La superficie della mia scrivania alle 23:00 si presenta con una bottiglia d’acqua da mezzo litro, una lattina di pepsi, un quaderno, un laptop con un documento di word aperto sul desktop e musica di Youtube da una finestra seminascosta su Chrome.
Di solito a quest’ora ho sonno ma impongo al mio corpo e alla mia mente di restare sveglio. Se dormissi adesso mi ritroverei al mattino seguente confuso e disorientato come se qualcuno avesse voltato la pagina di un romanzo o se avesse tagliato una scena di un film per andare a quella successiva.
La notte è quel piccolo ritaglio di tempo che appartiene solo a me. Non riesco a ragionare con lucidità e tutto assume un contorno onirico. Scrivo ma le parole che compaiono su Word non sono veramente mie. Sono un misto della musica che ascolto (in questo momento una colonna sonora), stanchezza, forse speranza e forse odio.
Vado avanti così fino a quando mi è possibile; di solito fino alle tre del mattino o fino a quando la sveglia non suona. Ogni secondo della giornata che passo nel mondo reale (al lavoro, al di fuori, al contatto con tutte le altre persone che non siano me) penso alla notte.
Penso al gusto della pepsi che si scioglie sulla lingua, la musica nelle cuffie, il freddo sguardo del documento bianco su Word e, forse cosa più importante, il fatto che io sia troppo stordito per apprezzare tutto questo. A volte mi capita di addormentarmi ma succede solo per pochi secondi. Poi mi risveglio. Faccio molti sogni e la concezione del tempo si perde completamente.
A volte faccio un sogno molto lungo. Quando mi risveglio mi preoccupo subito che io abbia dormito troppo ed è già mattina. L’orologio in basso a destra dello schermo mi tranquillizza.
‘È solo l’una, Struggler. Continua il tuo viaggio. L’alba è ancora lontana.’
Non so bene chi sia a parlare ma le parole mi confortano. Mancano cinque ore alla sveglia. Sei ore all’alba. Nel mio mondo, di notte, cinque ore equivalgono a dodici ore. Sorrido.
Posso restare ancora.
Il mondo reale può aspettare.