arrivare a 100). In più è impegnato all’incirca in dodici riunioni nell’arco di una giornata. Alle sei e mezza del pomeriggio lascia l’ufficio per andare a casa ma continua a fare telefonate fino a mezzanotte.

Questo era prima della sua presidenza ma dopo aver ottenuto la sua immensa ricchezza.

Come lui stesso ammette, non lo fa perché ha bisogno di soldi ma perché è nella sua natura quella di aggiudicarsi il migliore affare. I soldi sono solo uno strumento con cui tenere il ‘punteggio’ ma al di là di essi c’è ben altro: l’adrenalina che si ha nel buttarsi in un progetto nuovo, la consapevolezza che nessun investimento è sicuro e la voglia di prevalere sui competitori.

Trump descrive la sua infanzia e di come sin da bambino ha avuto un carattere aggressivo e dominante. Al liceo, ad esempio, il piccolo Donald diede un pugno a un insegnate di musica poiché non credeva che sapesse nulla della sua materia. A Donald piaceva testare i limiti delle persone e a far valere le sue opinioni. Una grande influenza sul suo carattere competitivo e fortemente ambizioso è sicuramente suo padre, Fred Trump, un investitore immobiliare affermato e di successo con numerose proprietà a New York.

Donald offre molteplici consigli agli aspiranti imprenditori attingendo dalla storia dei suoi primi grandi affari (come la ricostruzione del Commodore Hotel e il grande affare sul Boardwalk di Atlantic City). La storia di Trump è come una meravigliosa favola che dipinge il vecchio concetto del sogno americano.

The art of the deal’ è una interessante chiave di lettura sul modo di pensare di Donald Trump, una delle personalità (per quanto discusse) più influenti e di successo di questo secolo e di quello scorso. Consigliato a chiunque abbia abbia bisogno di motivazione. Sicuramente io ne avevo bisogno.

Padre ricco padre povero (Robert Kiyosaki)

‘Padre ricco padre povero’ è stato il mio primo vero approccio all’educazione finanziaria. La premessa è tanto semplice quanto interessante. Il giovane Robert ha avuto la fortuna di avere due figure paterne. Il padre ricco, il padre del suo migliore amico e il padre povero, il suo vero padre.

Il primo era un capitalista convinto con diverse proprietà fiorenti nelle Hawaii. Ha abbandonato il percorso di studi in terza media per fondare una propria azienda.

Il secondo era un socialista che detestava ogni forma di denaro e faceva l’insegnante credendo nell’importanza dell’istruzione tradizionale.

Il padre ricco ma non istruito morì lasciando a suo figlio il suo impero. Il padre povero ma erudito lasciò alla sua famiglia più di un debito.

Robert Kiyosaki ha scelto di seguire le orme del padre ricco, imparando a creare una fonte di reddito passiva che lo avrebbe tolto dalla ‘corsa dei topi’ (lavora, paga le bollette e l’affitto, lavora ancora, vai in vacanza e ripeti fino alla morte).

Uno dei pregi fondamentali di questo libro è quello di spiegare concetti come il ‘cashflow’ e la creazione di un reddito attivo che crea denaro in maniera molto semplice… esattamente nello stesso modo in cui Robert fu istruito da bambino.

La prima lezione è che il ricco non sceglie di lavorare per il denaro perché è una battaglia persa in partenza. A molti viene dato il consiglio di completare un ciclo di studi, ottenere una laurea e trovare un buon lavoro. Questo, però, non è altro che falsa illusione secondo il padre ricco. Più si lavora, più si guadagna, più si paga in tasse, mutuo, rate e altre spese rendendo un buono stipendio molto meno buono di quello che si crede. Il problema è nella mentalità di base. Il povero (o il ceto medio) acquista beni passivi che non fruttano alcun avanzamento di denaro: spende tutta la paga che riceve e aspetta con trepidazione lo stipendio del mese prossimo. Il ricco investe nella sua colonna di attivi.

Mi spiego meglio.

Mentre il ceto medio spende i pochi risparmi che gli restano per comprarsi una bella macchina, dei bei vestiti, videogiochi o altro, il ricco spende in investimenti che creano guadagnano nella sua colonna degli attivi.

Cosa si intende per attivi? Investimenti in qualsiasi campo: dall’immobiliare alle cripto-valute (di cui ho una piccolissima esperienza), beni immobili, start-up, opere d’ingegno, canali youtube e affitti che creano un reddito passivo e che, quindi, aumentano denaro nel tuo portafoglio senza che tu faccia troppo. Il concetto sembra facile e lo è. Il difficile è capire quale attivo sia veramente un attivo, un falso passivo, una truffa o un cattivo affare.

Robert Kiyosaki afferma che uscire dalla ‘corsa dei topi’ è molto più semplice di quello che si pensi ma che non ci sono scorciatoie. Per capire cosa possa essere un investimento intelligente o no serve acuire quello che lui stesso definisce Q.I finanziario ed essere pronti a perdere pur di guadagnare.

Come il padre ricco gli insegnava, ‘il povero non rischia perché ha paura di perdere. Questo potrebbe garantirgli una certa stabilità economica ma non potrà mai arricchirsi. Il povero gioca per non perdere. Il ricco gioca per vincere.’

O come dice Robert, ‘Gli insuccessi motivano in vincenti e sconfiggono i perdenti.’

Adoro questa mentalità ma bisogna essere forti mentalmente e spiritualmente per non cadere nel baratro della mediocrità e della disperazione. Questa massima potrebbe applicarsi in ogni singolo aspetto della propria vita. Essere dei vincenti è prima di tutto un gioco mentale.

Un altro consiglio è l’istruzione finanziaria. È davvero importante investire nella propria conoscenza e nel proprio benessere. Divorate libri di argomenti dei vostri eroi che hanno raggiunto un traguardo che uomini mediocri definirebbero ‘impossibili’. Leggete con attenzione le loro gesta e pensate ‘Se ce la fanno loro… forse posso farcela anche io.’ Roberto deve molto del suo successo all’acquisizione di informazioni da gente come Warren Buffett e Donald Trump. Uno dei motivi per cui le persone non hanno successo (secondo lui) è che non credono abbastanza in loro stesse e si fanno influenzare dall’opinione negative dei loro amici o familiari nonostante non abbiano esperienza neanche per dare un singolo consiglio.

Che dire? Per chiunque sogni una vita diversa e ignori completamente i principali dogmi della finanza personale, ‘Padre ricco padre povero’ è una lettura d’obbligo. Non è pensato per gli ‘addetti ai lavori’ ma per le persone comuni che si approcciano per la prima volta a questo mondo. La lettura è estremamente fluida, il linguaggio elementare. Mi sono ripromesso di ampliare la materia in questione e il mio prossimo libro nella lista sarà ‘The art of the deal’ di Donald Trump, il quale sono sicuro che ha molto da insegnare.

Consiglio vivamente la serie- documentario su Netflix: Trump-un sogno americano. Ti motiverà come poche cose al mondo.

Il mio lo-fi

Durante le vacanze di Natale la biblioteca della mia Università era aperta ventiquattr’ore su ventiquattro. In quel periodo invertivo il giorno con la notte e varcavo le porte della biblioteca intorno a mezzanotte. Le sale erano completamente vuote. In quel periodo dell’anno tutti se ne tornano a casa dai propri genitori. Chi è che rimarrebbe da solo in una cittadina del Galles dove piove sempre nel periodo di Natale? Solo io e un orfanello con una cicatrice sulla fronte a forma di saetta.

Lo-fi, Monster e tempi andati

C’è qualcosa di magico nello stare da soli in una biblioteca mentre fuori piove e la pioggia scende lentamente sulle vetrate a mosaico raffiguranti due leoni rampanti (il simbolo dell’università). Ci sei solo tu.

Tu, te e te stesso seduti in un tavolo immenso da quindici persone. Il rumore del tuo respiro e della pioggia accompagnano le parole che scrivi insieme alla ronda del custode notturno che si fa vedere ogni due ore e ti offre una porzione dello spuntino preparato dalla moglie (arrosto con patate). La ventola di areazione del tuo portatile fa il suo lavoro (quasi) silenziosamente.

Passano ore.

Ho finito il lavoro per cui avevo sentito il bisogno di entrare in biblioteca (un tema sul cinema francese di Godard o qualcosa del genere) ma non voglio andarmene. Non piove più. Non voglio andare a casa. Apro il computer, digito ‘youtube’ e tra i video consigliati c’è un’immagine accattivante di una ragazza con le cuffie che studia china sui libri. Il titolo è: ‘Lofi hip hop mix Beats to Relax Study to 2018’.

Ci clicco sopra senza pensarci troppo e guardo le ultime gocce di pioggia colare dal mosaico di fuori. Il tempo vola. Non faccio neanche caso alla musica che non riesco a capire se sia malinconica, rilassante, triste o un curioso mix tra le tre. Penso alla fortuna che ho avuto ad andarmene di casa e non tornare per tre anni di fila. Penso a quanto sia bello vivere in un posto che mi piaccia sul serio. Infine penso a quanto sia bello il semplice fatto di essere semplicemente in vita. Mi alzo dalla sedia, cammino per quindici minuti fino al distributore automatico e mi concedo una Monster gelata al modico prezzo di due sterline e dieci. Ritorno al mio posto, stringo la lattina ricoperta da una patina di ghiaccio con entrambe le mani fino a quando non perdo parzialmente la sensibilità nelle dita e bevo un sorso.

Probabilmente questo è uno dei ricordi più belli della mia vita.

Al minuto ’09:05′ del video Lo-fi vedo sorgere l’alba. La cittadina è completamente addormentata. I lampioni rischiarano la fitta nebbia che avvolge quel posto tanto simile a Silent Hill. Il signor custode mi saluta e io ricambio. Apro la finestra dall’altro lato della biblioteca e il profumo dell’erba tagliata bagnata dalla pioggia mi sveglia più della Monster.

Tutto questo è successo più di tre anni fa sullo sfondo musicale del genere Lo-fi. Ogni volta che la ascolto ripenso a quella notte e a quel periodo fatto di solitudine e riflessioni. Quanto mi manca.

Yare yare. Perché apprezzo veramente qualcosa solo quando non ce l’ho più?

Non che questo abbia importanza. Fino a quando avrò una lattina di Monster, un foglio bianco e musica riuscirò sempre a vedere un’alba magnifica.

Blocco dello scrittore

Esiste qualcosa di peggiore che osservare un foglio bianco di word per ore senza avere la minima idea di cosa scrivere? Mi è capitato due ore fa. Cercavo di continuare il mio romanzo (fermo ormai da un mese a 15000 parole) e l’unica cosa che sono riuscito a scrivere è stata una semplice frase che troveresti in un libro di grammatica delle elementari: ‘la macchina era lì’. Non è la prima volta che capita e, di certo, non sarà l’ultima. Non penso esista una definizione generale come una malattia chiamata ‘blocco dello scrittore’, ma credo sia la manifestazione delle nostre paure personali che si materializzano quando cerchiamo di fare il nostro lavoro.

Forse è la paura di non avere abbastanza talento per raccontare una storia. Forse è la paura di non riuscire ad esprimesi al proprio meglio. Forse è perché la trama è a un punto morto e solo un elaborato quanto banale deus ex machina può salvarla. In ogni caso, non essere produttivi (a meno che non sia per scelta) non è mai un buon segno.

Ho ideato una breve lista di ciò che mi aiuta ad annientare il mio ego e proseguire il mio lavoro senza perdere la sanità mentale quando combatto con il foglio bianco esattamente come Guts cerca di non perdere la sanità mentale indossando l’armatura Berserk.

Guts combatte nello stesso modo in cui scrivo: perde la propria ragione per poi essere salvato da una strega (nel mio caso un energy drink).

NUMERO UNO

Scrivere qualcosa che non sia connesso alla storia che vuoi raccontare. Forse il problema è che sei troppo innamorato del romanzo che stai scrivendo (bene), vuoi renderlo perfetto in ogni riga (bene) e credi fermamente che sia il tuo capolavoro (bene, bene, bene). Però, forse, proprio perché sei innamorato della tua storia hai paura di rovinarla con un avverbio di troppo o uno sviluppo di trama che non ha senso. Nonostante questi dubbi siano più che legittimi, la paura può fare tanti danni quanto la presunzione nella stesura di un romanzo. Potresti considerare l’idea di scrivere qualcosa di interamente sconnesso dal tuo progetto principale: una storia breve, una descrizione, un dialogo, una piccola sceneggiatura, un blog, una email. In tal modo non avrai troppe paure di rovinare un progetto secondario e, magari, avrai il coraggio di ritornare al lavoro sulla tua opera magna e superare il blocco.

NUMERO DUE

Ascoltare musica. Lo so. Molti sono divisi su questo argomento. Alcuni pensano che la musica aiuti la creatività. Altri pensano che distragga. Io sono a favore della seconda ipotesi ma è un parere del tutto personale. Murakami ha scritto gran parte dei suoi romanzi (se non tutti) sullo sfondo musicale di jazz, Beatles e musica soft rock (piuttosto intuibile dai riferimenti senza fine nei sui libri). Stephen King ascolta Metallica e Anthrax. Io preferisco le melodie senza parole tra cui le composizioni orchestrali di Hans Zimmer (la mia preferita è la soundtrack de L’ultimo Samurai) e le sigle di chiusura degli anime (tra tutte, ‘Shock’ di Attack on Titan). Le ascolto solo per macchiare d’inchiostro la pagina bianca e rompere il silenzio assordante della mia mediocrità.

NUMERO TRE

Leggi qualcosa se non riesci a buttare giù nulla. Ogni scrittore dovrebbe essere prima un lettore. Il desiderio di scrittura dovrebbe sorgere dal desiderio di contribuire al mondo della letteratura con una storia ispirata ad altre. Leggere ed imitare sono fondamentali per ampliare i propri strumenti di scrittura. Leggere classici (sono classici per un motivo) e la letteratura moderna potrebbe essere una buona idea. Proprio oggi stavo rileggendo American Psycho. Leggere un romanzo talmente bello come quello, a volte, mi deprime poiché so che la scrittura di Breat Easton Ellis è divina e inimitabile. Tuttavia, il desiderio di creare qualcosa di simile è più forte di una inutile insicurezza. In più, a mio parere, non è male mettersi in competizione con individui di grande talento: è una occasione di crescita e aumenta la resilienza.

NUMERO QUATTRO

Esercizio fisico. Utile per far salire il sangue al cervello. Murakami corre ogni giorno 10 chilometri prima di scrivere. Ti aiuta a pensare con più razionalità e calma. Qualsiasi cosa va bene: un’ora in palestra, una corsa, una passeggiata, shadowboxing mentre pensi al destino avverso che la Mano di Dio ti ha riservato in un mondo fatto di lacrime e sangue mentre cerchi la tua vendetta. Il sudore aiuta a preservare il quoziente intellettivo nel processo di invecchiamento, aumenta il testosterone e offre nuovi spunti di scrittura, superando il blocco.

NUMERO CINQUE

Premiati. Stai per sederti su una sedia e scrivere in completa solitudine per (si spera) più di un’ora. Molti abbandonano l’idea della scrittura dopo un quarto d’ora su word a scegliere il font. Se non sei tra quelli, sei già nella top 60% degli aspiranti scrittori. Datti una pacca sulla spalla prima di incominciare e fai qualcosa di carino nei tuoi confronti. Nella tua carriera troverai molti rifiuti, molte delusioni e molte critiche verso il tuo lavoro (se sei fortunato). Pensa al presente: per il momento, sei da solo, di fronte al computer con in mente la trama del romanzo che cambierà la definizione stessa della narrativa (per quel che ne sai). Prenditi un caffè, un tè, una barretta proteica con almeno 20 grammi di proteine (per me una Monster bianca fredda è l’ideale) e sii la tua personale cheerleader. Se non lo fai tu, difficilmente lo farà qualcun altro.

Supporto morale e fisico in lattina. Ideale contro il blocco dello scrittore.

NUMERO SEI

Stabilire un ritmo. Diventerà sempre più facile eliminare i momenti di blocco se si scrive ogni giorno. L’ideale sarebbe puntare a un certo numero di parole da scrivere giornalmente e attenersi al proprio programma di scrittura.

Tutto diventa più facile. Bisogna farlo ogni giorno. Quella è la parte difficile. Però diventa più facile.’ Bojack Horseman (mi pare).

La costanza aiuta in qualsiasi disciplina. La scrittura non è un’eccezione.

Spero questi consigli siano stati d’aiuto o perlomeno moderatamente interessanti da leggere.

Lunghi giorni e piacevoli notti, fellow Strugglers.

Il falò dei sogni II- La missione di Guts ha senso? (Berserk post Eclissi)

Stavo rileggendo il volume 14 di Berserk per l’ennesima volta. Guts e Caska sono sopravvissuti all’Eclissi ed entrambi sono stati segnati dal marchio del sacrificio che li renderà preda dei demoni e degli incubus notturni. Ormai i due fanno parte di entrambi i mondi: quello terrestre e quello divino. Non saranno mai più gli stessi. Caska ha perso la sua sanità mentale e non può più parlare o pensare con razionalità. Guts è alimentato dall’odio e dalla rabbia verso Griffith e il suo passato; quelle stesse emozioni lo portano a sopravvivere e a cercare vendetta contro lo stesso concetto di Dio. Guts è potente ma è pur sempre un umano. Il suo obiettivo è far sanguinare la mano di Dio. Non si sarà scelto, forse, un nemico troppo forte?

C’è qualcosa di davvero triste e d’ispirazione nel suo viaggio verso la vendetta. Un uomo diverso sarebbe impazzito ma lui affronta a testa alta ogni sfida per uscirne ogni volta, se non vincente, vivo. Non può dimenticare ciò che gli è stato fatto e non può rimanere insieme a Caska cercando di costruire una vita completamente nuova. Il suo dolore e quello dei morti (simbolizzato dai demoni incubus) non lo fa dormire ed è costretto a menare fendenti dalla mattina alla sera solo per avere il diritto di respirare. Nel suo percorso verso la vendetta, Guts sta perdendo poco a poco la sua umanità… il che ha senso: per uccidere l’essenza stessa del male e nuotare contro la corrente della casualità, Guts deve diventare ciò che più odia.

Ho riflettuto a lungo se la missione di Guts abbia senso o meno. Griffith, in fin dei conti, è rimasto fedele al suo sogno e alla sua visione quando ha scelto di sacrificare la squadra dei falchi. Ogni membro della squadra era consapevole di essere uno strumento di Griffith. Erano suoi soldati, compagni e amici. Tuttavia, molti di loro sono morti nel corso delle battaglie nel nome di Griffith. Erano consapevoli a cosa sarebbero andati incontro. Lo stesso Guts assume un atteggiamento fortemente stoico nel corso delle battaglie della Golden Age.

Griffith o Guts? Una chiave di lettura di Berserk

‘Se moriremo… allora moriremo. I campi di battaglia sono così.’

La squadra dei falchi è consapevole di rischiare la vita per il sogno di Griffith. Erano materiale da sacrificio ben prima dell’Eclissi. Che differenza c’è tra morire per Griffith in un campo di battaglia o come sacrificio per la Mano di Dio? I soldati non sapevano di essere già in pericolo per il solo fatto di essere sottoposti di Griffith?

Ha un senso per Guts cercare vendetta quando lui stesso abbandonò la squadra dei Falchi per inseguire il suo sogno ed essere il pari di Griffith? Ha senso per Guts cercare vendetta quando ha abbandonato Caska e Rickert per la sua missione senza speranza?

Forse la missione di Guts non solo è senza speranza ma anche senza senso.

Mi è difficile rispondere a queste domande. Da un punto di vista razionale sono propenso a simpatizzare per Griffith. Da un punto di vista emotivo sono propenso a simpatizzare per Guts.

Griffith è un chiaro esempio di una persona ambiziosa che farebbe di tutto per raggiungere il suo obiettivo e che conosce se stessa. Guts non ha una profonda conoscenza di se stesso: da quando è bambino è costretto a vivere per la via della spada. Forse il sogno e l’essenza di Guts è solo quello di combattere per sopravvivere. La squadra dei falchi è stato il suo primo vero contatto umano positivo. La sua privazione è stato un duro colpo alla sua psiche. La vendetta sembra sia l’unica strada per riacquistare la sanità mentale ma così facendo sta già incrinando i rapporti con Caska.

Qualsiasi sia la risposta, credo che Guts sia un esempio da seguire. Rappresenta la resilienza umana esattamente come Griffith rappresenta l’ambizione. Molto spesso, questi elementi, sono carenti in ciascuno di noi. Il suo viaggio può essere paragonato alla vita di ciascuno di noi.

Non so se Berserk verrà mai completato (spero di no) ma non posso fare a meno di sentirmi fortunato ad essere nato nella stessa epoca in cui è stato pubblicato Berserk. A volte mi sento come Guts. A volte mi sento come Griffith. Nonostante sia difficile capire chi sia nel giusto o chi sia nel torto… questi uomini sono entrambi eccezionali.

Non sarebbe un cattiva idea aspirare ad essere una via di mezzo tra questi due che hanno il coraggio di nuotare contro la corrente del destino e della casualità.