Quando avevo 17 anni

In questa sottosezione ho deciso di condividere alcuni dei miei primi racconti e primi esperimenti di narrativa del periodo del liceo. Cercherò di produrre qualche mia ultima ‘composizione’ (chi mi credo di essere? Shakespeare?) ma saranno solo piccoli frammenti e storie fine a se stessi. Come da titolo, questo è un racconto che scrissi a 17 anni dopo aver finito di leggere la Torre Nera e durante il mio periodo western in cui ero fissato con Clint Eastwood. Non ho potuto fare a meno di distogliere lo sguardo in alcune parti ma l’ho trovato divertente… tutto sommato.

La mano di Dio

Le ombre dei pistoleri si proiettavano lunghe chilometri nella strada percorsa ogni giorno dalle innumerevoli diligenze appena fuori città. Le Colt erano pronte a sparare, le dita pronte ad armare: John teneva la mano destra al di sopra della fondina attaccata alla cintura, mentre il matricida una volta noto con il nome di Leon stiracchiava dolcemente i polpastrelli della sinistra, disegnando nella calura del meriggio piccole ellissi. La mano destra non l’aveva più da tempo. Il primo pensiero che percorse la sua anticamera del cervello quando venne privato dello strumento di morte destro fu: ‘fortunatamente mi masturbo con la sinistra’ . Un ombra di un sorriso apparve su quel volto solcato dalle rughe, incorniciato da capelli lunghi e crespi più tendenti al grigio che al nero, nonostante avesse superato da poco la soglia dei venticinque anni. Lo allarmò scoprire con quanto noncuranza avesse espresso quel pensiero. Non molto tempo fa, quello stesso uomo che si era ridotto a bere urina di cavallo per non morire disidratato nel deserto e a cui era stata tagliata la mano dai pellirossa (per fortuna non il suo scalpo, dice grazie) e che stava per affrontare la resa dei conti finale, aveva la fama di essere un vanitoso seduttore: Aye, se lo ricordava come se fossero passati pochi anni (nonostante ne fosse passato uno solo).

Spendeva la maggior parte del tempo a incipriarsi il volto, già pallido per natura, facendosi bello per le rinomate donne di alto borgo che frequentavano  la locanda gestita da suo cugino. Prostitute le avrebbe chiamate quella santa di sua madre, ma ora lei non c’era più, l’aveva uccisa lui stesso con l’ultimo di una serie di proiettili che ricevette in eredità da suo padre: uno di quelli d’argento. Appena sparato il colpo si dispiacque…per il proiettile, non per la madre, per lei non poteva che trarre un sospiro di sollievo. Non uno dei suoi più bei ricordi, bisogna ammetterlo, ma questo e tanti altri episodi attraversarono come un lampo il cervello del pistolero, grazie all’accavallamento e al contatto dei suoi neuroni ceppati, i quali non erano più in grado di commettere come un tempo (bisogna ammetter anche questo). John era di tutt’altro temperamento. Non pensava a niente se non al compito che gli sarebbe toccato da li a cinque secondi. Quattro secondi… e prima del quattro? Avrebbe scommesso sulla santa Trinità che ci fosse il tre, Aye!

2,

1,

DING,DONG          

Le campane cominciarono a suonare, e poco più sotto di una trentina di metri le pistole dei masnadieri cominciarono ad accompagnarsi alla melodia con una canzone ben diversa. Leon fu il primo (e ultimo) a unirsi alla sinfonia: scostò con la mano sinistra il suo poncho impolverato ce nascondeva la sua Colt 45, la impugnò, armò il grilletto, mirò al torace  e sparò. Tutto questo portò via al pistolero meno di quattro secondi, quegli stessi secondi che John –o la sua carcassa, per meglio dire-   impiegò per riversarsi a terra. Un rivolo di sangue scivolò dalla sua stella da sceriffo e si andò a infilare sotto la cintura.  Leon, con lentezza estrema, fece scivolare la sua unica amica nella fondina e si avviò a lunghe falcate verso il cadavere di suo fratello. Lo esaminò tasca per tasca. Un rotolo di banconote da cinquecento dollari, una foto della loro madre e un carillon fu tutto quello che trovò, e tutto quello che ricevette dal suo fratellino in tutta la sua vita. La sua eredità. Gli tornò alla mente il sorriso di sua moglie e il carillon con cui si dilettava il figlio. Accantonò con freddezza quei ricordi. Loro non erano più in questo mondo e ora neanche i loro assassini. Pensò che un fratricida e un matricida come lui fosse destinato con ogni probabilità al cerchio più buio dell’Inferno e che neanche Gesù e Cristo in persona potessero cambiare ciò. Pazienza. La sua ultima tappa del viaggio sarà anche riservata alla tana di Satana , ma di certo non ci sarebbe passato per El Paso. Prese lo stallone di suo fratello -dello sceriffo e del complice di sua madre dello sterminio di sua moglie e sua figlia- e cavalcò verso il tramonto. A fargli compagnia nel cielo infinito, gli avvoltoi.

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